lunedì 29 giugno 2020

Benjamin Franklin e Lorenzo Manini, fratelli massoni

La dichiarazione d'Indipendenza americana
 C'è un particolare legame tra Cremona e Filadelfia, al punto che la bozza della Costituzione americana, derivante dalla Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America, firmata il 4 luglio 1776 al Congresso tenuto nella città della Pennsylvania, si sarebbe dovuta stampare per la prima volta in Italia proprio all'ombra del Torrazzo. Questo particolare rapporto era maturato grazie all'amicizia tra Benjamin Franklin, uno dei cinque firmatari della Dichiarazione, l'abate camaldolese Isidoro Bianchi ed il tipografo Lorenzo Manini, sotto l'egida del conte Giambattista Biffi, favorito dalla comune appartenenza alla massoneria internazionale. Il mito americano costituisce uno dei grandi sogni della cultura europea del Settecento, che conosceva in realtà assai poco il Nuovo Mondo, se non per i racconti di viaggio e di esplorazione, e tuttavia rimaneva profondamente affascinata dal mito del buon selvaggio, cioè dall’idea che al di là dell’Oceano esistesse ancora un mondo puro, incontaminato, immune dalle distorsioni prodotte sulla natura dalla religione e dal processo di civilizzazione. Per molti, nelle Americhe si poteva ritrovare ancora l’archetipo dell’uomo nello stato naturale, selvaggio perché non aveva conosciuto l’evoluzione dell’organizzazione sociale occidentale e che proprio per questo era da ritenersi felice, in quanto doveva provvedere unicamente ai bisogni propri e della propria famiglia. Il buon selvaggio sembrava rimasto nella condizione di innocenza che gli europei avevano perduto, viveva una dimensione primitiva della religione e non conosceva le brutalità nate dal dispotismo e dalle gerarchie di tipo feudale. Le vicende delle colonie e della rivoluzione americana, anziché smentire questo affresco, contribuivano a rafforzarlo e ad attirare maggiore attenzione sul Nuovo Mondo. Gli echi della lotta per l’indipendenza, iniziata durante la guerra dei Sette anni (1756-1763), facevano convergere l’attenzione verso un luogo politicamente vergine dove era possibile sperimentare soluzioni politiche nuove senza dover fare i conti con le vestigia dell’Antico Regime. L’America appariva come un luogo senza storia e questo poteva rappresentare indubbiamente un vantaggio rispetto all’Europa, che sentiva il peso del suo passato ed era legata alle catene della feudalità. La rivolta nelle colonie, in un mondo senza un passato storico, veniva vista come una straordinaria opportunità per creare istituzioni, leggi, forme del vivere sociale inedite, per realizzare una felicità civile che non doveva fare i conti né con i limiti dettati dalla natura né con quelli tipici delle rappresentazioni utopiche.
