sabato 16 marzo 2019

Giuseppe Guarneri del Gesù, il film mancato

Un sogno a lungo accarezzato che fu sul punto di realizzarsi nella primavera del 1951: un grande film su Giuseppe Guarneri del Gesù con i migliori attori della stagione neorealista italiana. Poi, non sappiamo esattamente per quale motivo, non se ne fece nulla. Era il terzo tentativo nel giro di tre lustri di dedicare un lungometraggio ai maestri della liuteria cremonese, che si sarebbe però concretizzato solo molti anni dopo nel 1988 con lo Stradivari di Giacomo Battiato, interpretato da Anthony Quinn, e, nel 1998, con “Il violino rosso” di Francois Girard. Nel 1936, in previsione delle celebrazioni del bicentenario stradivariano che si sarebbero tenute l'anno successivo, il comitato che si era appositamente costituito, tra le altre iniziative, aveva proposto anche l'idea di realizzare un film su Antonio Stradivari, che si sarebbe dovuto girare interamente tra le vie di Cremona. La proposta era stata fatta propria anche dall'Ente provinciale del Turismo, appena costituito sotto la presidenza di Tullo Bellomi. Se ne discusse nell'ultima seduta di quell'anno, ma poi non se ne fece nulla. L'idea, tuttavia, non era per nulla originale. I cremonesi erano stati bruciati sul tempo dai tedeschi che, il 25 agosto 1935, avevano distribuito nelle sale cinematografiche “Stradivari” il primo film dedicato al grande liutaio, affidato al regista Géza von Bolvàry, con un cast che annoverava i migliori attori del momento. Una produzione franco-tedesca realizzata con grande dispendio di mezzi, cui era seguita in ottobre, la versione francese intitolata “Stradivarius”. Un vero film, di oltre un'ora e mezza, con protagonista Stradivari ed i suoi violini, con una trama che, per alcuni versi, anticipava i contenuti del celebre “Violino rosso”, girato effettivamente nelle strade e nelle piazze di Cremona poco più di sessant'anni dopo.
Paola Gagnatelli negli anni '50
Quando dunque quella sera del 31 marzo 1951 Enzo Borromeo si presentò nel piccolo teatro del Gruppo Artistico Leonardo allestito nel palazzo dell'arte per assistere a due rappresentazioni de “L'uomo dal fiore in bocca” diretto da Adriano Vercelli, tutti lo notarono. Il regista era giunto espressamente da Roma accompagnato dalla sua segretaria Paola Gagnatelli, già attrice del Teatro Stabile diretto da Gemma D'Amora, che l'anno prima aveva lasciato Cremona per stabilirsi definitamente a San Felice Circeo. Di origini anconetane, Paola, scomparsa nel novembre del 2013 dopo aver insegnato per 32 anni nelle scuole elementari di Borgo Montenero, durante la guerra era sfollata a Cremona con la madre e si era dedicata con passione al teatro. Nel 2008 le è stato conferito dal presidente Napolitano il Cavalierato della Repubblica, dopo la pubblicazione di un libro “La lunga favola di nonna”, che si apre appunto con il racconto della sua vita cremonese. Ebbene il giovane regista teatrale romano era giunto a Cremona con il preciso intento di girare un film su Giuseppe Guarneri del Gesù, ed aveva fornito tutti i dettagli del progetto. Si sarebbe trattato di una coproduzione italo austriaca, tra la casa di produzione italiana Italmetrofilm e la Helios film austriaca. Le trattative erano durate parecchi mesi ed in quei giorni si stava stendendo il piano di lavorazione per le riprese, che si sarebbero dovute girare in buona parte nelle strade cittadine, nei palazzi e nella Cattedrale. Alcune scene si sarebbero girate a Parma ed altre a Bologna, mentre per gli interni la troupe si sarebbe trasferita a Vienna. Il soggetto era stato scritto da un autore austriaco mentre sarebbe stato lo stesso Borromeo a scrivere la sceneggiatura, in quei mesi in fase di ultimazione, avvalendosi di una serie di specialisti in materia di liuteria. La pellicola sarebbe stata girata interamente a colori con il sistema Agfacolor. Introdotto nel 1939, l'Agfacolor fu il primo processo negativo/positivo con sviluppo cromogeno di pellicole cinematografiche multistrato. Durante la Seconda guerra mondiale il procedimento fu usato per 13 film a colori. Dopo il 1945 dall'Agfacolor furono derivate altre pellicole a colori tra cui la Ferraniacolor. Lo sviluppo e l'introduzione dell'Agfacolor erano stati promossi dal governo tedesco e in particolare dal Ministro della propaganda del Terzo Reich Joseph Goebbels, il quale era convinto che i film a colori tedeschi avrebbero presto potuto competere con le produzioni di Hollywood. 
