venerdì 27 settembre 2019

Eusebio, un cremonese a Betlemme

Le grotte della  basilica della Natività di Betlemme
Nelle grotte della basilica della Natività di Betlemme, accanto al sacello dove, secondo la tradizione, San Girolamo mise mano alla prima traduzione della Bibbia, vi è il sepolcro di un suo discepolo: Eusebio da Cremona, il primo cristiano cremonese fino ad ora conosciuto. Una lapide incastonata nella pietra recita semplicemente “S. Eusebii ora pro nobis peccatoribus”, ed un'altra iscrizione moderna, ricalcata su una più antica, sottolinea che qui sono sepolti “Hieronymus et Paulianus frater eius, Eusebius Cremonensis, Vincentius presbiter, Lupinianus, Valerianus et plurimi alii”. Una piccola porta posta sul fondo della grotta della Natività immette in un corridoio che porta a un complesso di altre grotte. A queste, comunque, si può accedere direttamente dalla chiesa di Santa Caterina tramite una scala ripida, posta a destra della navata, che vi scende. Gli scavi archeologici, condotti da padre Bellarmino Bagatti, attestano che le grotte venivano già usate dal VI secolo a.C. e, a partire dal I sec. d.C., vennero adibite a tombe per i Cristiani. La prima grotta che si incontra al centro, scendendo dalla ripida scale, è la grotta di San Giuseppe, che ricorda il sonno del Santo riportato nel vangelo di Matteo, quando l’angelo gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, e fuggi in Egitto…» (Mt 2,13).
L'epigrafe del sepolcro di S.Eusebio
C’è poi a sinistra, una seconda grotta detta dei Santi Innocenti, a ricordo dei bambini fatti uccidere da Erode. Sul lato destro, invece, si notano i cenotafi in cui furono sepolti alcuni santi vissuti a Betlemme nei primi secoli: le due sante matrone romane Paola e sua figlia Eustochio che, giunte a Betlemme al seguito di San Girolamo, si dedicarono alla vita ascetica e cenobitica; Sant’Eusebio da Cremona, discepolo e successore di san Girolamo, e lo stesso San Girolamo, i cui resti secondo la tradizione furono portati prima a Costantinopoli e poi a Roma, dove dal XII secolo sono venerati nella chiesa di Santa Maria Maggiore. L’ultimo ambiente di questo labirinto di grotte e cunicoli è la grotta di San Girolamo, dove egli visse. Girolamo era nato a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli aveva assicurato un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane aveva subito l'attrattiva della vita mondana, ma poi era prevalso in lui il desiderio e l'interesse per la religione cristiana. Ricevuto il battesimo verso il 366, si era orientato alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si era inserito in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati» riunito attorno al Vescovo Valeriano. Era poi partito una prima volta per l'Oriente, vivendo da eremita nel deserto di Calcide a sud di Aleppo in Siria. Ad Antiochia nel 379 Gerolamo riceve il sacerdozio e nel 382 si trasferisce a Roma, dove Papa Damaso I, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assume come segretario e consigliere e lo incarica di riscrivere in latino il testo di una diffusa versione della Bibbia, detta Itala, realizzata non sull’originale ebraico, ma sulla versione greca detta dei Settanta.
Per fare questo lavoro Gerolamo resta a Roma dove sentendo più pungente il peso dei trascorsi giovanili avverte il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana e presto si scontra e polemizza con i nuovi cristiani, stigmatizzandone vizi e ipocrisie, dopo che l’imperatore Teodosio ebbe fatto del cristianesimo la religione di Stato. Intorno a lui si forma un gruppo di vergini e vedove, capeggiate dalla nobile Marcella e dalla ricca vedova Paola, con le figlie Blesilia e Eustochio, per vivere una vita ascetica fatta di preghiere, meditazione, astinenza e penitenza. Alla morte di papa Damaso I, la curia romana contrasta con grande determinazione ed efficacia l'elezione di Girolamo, anche attribuendogli una forte responsabilità nella morte della sua discepola Blesilla., deceduta probabilmente a causa dei continui digiuni. Data la singolarità dell'evento e la grande popolarità della famiglia di Blesilla, il caso solleva un grande clamore. Gli avversari di Girolamo affermano che le mortificazioni corporali teorizzate erano semplicemente degli atti di fanatismo, i cui perniciosi effetti avevano portato alla prematura morte di Blesilla. Nell'agosto 385, Girolamo seguito dal fratello Paoliniano, dal prete Vincenzo e da alcuni monaci a lui fedeli, s'imbarca da Ostia, seguito poco dopo anche dalle discepole Paola, Eustochio ed altre appartenenti alla comunità delle ascete romane e torna in Oriente.