B. Nazari, ritratto di Gianrinaldo Carli, 1749
In Italia fu il tipografo cremonese Lorenzo Manini, fratello massone della loggia “San Paolo celeste”, con l'abate Isidoro Bianchi, a ridestare l’interesse per le civiltà d’oltreoceano pubblicando le Lettere americane (1780) di Gianrinaldo Carli, con una dedica a Benjamin Franklin. In effetti, la diffusione della Stretta Osservanza in Lombardia prese avvio da Cremona, dove alla fine degli anni Settanta nacque la loggia “San Paolo celeste”, animata da quello straordinario organizzatore culturale che fu l’abate Bianchi, autore di saggi su Rousseau e di un fortunato libretto intitolato Dell’instituto dei veri liberi muratori (1786). Attorno a questa loggia si svolse gran parte dell’opera massonica lombarda del tardo Settecento, volta ad un’intensa attività editoriale che coinvolse librai e tipografi, e tesa ad instaurare relazioni con la massoneria europea e nordamericana, come dimostrano i fortissimi legami con Benjamin Franklin, a lungo alunno diligente di un suo fratello tipografo. A Cremona, fin dal 1776, era stata aperta una loggia dagli ufficiali austriaci di guarnigione alla città che derivava il suo nome “San Paolo Celeste” da quello del fondatore, il colonnello Paul Bethlen, affiliato a a sua volta alla loggia “Zur gekrönten Hoffnung”di Vienna, dipendente dalla Gran Loggia nazionale di Berlino. Gli affiliati, piuttosto che coltivare studi alchimistici od elucubrazioni cavalleresche, erano votati a realizzare concretamente la beneficenza e la fratellanza massonica. Era l'unica loggia massonica esistente allora in Lombardia che dal 1778, quando la guarnigione imperiale dovette trasferirsi in Boemia, fu diretta da elementi del patriziato e della borghesia locale. Maestro divenne allora il conte Giambattista Biffi, amico di Cesare Beccaria e dei fratelli Verri, membro dell'Accademia dei pugni e legato al “Caffè”, accanito lettore di D'Alembert e Voltaire, che da Milano si trasferì nella sua Cremona. Tra i liberi muratori iscritti alla loggia troviamo l'ex gesuita Raimondo Ximenes, il tipografo Lorenzo Manini, il poeta frugoniano Carlo Gastone Rezzonico della Torre, e il poeta tragico Giovanni Pindemonte, fratello del più celebre Ippolito. Nel 1780 la loggia “San Paolo Celeste” mutò nome e struttura, assumendo quello di “L'Aurore de la Lombardie” e fu progettata anche la fondazione di un Capitolo di Cavalieri Benefici che, però, non venne attuato. Prendendo molto seriamente la sua iniziazione Biffi si mise a studiare la storia del Templari in Italia, avvalendosi di Tiraboschi e dell'abate Isidoro Bianchi per provare la derivazione diretta dei Liberi muratori dai Cavalieri del Tempio. Alla fine del 1785 Vienna, alla cui Grande Loggia Nazionale avrebbe dovuto aderire anche quella di Cremona, ordinò che la loggia cremonese cessasse ogni attività, assecondando le disposizioni di un decreto che permetteva l'esistenza di una sola loggia in ogni provincia dell'Impero. Rimase dunque attiva solo Milano.
All’inizio del 1781, Gianrinaldo Carli, originario di Capodistria ma naturalizzato milanese, studioso delle teorie monetarie e funzionario della Lombardia teresiana, che nel marzo1780 aveva pubblicato le prime puntate delle anonime Lettere americane sulle pagine del «Magazzino universale istorico, politico, letterario diretto da una società di persone di lettere», stampato a Firenze senza grande successo, aveva già trovato un nuovo interessato alla stampa in Lorenzo Manini, tipografo e libraio a Cremona. Lo aveva raggiunto tramite Isidoro Bianchi, il camaldolese noto in Italia per la sua attività letteraria e per il suo impegno massonico, rientrato in Lombardia nel 1776 dopo il lungo soggiorno siciliano. Non è noto quando esattamente Carli e Bianchi si fossero conosciuti, né quale rapporto vi fosse tra loro. Pare di capire, dalla corrispondenza intercorsa tra Carli e Bianchi conservata parte nell’archivio del capodistriano (per le lettere ricevute) e parte nel fondo Bianchi della Biblioteca Ambrosiana (per le lettere spedite da Carli), che i contatti con Manini si svolgessero prevalentemente attraverso la mediazione di Bianchi, che si impegnò per la pubblicazione, si assunse l’onere di curarla attraverso l’introduzione e note di commento, e convinse il tipografo a stamparla interamente a proprie spese. Bianchi stesso si riservò poi anche il compito di diffonderle e di ribattere alle critiche che venivano mosse, soprattutto negli ambienti degli ex gesuiti e da parte di Francesco Saverio Clavigero. Fu ancora Bianchi a raccogliere l’idea di Carli per una dedica e a mettersi in contatto con Benjamin Franklin per ottenere l’assenso a che l’edizione cremonese delle Lettere recasse il suo nome, mediando con le autorità di polizia preoccupate che questo non suonasse come un riconoscimento ufficiale della Lombardia asburgica nei confronti delle ribelli colonie americane. In effetti Carli, ritornando al tema delle antiche civiltà, difendeva quella peruviana e voleva provare gli stretti rapporti delle civiltà precolombiane con le mediterranee, ammettendo l'esistenza dell'antica Atlantide. Pieno di ammirazione per i leggendari ordinamenti politici peruviani, vi proiettava le proprie convinzioni, ed esaltava il dispotismo filantropico giungendo addirittura, con l'illustrare la bontà dell'economia regolata e della sovranità teocratica, a vagheggiare il perfetto comunismo.