Otto Wernicke
Ma quello che avrebbe dovuto stupire era il cast stellare coinvolto nella produzione, formato dai più noti artisti italiani ed austriaci del periodo. Ad iniziare da Paula Wessely, una delle attrici di punta del cinema austriaco e dell'UFA, nel panorama cinematografico dell'anteguerra, vincitrice nel 1935 della Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile alla Mostra Internazionale d'arte cinematografica in “Episodio”, un film di Walter Reisch. Nel 1950 la Wessely aveva creato una propria casa di produzione che in nove anni avrebbe prodotto undici pellicole. C'era poi Otto Wernicke, noto per aver interpretato in due film di Fritz Lang il ruolo del commissario Karl Lohmann, il primo ispettore di polizia pragmatico e razionale della storia del Cinema. Fu, anche, il primo a rappresentare il capitano Smith nel primo film "ufficiale" sul Titanic nel 1943. Nel 1951 era impegnato in Italia in “Amore sangue”, un film di Marino Girolami con Andrea Checchi. Nel cast figurava il ballerino e attore teatrale austriaco Harry Feist, che nel 1942 aveva iniziato a lavorare in varie produzioni cinematografiche italiane di cui rimarrà storica quella in cui interpreta il maggiore Fritz Bergman in “Roma città aperta” di Roberto Rossellini. Will Quadflieg, uno dei più noti attori teatrali tedeschi del dopoguerra, considerato uno dei massimi declamatori di poesie in lingua tedesca, aveva recitato in opere di Schiller, Shakespeare, Ibsen e Schnitzler e lavorato anche in qualità di dialoghista e direttore di doppiaggio per il cinema, e come adattatore e rielaboratore di testi teatrali per il teatro di prosa e per quello musicale.
Silvana Pampanini
Tra le attrici italiane c'era Silvana Pampanini, la prima vera diva cinematografica italiana ad essere conosciuta in tutto il globo, dall'India al Giappone, dagli Stati Uniti all'Egitto, così come nella vecchia Europa.  Nei primi anni '50 Silvana Pampanini, che nel 1946 era stata eletta a fuor di popolo Miss Italiana ex aequo con Rossana Martini, è l'attrice italiana più pagata e richiesta. Nel 1951 avrebbe poi girato “Bellezze in bicicletta” in cui canta anche l'omonima canzone, e “Ok Nerone”, suo primo successo internazionale, parodia di "Quo vadis". E poi Vittorio Duse, che nel 1943 aveva recitato in “Redenzione” di Marcello Albani e “Ossessione” di Luchino Visconti e tanti anni dopo, nel 1990, avrebbe interpretato la parte dell'anziano don Tommasino, nel film “Il padrino, parte III” di Coppola. Tra gli uomini nel cast figurano anche Mario Ferrari, attore e doppiatore che avrà poi una carriera lunghissima, diretto tra gli anni trenta e quaranta da registi come Blasetti, Alessandrini e Brignone, prototipo dell'italiano fiero ed irriducibile, mai disposto a scendere a compromessi, ruoli che lo obbligano a non sfuggire al cliché di uomo granitico, integerrimo, rigoroso e a tratti severo che lo obbligano spesso ad interpretare il ruolo di ufficiale, ma che nell'Italia fascista ha rappresentato  l'immagine dell'eroe positivo, senza macchia e senza paura, a cui ispirarsi; Ugo Sasso, che nel 1970 interpreterà la parte dello sceriffo zoppo nel film “Lo chiamavano Trinità...”; Armando Guarneri , che negli anni quaranta aveva interpretato molti