Girolamo arrivò in Terra Santa nel 386 e si stabilì, insieme a Paola, vedova, e alla sua giovane figlia Eustochio, a Betlemme. Le grotte adiacenti a quella della Natività, prima delle tombe, divennero abitate e formarono il primo cenobio a Betlemme.
Per oltre trent’anni il monaco dalmata visse nella solitudine della sua Betlemme, bruciato dall’ideale ascetico, dalla lotta per l’ortodossia della fede, dalla ricerca della verità e soprattutto dalla passione per la Parola di Dio, che egli tradusse in latino. Girolamo univa alla conoscenza del latino e del greco quella dell’ebraico. Infatti, nel deserto di Calcide un giudeo-cristiano l’aveva iniziato alla conoscenza della lingua e un altro aveva rifinito la sua preparazione a Betlemme, durante sedute notturne di studio, che facevano affiorare alla mente di Girolamo l’incontro notturno di Gesù con Nicodemo.
Grazie a questa preparazione egli intraprese la traduzione dell’Antico Testamento dall’originale ebraico. Il mondo cristiano, allora, riteneva ispirata la traduzione greca detta dei Settanta. Girolamo affrontò parecchie difficoltà, tra le quali anche la fatica di procurarsi i testi che si trovavano in mano agli ebrei, custoditi gelosamente come si conviene a un testo sacro. Girolamo non esitò a rinunciare al sonno delle sue notti per lavorare sui testi che un rabbino gli portava prelevandoli dalle sinagoghe, così come non si accontentò di attingere direttamente l’ebraica veritas dal testo biblico, ma una volta afferratone il senso per se stesso, usava confrontare i risultati del suo lavoro con le interpretazioni tradizionali degli ebrei.
Fin qui l'opera di Girolamo, ma che ci faceva un cremonese in Terra Santa ai primordi dell'era cristiana, nel IV secolo dopo Cristo? A parlarci di Eusebio è San Girolamo stesso. Secondo quest'ultimo Eusebio sarebbe nato a Cremona in una famiglia agiata ed educato dai migliori precettori del tempo, ma in seguito, abbandonati gli studi di giurisprudenza, si sarebbe recato a Roma entrando nel gruppo di San Girolamo, decidendo di accompagnarlo nel pellegrinaggio che aveva deciso di fare a Gerusalemme, abbandonando la capitale, dove era malvisto per le sue posizioni a favore del celibato. I due attraversano il mar Ionio in mezzo alla tempesta, transitano per le Cicladi, si recano a Cipro, dove vengono accolti dal vescovo Sant'Epifanio di Salamina. Poi passano ad Antiochia, dove vengono ricevuti dal vescovo San Paolino, ed infine arrivano a Gerusalemme, dove visitano i luoghi della Passione, passano a Betlemme e si recano sul Calvario, sul monte degli Ulivi, il Tabor, la valle del Cedron, tra l'attuale spianata delle moschee ed il monte degli Ulivi, il castello di Emmaus. Poi si inoltrano in Egitto per osservare con i loro occhi come vivono gli eremiti della Tebaide, dove San Pacomio ha fondato la prima comunità cenobitica di Tabennisi. Infine tornano in Palestina per fermarsi a Betlemme, dove decidono di fondare il primo monastero, ben presto preso d'assalto da quanti desiderano abbracciare la regola che san Girolamo stesso si è dato.