Per l'abate cremonese Isidoro Bianchi contattare Benjamin Franklin non era stato difficile. Franklin, nato nel 1706 a Boston, la città più puritana del New England, da un venditore di candele, dopo essersi avvicinato al quietismo quacchero, si era iscritto alla prima loggia massonica americana, la St. John, fondata a Filadelfia nel 1731. Nel 1734 era stato eletto Gran Maestro Provinciale della Pennsylvania; dal 1735 al 1738 ne era stato segretario; nel 1750 infine Gran Maestro aggiunto. In qualità di ambasciatore delle tredici colonie americane che avevano dichiarato l'indipendenza, Franklin aveva soggiornato a Parigi dal 1776 al 1785 e si era inserito nella celebre loggia delle “Nove sorelle”, costituita nel 1776 con l'idea di unire un'élite qualificata d'intellettuali per promuovere l'evoluzione delle scienze nei vari campi della cultura, della vita sociale, politica, ed economica. Vi appartenevano le maggiori intelligenze del secolo, ad iniziare dal suo fondatore, l'astronomo Lalande, a D'Alembert, Mably, Voltaire, Quesnay, Jefferson, Pestalozzi. Fu qui che Franklin intrattenne rapporti fraterni con Domenico Cirillo, medico e botanico, una delle vittime illustri della repressione del 1799, impiccato nella piazza del Mercato di Napoli. Domenico Cirillo apparteneva alla Gran Loggia provinciale inglese, aveva la cattedra di Medicina teorica prima, e di Medicina pratica poi, e fu autore, fra l’altro, del De lue venerea del 1780. Ma Franklin intratteneva costanti rapporti anche con Gaetano Filangieri, tant’è che, attraverso un banchiere di Parigi, Franklin comprò un numero considerevole di copie di La scienza della legislazione, uno dei massimi contributi italiani alla scienza dello stato. Probabilmente La scienza della legislazione sarebbe rimasta semisconosciuta se non fosse stata tradotta in francese, spagnolo e tedesco per iniziativa di fratelli nelle logge di quei paesi.
J. Duplessis, Ritratto di Benjamin Franklin, 1778
I legami epistolari tra Filangieri e Franklin furono molto intensi, sia su questioni culturali che personali. Filangieri, nato a Napoli, nel 1773 si era recato a Palermo per rivedere lo zio Serafino, arcivescovo della città e per incontrare per la prima volta Isidoro Bianchi, chiamatovi nel 1769 dall'arcivescovo di Monreale Testa a insegnare nel seminario e collegio di quella città, con il quale nacque un'intensa amicizia di cui è testimonianza il nutrito carteggio. Perciò, quando Carli chiese a Bianchi la possibilità di avere una dedicazione per le sue Lettere mettersi in contatto con Franklin fu per lui relativamente facile, attraverso la comune amicizia di Filangieri. All'inizio del primo volume fu stampata una dedicatoria “Lettera al signor Benjamino Franklin” dove si diceva, fra l'altro: “Un'Opera di questa natura non poteva essere, o signore, consecrata che a Voi, a Voi che nella nostra Europa siete così ben conosciuto e stimato. Voi, che formate la gloria della Repubblica de' Filosofi, Voi Americano, Voi che vi siete reso l'ornamento principale de' Vostri Compatrioti, Voi solo potete essere il Giudice competente del merito di questo libro”, firmata da Isidoro Bianchi.