film, tra cui “Amanti in fuga” del 1946 con Gino Bechi, “I fratelli Karamazoff” del 1947 con Fosco Giachetti e Mariella Lotti, entrambi diretti da Giacomo Gentilomo e “L'isola di Montecristo” di Mario Sequi del 1949 con Carlo Ninchi e Claudio Gora nel ruolo di Esposito che negli anni cinquanta e sessanta prenderà parte sempre in ruoli di caratterista a molti altri film tra cui “Guardie e ladri” di Mario Monicelli e Steno del 1951 con Totò e Aldo Fabrizi nel ruolo del barbiere e in tanti altri. Ed infine Enzo Stajola, che all'età di sette anni, era stato scelto per il ruolo di Bruno Ricci da Vittorio De Sica nel film "Ladri di biciclette" del 1948. Viene scelto per via della sua caratteristica camminata. Lasciatosi dirigere dal grande maestro con estrema bravura, l'immagine dello Staiola bambino divene una specie di "manifesto" vivente del neorealismo italiano, per la sua profonda e spontanea umanità. Tuttavia, la sua successiva carriera di attore non gli ha mai permesso di approfondire il personaggio che l'aveva reso famoso né di ripetere il miracolo del suo debutto; benché qualcuna fra le sue interpretazioni sia apparsa degna di nota, come quella in "Cuori senza frontiere" (1950) di Luigi Zampa in cui sostiene un ruolo di rilievo.
Enzo Staiola in "Ladri di biciclette"
Questo per quanto riguarda gli attori. La colonna sonora sarebbe stata composta dalle musiche originali di Paganini eseguite dall'Orchestra Filarmonica di Vienna. Il regista Borromeo avrebbe voluto anche che partecipassero alle riprese i diversi attori delle compagnie filodrammatiche locali, con cui aveva già preso contatti. Ma in realtà il film, che avrebbe dovuto essere distribuito in Italia, Austria e Svizzera, non fu mai girato. Dello stesso regista Enzo Borromeo si persero le tracce e non si parlò più, fino agli anni ottanta, di altre pellicole a tema liutario.

Tuttavia il “Cannone”, lo strumento più celebre costruito da Giuseppe Guarneri nel 1743, suonato da Niccolò Paganini, è stato indirettamente protagonista di un film: nel “Violinista del diavolo” di Bernard Rose, sono le mani virtuose di David Garrett a rendere giustizia alle evoluzioni strumentistiche del suo rivoluzionario predecessore italiano, dando corpo al Paganini più credibile dello schermo. Ed il “Cannone” è diventato anche un fumetto: nel graphic novel 'Paganini' edito da De Ferrari in concomitanza con il 'Genova Festival Paganini' e la mostra a Palazzo Ducale 'Paganini rockstar” lo scorso ottobre, una comitiva osserva i due preziosi strumenti di Paganini a palazzo Tursi: il Cannone, e la sua copia, il Villaume. Quando tutti escono lasciando sola una giovane violinista, il Cannone si anima e racconta la storia del suo padrone. I quattro autori, Roberto Iovino e Nicole Olivieri (soggetto e testi delle schede), Gino Andrea Carosini (sceneggiatura e i disegni delle schede), Marco Mastroianni (disegni con alcune tavole fanno rivivere le avventure della tournée europea (dal 1828 al 1834), le case di Paganini fra Genova e Parma, Cremona e la liuteria con i Guarneri e gli Stradivari, i guadagni calcolati in rapporto al nostro tempo, le testimonianze dei grandi del tempo, la sua eredità artistica raccolta da Beatles, Hendricks, Michael Jackson, Madonna.