Le epigrafi nelle grotte di San Gerolamo
A raccontare questo primo pellegrinaggio dei due è Francesco Ferrario, ripreso da Joseph-Francois Michaud nella sua “Storia delle crociate” del 1831 illustrata da Gustave Doré. Secondo lo storico i due cenobiti, non riuscendo a garantire vitto e alloggio ai numerosi pellegrini, decidono di ritornare in Italia per vendere i beni posseduti destinando il ricavato alle loro opere di misericordia. E' in occasione di questo secondo soggiorno italiano che ai due si sarebbe aggregata appunto santa Paola con la figlia Eustochio, che sarebbero poi partite per proprio conto per effettuare un pellegrinaggio fino in Egitto, e giungere infine a Betlemme dove, sotto la guida di San Girolamo, fondano una serie di alloggi per viaggiatori ed ospedali. Sappiamo da San Girolamo che Eusebio partecipa con il suo maestro alle grandi dispute teologiche dell’epoca. Rufino, avversario di Girolamo, lo descrive come un uomo molto impulsivo, ma di vita integra e austera. Fu legato da amicizia con il santo vescovo e poeta Paolino di Nola. Girolamo gli dedicò i commentari al libro di Geremia e al vangelo di Matteo. Nulla sappiamo degli ultimi avvenimenti della sua vita: succeduto al maestro nella guida del monastero di Betlemme, morì poco dopo, verso il 423. Fu tra i migliori collaboratori di San Girolamo, e forse anche autore di scritti in proprio nome, dato che gli viene attribuito un trattato sul mistero della croce. Tornò a diverse riprese in Italia, e forse fu anche a Cremona, sua città natale. Curiosamente però, nonostante Eusebio sia il più antico dei santi locali, l'eremo edificato tra il V ed il VI secolo nei pressi di Pizzighettone, in località Ferie, sui resti di quello che si è ritenuto essere un sacello di epoca romana, è dedicato ad un altro Eusebio, vescovo di Vercelli, nato in Sardegna nel 283 e nominato primo vescovo del capoluogo piemontese nel 345. Ciò si può dedurre anche osservando il dipinto esposto nell'abside di San Bassiano, la chiesa principale di Pizzighettone (dalla cui giurisdizione ecclesiastica dipende anche Sant'Eusebio), dove il santo viene ritratto con le insegne di vescovo e raffigurato con la mano destra che indica il Segno Trinitario, mentre nella sinistra, appoggiata su un libro, tiene uno stilo, di solito simbolo dei Dottori della Chiesa. Viceversa a Sant'Eusebio da Cremona è dedicata una tavola, parte della “cona” della Visitazione dipinta da Pedro Fernandez prima del 1516, conservata oggi al Museo di Capodimonte, che raffigura Eusebio di fronte agli eretici. Un'altra raffigurazione famosa è quella fornita da Raffaello nel miracolo attribuito al santo cremonese, una splendida tela realizzata tra il 1502 ed il 1503, conservata oggi al Museo d'arte antica di Lisbona.

Paolo Puerari in un breve testo dedicato al vescovo Cesare Speciano, “Breve narratione della vita et miracoli di Santo Eusebio, Nobile cremonese”, pubblicato a Cremona da Cristoforo Dragoni nel 1605, racconta alcuni miracoli compiuti dal cremonese a Betlemme: “Dopo la morte del glorioso San Girolamo si levò tra Greci una setta d'heresia pestilentissima; perilche congregando il Santissimo Eusebio, et tutti gli Vescovi, et altri Catolici, pregarono il pietoso Re del Cielo, che non volesse comportar, che la sua Santa sede fosse così iniquamente combattuta, et lacerata da sì falso errore; Onde avvenne, che passati tre giorni dell'oratione, et digiuni apparve la notte seguente al Beato Eusebio il glorioso Girolamo, et con benigne parole lo confortò a star di buono voglia, informandolo del modo, col qual havesse da batter a terra, e distruggere quel maledetto mostro d'heresia, si come fece poi il giorno sussequente, che radunati i Catolici, et Heretici al Presepio di Christo, et pigliando il Beato Eusebio il Cilicio del Santissimo Girolamo, pregando devotamente Dio, l'accostò a tre corpi morti, e subito, O meraviglia, o stupore l'anime che da lor eran già fatte pelegrine, vi tornarono a stanciar dentro. Questa gratia hebbe il venerando Eusebio per instinto del suo diletto Padre San Girolamo, et il frutto, che ne seguì fu tale, che molti Heretici, voltale le spalle a quella falsa dottrina, tornarono alla vera fede. Di più essendo un Monaco di quel suo Monastero diventato cieco, toccando con la sua faccia la faccia del Beato Eusebio, subito rihebbe intieramente la vista. Et portandosi a sepelire il suo santissimo Corpo, riscontrando un indemoniato, subito fu liberato, e fatto sano. Fu sepolto alla fine con molta riverenza ignudo in Betelemme a lato del suo caro Maestro, havendolo sopra vissuto d'anni duoi”.

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