Lorenzo Manini ne spedì due copie a Benjamin Franklin con un lettera del 9 ottobre 1783: “Anco in Italia, e in Lombardia specialmente è venerato, e tenuto in somma considerazione il nome illustre del Sigr. Dot. Franklin. Io ho voluto darne une pubblica testimonianza con dedicarLe la bell’opera or ora da me stampata delle Lettere Americane del celebre Sigr. Presidente Carli. Un libro di questa fatta a Lei per ogni conto conveniva, a Lei io l’ho consecrato. Due copie io oso umiliarLe di detto libro, e queste gliele spedisco coll’ ordinario corriere franche di porto. Aggradisca, ne La supplico, questo mio umile e sincero omaggio, e mi creda quale con la più alta stima, e col più profondo rispetto ho l’onore di raffermarmi Di V.S. Illu[strissi]ma Divotissimo Obblig[atissi]mo Servitore”. Franklin non rispose e Manini ne spedì un'altra identica l'8 marzo 1784. Entrambe sono conservate nella biblioteca dell'American Philosophical Society di Filadelfia. Qualche mese dopo, procuratesi le informazioni sul suo collega tipografo cremonese, Franklin il 19 novembre 1784 rispose a Manini ringraziandolo del dono e della dedica e gli diceva di aver dato incarico al conte Luigi Castiglioni, botanico appartenente ad una loggia massonica di Brera, di consegnarli il testo della Costituzione americana tradotto in francese e nel frattempo gli mandava due sue operette sull'America che, evidentemente, sarebbe stato contento nel vedere tradotte e pubblicate in italiano a Cremona. “Signore -scriveva Franklin – voi mi faceste una gran piacere coll'avermi mandante le Lettere Americane, e nell'avermi per tal modo procurata l'occasione di leggere quell'eccellente Opera, ripiena non meno di un fino giudizio e buon senso che di varietà di cognizioni e di dottrina. Accettatene, vi prego, i miei più sinceri ringraziamenti: sono poi estremamente sensibile all'onore della Dedica che me n'è stata fatta. E' da tempo che per voi ò consegnato al Sig. co. Castiglioni un libro, che egli cortesemente si è impegnato d'inoltrarvi: troverete in esso le Costituzioni de i nostri Stati d'America, che io ò fatto tradurre e stampar qui. Io credo che potessero esser da voi gradite e dall'Autore delle Lettere suddette. Adesso vi spedisco qui inchiusi due piccoli miei Scritti intorno all'America, sperando che questi sieno valevoli a recarvi qualche trattenimento. Vi prego di presentare al Sig. Presidente Carli i miei rispetti e i miei ringraziamenti per la sua arguta difesa contro gli attacchi di quel mal informato e maligno Scrittore, che per ceto non parla bene di nessuna persona senza pentirsene sul momento e senza ritrattarsene in appresso. Con gran rispetto ò l'onore di essere Signore, vostro Fratello e Servitore Beniamino Franklin”. La lettera originale è stata rintracciata qualche anno fa in una miscellanea manoscritta della Libreria Civica di Cremona in un fascicolo di carte appartenute a Lorenzo Manini raccolta da Francesco Robolotti. Lo scrittore a cui Franklin fa riferimento è l'olandese Corneille de Paw. Lorenzo Manini si affrettò a pubblicare il libretto di Franklin, intitolato “Avviso a quegli che pensassero d'andare in America e osservazioni sulle buone creanze de' selvaggi dell'America settentrionale” con una dedica all'autore datata 25 gennaio 1785. Non riuscì mai a pubblicare, però, il testo della Costituzione degli stati americani, forse perchè Carli non glielo consegnò o forse, più probabilmente, perchè bloccato dalla censura austriaca.