Quando c'era il Teatro Stabile

E' la fine di aprile del 1949. Settant'anni fa. Le ultime macerie della guerra ingombrano ancora parte delle strade e nelle campagne serpeggia la sanguinosa rivolta contro le disdette dei contratti agrari, ma la necessità di scrollarsi di dosso la polvere della tragedia è tanta. C'è voglia di libertà, di vita, di creare una cultura diversa e nuove occasioni di incontro e discussione. Con questo spirito un gruppo di giovani decide di riunirsi per fare teatro come attori, registi, scenografi, affiancandosi di tanto in tanto a qualche attore professionista, per far conoscere a tutti gli autori italiani e stranieri più significativi, cancellati da vent'anni di vecchia retorica ammuffita. E' la prima esperienza di un teatro stabile cremonese, durerà poco più di un anno, ma costituisce la tappa fondamentale per la nascita di una serie di compagnie dilettantistiche ed amatoriali che animeranno la cultura cremonese per cinquant'anni, permettendo la formazione, al loro interno, di generazioni di attori destinati a calcare i palcoscenici e le scene nazionali. Un piccolo trafiletto, quasi nascosto, annuncia su “La Provincia” del 28 aprile 1949, la costituzione di questo gruppo di ardimentosi, intenzionati a proporre uno spettacolo già verso la fine di maggio. In realtà le difficoltà sono tante da superare e bisogna attendere la fine dell'estate per poter mettere in cantiere la prima pièce. Per il debutto si sceglie “Sei personaggi in cerca d'autore” di Luigi Pirandello a cui si vorrebbe far seguire “Viaggio verso l'ignoto” di Suttor Vane. Nei mesi precedenti il sindaco Ottorino Rizzi ha fatto in modo di concedere il patrocinio del Comune alla nuova compagnia e, andando personalmente alla Direzione del Teatro di Roma, ottenerne il riconoscimento di “teatro stabile della città di Cremona”. Viene scelta come sede della compagnia e delle rappresentazioni il Palazzo dell'arte e si individua in Gemma D'Amora la direttrice artistica.
L'Uomo dal fiore in bocca di Pirandello, con Oscar De Marchi
e Walter Benzoni (1951)
La D'Amora proviene dalla compagnia “Stefano Foletti” della Società Filodrammatica Cremonese, dove nel 1942 è stata indicata come direttore artistico in sostituzione di Umberto Palmarini dall'Opera Nazionale del dopolavoro ed ha firmato la regia di alcuni spettacoli in uno dei quali, “Il tuo bacio”, è comparso sulla scena il giovane Ugo Tognazzi. E' stata successivamente oggetto di una accesa contestazione al teatro Politeama in occasione del debutto dell'Accademia Filodrammatica sotto l'egida dell'Enal, da lei diretta dopo la fine della guerra, in una serata del settembre 1945 con l'intervento della forza pubblica per la sospensione dello spettacolo.
“Di volta in volta – recita il programma – accanto ai filodrammatici locali, si presenteranno attori professionisti di fama, così da poter dar vita a realizzazioni che al pregio di un'ottima esecuzione, uniscano l'efficace originalità del nuovo esperimento”. Il repertorio presentato alla Direzione generale del Teatro è molto ambizioso e prevede un ciclo di rappresentazioni di notevole portata artistica: si va da Pirandello a Shaw, da D'Annunzio a Goldoni, a Ibsen, Anouith, Gerhi Calvino, Trieste, Salacrou, Eliot, Chiarelli, Giacosa. Ce n'è per tutti i gusti in un caleidoscopio di nomi celebri, opere immortali, capolavori classici ed i grandi successi contemporanei. Come già annunciato in precedenza il debutto è affidato ai “sei personaggi” di Pirandello e al “Viaggio verso l'ignoto” di Sutton Vane, uno dei testi di maggior successo del teatro inglese, a cui si lavora contemporaneamente. Lo scopo è semplice: “Riportare il teatro al pubblico e il pubblico all'amore per il teatro. Non rieducazione, ma desiderio vivo, come la volontà di coloro che si prodigano per l'affermazione della coraggiosa iniziativa, di permettere al pubblico di ascoltare buoni e nuovi lavori, senza essere costretto ad incidere gravemente sul bilancio familiare per assistere ad una buona rappresentazione. E ciò è molto importante, soprattutto perchè crediamo nell'intelligenza di Cremona sempre portata al bello, in tutte le manifestazioni artistiche, fra le quali il teatro di prosa non è certamente ultimo”.
Gemma d'Amora si avvale, fin dagli inizi, dell'aiuto del Gruppo Artistico Leonardo nel reperimento degli attori, scelti tra i migliori appassionati filodrammatici della città: assicurano la loro presenza Milli Bruni, Paola Gagnatelli, Iris Pastori, Ferdinando Caffi, Alfredo Ricci, Marco Silvi e, per le scenografie, il professor Fernando Palandi. Ma la compagnia stabile è aperta al contributo di tutti quanti ritengono di avere doti di recitazione e attitudine alla regia, attraverso una selezione che ne metta in luce le qualità. In preparazione del primo spettacolo viene riadattato all'uso il teatro del Palazzo dell'arte, scelto per la messa in scena delle prime rappresentazioni. A seguire i primi passi della Compagnia è sulla stampa Gian Galeazzo Biazzi Vergani, che recensisce il debutto la sera di sabato, 5 novembre: “La regia di Gemma D'Amora, aderente al testo, ha saputo presentarci un'edizione assai decorosa, giovandosi soprattutto dell'intelligente ed espressiva interpretazione della Gagnatelli, che delineando la figura della figlia con toni caldi e limpidi di dizione,e con accenti appropriatamente aggressivi ed insinuanti, si è rivelata interprete dotata di notevoli doti drammatiche. Gemma D'Amora ha composto con umanità la dolente figura della madre, mentre il Caffi non ci è sembrato, specie nel primo atto, molto efficiente nella parte del padre. Assai ben il Ricci, autorevole capocomico la Bruni, il Silvi e tutti gli altri. Il pubblico, assai numeroso, ha applaudito con calore, decretando il buon esito della serata. La rappresentazione è stata preceduta da una breve prolusione di Vittorio Dotti, che, inaugurando il teatro Stabile, ne ha illustrato le finalità e gli scopi”.
Tuttavia non mancano le critiche: un gruppo di appassionati, fra cui figurano i nomi più illustri dell'arte e della cultura cremonese di quel periodo, scrive una lettera al giornale, sottolineando quali siano le difficoltà che incontra un teatro stabile in provincia: “I piccoli teatri sono nati in tutta Italia col preciso scopo di fare del teatro d'arte, di far conoscere i testi, di creare degli «attori», di impostare al scuola di regia secondo i concetti moderni. E solo a tal fine il Governo ha accettato di sovvenzionare i «piccoli teatri», centri vitali dell'arte scenica, fucina autentica di attori, di registi e di scenografi. Abbasso dunque il teatro filodrammatico? Ma il teatro filodrammatico non è mai esistito se non nelle intenzioni di coloro che si sono autodefiniti «dilettanti!. E sono proprio costoro che hanno travisato la funzione dei dilettanti (e cioè dell'amatore disinteressato), facendone un cattivo imitatore del professionista in tutte le malizie del mestiere e perdendo di vista il compito primo: l'amore verso il teatro non contaminato da secondi fini. Il «Teatro stabile» di Cremona è nato con queste intenzioni? Ha pesato bene la sua responsabilità e di fronte all'arte e di fronte al pubblico? Presentando «i sei personaggi» si è reso conto del difficile passo intrapreso? Ci spiace, na è necessario entrare in polemica. Il teatro di Pirandello è mondo di poesia per chi lo sa capire, è scoglio insuperabile per l'impreparato. Al «Teatro Stabile» non è stato interpretato nulla ma è stato «parodiato» il pessimistico mondo pirandelliano. Dove è andata la poesia, dove è andato il contenuto di tragedia dei «sei personaggi»? Nulla. Di fronte ad una recitazione piatta, disuguale, stona, il padre è diventato un burattino mosso dai fili di un dilettantismo impacciato e vuoto. Dove il problema psicologico che lega tutti i personaggi nel significato più profondo di una tragedia umana? Al danno di un'opera insigne, sciupata per incomprensione, s'aggiunge il fatto che, quella sera, ancora una volta, imperò il cattivo dilettantismo. Problema di regia? Quale, di grazia, vorremmo chiedere a Gemma D'Amora? Se fino al giorno cinque novembre abbiamo creduto al «Teatro Stabile», oggi diciamo ch'esso è una stortura, una comune filodrammatica che, sotto il velo dell'arte, cerca di gettare fumo negli occhi del pubblico e dell'appassionato. Basta con simile dilettantismo! Non pochi, e probabilmente i migliori, attori non professionisti locali non fanno parte del «Teatro Stabile»: la loro sfiducia ha suonato condanna. Fin dal principio, per tale iniziativa. E' un difetto di competenza che mina dalla base l'istituzione ed è alla competenza che ci si richiama per dar vita a qualcosa che sia «stabile» non soltanto di nome: competenza nel teatro (e serietà ed onestà e amore) nella critica. Proposte positive e concrete oer giungere a ciò possono e vogliono essere fatte – conclude la lettera – Basterebbe che il Sindaco, o altra autorità cittadina a ciò delegata, indicesse una riunione di tutte le persone che mostrano interesse concreto verso simili problemi: e senza dubbio scaturirebbero quelle proposte che ovviando ai presenti gravi e denunciati difetti avvierebbero il «Teatro Stabile» verso quella prospera e feconda vita che per l'amore all'arte e il bene dei cittadini amanti de teatro, tutti ci auguriamo”. La lettera è firmata dal pittore Ernesto Piroli, da Mario Monteverdi, Ugo Bassi, Gianfranco Taglietti, Angelo Pasquali, Oscar De Marchi, dal pittore Remo Azzini, Maspero Gatti, Mario Balestreri, Alceo Zeni, Ferruccio Monterosso, Ermanno Calchi, Angelo Santoro, Umberto Lazzari, dal pittore Sereno Cordani, Sergio Tronci, Ezio Dolfini, Carmelo Di Quattro, Gian Franco Pavesi, Maurizio Corti, dal pittore Giuseppe Guerreschi, Rodolfo De Renzi, Ugo Teschi e Sergio Pasquinoli.
Il successivo spettacolo, “Viaggio verso l'ignoto” un testo del 1924 di Sutton Vane, messo in scena la sera del 29 novembre conferma purtroppo tutte le perplessità: “Una simile commedia richiedeva un flusso sottile e sapiente di accostamenti stilistici e tonali costantemente armonizzati. Purtroppo questa continuità è spesso mancata – scrive Biazzi Vergani – La recitazione, specie nel primo atto, ha troppo sofferto id scatti, ed ha denunciato una certa impreparazione. Ci hanno convinto solo Paola Gagnanelli, dolce ed espressiva e Giacomo Negri nella ben stilizzata parte di Scrutty. Gli altri ci sono apparsi troppo discontinui. Pubblico ed applausi scarsamente numerosi”.
La crisi è dietro l'angolo e il sindaco Rizzi convoca una riunione in comune, alla quale partecipano una trentina tra attori, capocomici ed appassionati, oltre al presidente del Teatro Stabile Vittorio Dotti per formulare proposte destinate ad elevare il livello artistico della Compagnia, che, peraltro, non ha ancora ricevuto dal Ministero dello Spettacolo il contributo finanziario indispensabile per proseguire nell'attività. La discussione è accesa ed i pareri sono diversi e divergenti, ma nessuna delle proposte formulate viene accolta. Per cui si decide di convocare un nuovo incontro ristretto tra direttori artistici e critici teatrali per trovare una soluzione che porta a risultati concreti. Nel frattempo Gemma D'Amora tenta una nuova carta proponendo la sera del 21 gennaio 1950 “Come le foglie” di Giuseppe Giacosa nel cinquantenario della prima rappresentazione, con i soliti attori del gruppo: Celeste Ghiraldi, Milly Bruni, Gemma D'Amora, Giacomo Negri, Alfredo Ricci, Marco Silvi, Pina Bodini, Paola Gagnanelli, Iris Pastori, Fernanda Monteverdi, Vittorio Manfredini, Adriano Bignami e Adele Bianchi. Il risultato è in linea con i precedenti e di conseguenza, la sera del 3 febbraio, si ritrovano nuovamente attori ed appassionati per risolvere il problema. Alla riunione partecipano i rappresentati della varie compagnie, “il Gruppo artistico Leonardo”, la “Filodrammatici” e la “U.O.E.I”, con un ospite illustre: Adriano Vercelli, direttore artistico del gruppo milanese “la Giostra”, invitato da alcuni appassionati su segnalazione del direttore del Piccolo Teatro Paolo Grassi. Si studia la possibilità di istituire un centro di cultura teatrale in cui fare confluire i migliori elementi di tutte le compagnie cittadine, allo scopo di elaborare un repertorio teatrale selezionato secondo gli indirizzi culturali più moderni. Vercelli mette anche alla prova gli attori presenti all'incontro per verificarne le capacità. Il nuovo corso prevede una serie di conferenze tenute dallo stesso Vercelli, che porta a Cremona la compagnia “La Giostra” con il Saul di Vittorio Alfieri, in occasione del secondo centenario dalla nascita, conferenze di Mario Apollonio e Alessandro Pellegrini, mentre il Teatro Stabile con “La Giostra” mettono in scena “L'assassinio nella cattedrale” di Eliot, cui dovrà seguire “Il ventaglio” di Goldoni proposto dal solo Teatro Stabile. Nel frattempo in senso al teatro Stabile iniziano i corsi dell'accademia drammatica con lezioni di dizione, storia del teatro e attività teatrale pratica ed il coinvolgimento della Società di Lettura e del Leonardo. La sera del 6 maggio 1950 si tiene presso il Teatro Filodrammatici per iniziativa del Teatro Stabile la prima rappresentazione de “L'assassinio nella cattedrale” interpretata dalla compagnia “la Giostra” diretta dallo stesso Vercelli con interprete principale Mario Pogliani a cui segue il 3 giugno il “Saul”. In luglio iniziano le lezioni di dizione tenute da Mario Monteverdi. Ecco come si svolgono: “Brani poetici del Foscolo, e del Leopardi hanno fatto vibrare la sensibilità artistica di questi studiosi dell'arte del «dire». Ognuno, dopo aver espresso il proprio punto di vista sul brano poetico, non come critica, ma come personale sensazione, deve, attraverso una lettura guidata dalla sensibilità intuitiva, dare agli altri, restituire quasi, la sensazione ricevuta. Lo sforzo è ammirevole: in alcuni più spontaneo e naturale, in latri meno. Comunque c'è passione per l'arte; e passione pura è quella del maestro che li guida e che coglie tutte le sfumature per correggere, per incoraggiare; per preparare la base dell'arte del palcoscenico; una dizione perfetta, senza la quale lo sforzo sarebbe vano”. Alla ripresa dell'attività in settembre il quadro si è modificato. Fin dalla sua nascita il teatro Stabile ha sempre avuto difficoltà economiche, al punto che non può sostenere le spese per il regista, mettendo a rischio anche le future rappresentazioni. Viene in soccorso il “Gruppo Artistico Leonardo” proponendo una convenzione con cui si accolla il pagamento del regista e delle prossime rappresentazioni, offrendo i suoi locali per le riunioni, le prove ed i corsi di dizione, in cambio il teatro Stabile aggiungerà alla dicitura “con il patrocinio del Comune” quella di “e con l'ausilio del Gruppo Artistico Leonardo. Prima tessera di socio onorario del Leonardo è per il presidente dello Stabile Vittorio Dotti.
L'esordio del nuovo Teatro Stabile avviene il 31 marzo 1951 nel teatrino del Gruppo Artistico Leonardo a palazzo dell'arte con “L'uomo dal fiore in bocca” di Pirandello diretto da Vercelli, presentato in due versioni, una romantica e l'altra surreale, come saggio degli allievi della scuola di recitazione. Tra di loro compaiono i nomi di due giovani interpreti che poi faranno la storia del teatro cremonese: Oscar De Marchi e Walter Benzoni. Positivo il giudizio di Gian Biazzi Vergani, seppure con qualche riserva sull'allestimento in chiave “surreale”: “Il modo in cui lo ha reso Vercelli è stato indubbiamente efficace, ma è logico che quando uno dei due fantocci-uomo, che vive in astratto al di là del reale la propria sofferenza e la sofferenza di tutta l'umanità, cita ad esempio Avezzano e Messina, l'incanto della surrealità si rompe. Lo spettacolo è piaciuto anche per la interpretazione che ne hanno dato Oscar De Marchi, un vero attore, che ha gusto, sensibilità ed intelligenza, che sa il valore delle pause e conosce il senso della misura, e Walter Benzoni, sempre felicemente presente all'azione. In un certo senso, la loro recitazione predisposta nei più minuti particolari dal regista era più facile di quella di altri interpreti «romantici». I quali erano abbandonati a loro stessi con una parte difficile, senza azione, e scarsamente teatrale, tutta da sostenere in una dialogazione che non può fruire di mediazioni, e che richiede esperienza e consumato mestiere. Tortini, nella parte dell'«Uomo dal fiore», ha recitato con impegno dando anche a vedere di avere buone doti. Ma non è riuscito a liberarsi da una veste o meglio da una sovrastruttura scolastica per donare estro e originalità al personaggio. Vi sono però in lui le possibilità di divenire un buon attore. Maggiore naturalezza, maggiore spigliatezza e verosimiglianza invece nella figura dell'avventore Augusto Ferragni”,

Ma la situazione resta difficile, come annota nell'ottobre 1951 il presidente del Gruppo Artistico Leonardo Palandi, sotto la cui egida opera ormai il Teatro Stabile: “Il Gruppo Artistico Leonardo e il teatro Stabile anche quest'anno faranno ogni sforzo per attuare un programma di attività culturale, pur dovendo superare gravi ostacoli quali la situazione finanziaria, l'apatia del pubblico, e delle autorità ed altri”. Gli fa eco il segretario del Teatro Stabile Feroldi: “Stiamo preparando un programma che posa figurare con qualche decoro, ma lavoriamo, come ella ha ben compreso (si riferisce a Gian Biazzi Vergani, ndr), troppo...soli. Sentire però che qualcuno guarda con interesse al nostro lavoro ci dà speranza e nuova lena”. Ma nel programma culturale 1952/53 del Gruppo Artistico Leonardo, la prima stagione organizzata nelal nuova sede nel palazzo dell'arte nei locali lasciati liberi dalla Società di lettura, l'attività del Teatro Stabile diventa marginale a causa della mancanza di uno spazio teatrale vero e proprio che ha già costretto la compagnia a recitare altrove. Tuttavia, pur con queste difficoltà, si programma la rappresentazione di “Assassinio nella Cattedrale” di Eliot, “Le donne curiose” di Goldoni, “Enrico IV” di Pirandello e “Le notti dell'ira” di Salacrou. “Assassinio nella Cattedrale” vien dato la sera del 24 gennaio 1953 al teatro dei Filodrammatici con la regia di Edoardo Vercelli, riprendendo la precedente edizione con “La Giostra” con grande successo di pubblico. Alcuni giovani del teatro Stabile e della Compagnia di prosa del Gruppo Artistico Leonardo collaboreranno poi con il Circolo Zaccaria per la messa in scena di una Sacra rappresentazione nella Pasqua di quell'anno. Ma sarà il canto del cigno del Teatro Stabile, destinato a restare l'unico tentativo di un'esperienza teatrale di livello professionistico a Cremona.