mercoledì 13 dicembre 2017

L'aspirina di Matteo Moro

Foglie di salice bianco
Gli effetti dell'acido salicilico, da cui si ottiene l'aspirina, sono noti da tempo. Erodoto, nelle sue “Storie” parla di un popolo stranamente più resistente degli altri alle comuni malattie, che usa masticare le foglie di salice. Ippocrate, il padre della medicina moderna, descrive nel V secolo una polvere amara estratta dalla corteccia del salice, utile per alleviare il dolore ed abbassare la febbre. Lo stesso rimedio viene citato dai sumeri, dagli egizi e dagli assiri, ma era conosciuto anche dai nativi americani che lo usavano per curare il mal di testa, la febbre, i dolori muscolari. E' stato il reverendo Edward Stone, nel 1757, a scoprire gli effetti benefici della corteccia del salice, da lui assaggiata, e sei anni dopo, in una lettera inviata alla Royal Society, a giustificarne l'utilizzo contro le febbri. Ma, prima che nel 1828 Johann Buchner isolasse in cristalli la sostanza attiva dell'estratto di corteccia del salice bianco, fu un medico cremonese a suggerirne l'uso di massa per combattere gli effetti delle forme di raffreddamento tra i contadini, dopo averne sperimentati gli effetti su se stesso. Il medico si chiamava Matteo Moro e di lui è rimasto il ricordo per essere stato l'inventore, qualche anno prima, di una particolare seggiola ostetricia destinata alle partorienti. Curiosamente, però, Francesco Robolotti, medico lui stesso, ed autore di una storia della medicina cremonese, non lo ricorda tra i medici illustri suoi contemporanei, limitandosi ad annotare che un suo opuscolo venne rintracciato tra le carte del dottor Giambattista Rasori, di Barzaniga.
Matteo Moro suggerì la cura con l'acido salicilico in una lettera inviata alla “Gazzetta di Cremona” dei fratelli Manini, il 22 luglio 1816 a pag. 240: Eccone il testo: Il dott. Moro Medico Chirurgo, già conosciuto per le di lui produzioni stampate in Milano, membro di diverse accademie, s'affretta di manifestare quanto segue.
Le osservazioni in medicina, quanto più sono semplici, altrettanto sono pregievoli. Una delle piante comunissime a rinvenirsi nelle Provincie della Lombardia si è il Salice, o Salcio (Salix alba, fragilis, pentandra Linnei). Tre sono le specie di salice che servono al medesimo scopo, e poco diversificano fra loro nell'azione medica. Il Salice in genere è conosciuto anche dal più idiota de' contadini avendolo tutto di sott'occhio, coronando per lo più i loro campi. Questa pianta indigena è considerata febbrifuga per sapore amaro, stittico, balsamico della sua corteccia, specialmente ne' suoi rami. Questo succedaneo alla China-China si è rescritto in decozione, facendo bollire nell'acqua la corteccia di detta pianta, ed in altri modi: ma parlando dei contadini, talvolta pressati dalle facende della campagna, non trovano il tempo di fare con esattezza questa bollitura decozione, colatura ecc., per cui al loro solito trascurano ogni utile mezzo e si riducono gravemente infermi.
Il dott. Moro nel 1815 fu travagliato da febbre intermittente di tipo terzana, prese alquante once di china, e la febbre dopo un certo periodo di tempo, gli ritornava. Dovendo per la di lui pubblica delegazione visitare i suoi ammalati, alla mattina montava a cavallo, e nel suo gire pigliava de' ramicelli di salice, e masticandone questa corteccia ed inghiottendone la scialiva, provò in effetto che più oltre non sentì la febbre, e che tanti contadini soggetti alla febbre terzana consigliati da lui a far uso di quella corteccia nello stesso modo, comodissima per loro da aversi, e potendola masticare anche nel tempo che travagliano in campagna, specialmente alla mattina a digiuno si preservavano dalla recidiva di detta terzana.
Questa semplicissima osservazione può essere di grand'utile pei nostri contadini, tanto più nella stagion presente, dove in alcune province lombarde dominano molte febbri del suindicato carattere. Posta anche la necessità di dover con giudizio del Medico arrestare colla China China, od altro farmaco, certe febbri intermittenti, per la loro intensità e carattere perniciose, sarà sempre cosa utile e vantaggiosa ai nostri contadini, che loro sia nota l'azione febbrifuga di un semplice che tutto di hanno sott'occhio, e il facile metodo di adoperarlo per impedire la recidiva della terzana.
Quanti uomini di campagna non andrebbero soggetti alle coliche, alle dissenterie, al tenesmo etc. se trovandosi sull'aja con al verga in mano battere i loro raccolti, facessero uso della suddetta corteccia per masticazione! Essi per moto e pel calore estivo non soffrirebbero questa sete inestinguibile che di sovente li obbliga a bere in gran copia dell'acqua, e bevendone anche sarebbe corretta da quel succo amaro, balsamico, corroborante che ne impedirebbe i tristi effetti.
S'affretta l'osservatore, affinchè stante le attuali contingenze ciò sia reso a pubblica notizia in bene dell'umanità. Da Cremona, lì 12 luglio 1816.
Fisico D.G. Matteo Moro, Medico chirurgo maggiore”

Vecchia pubblicità dell'aspirina
Non si hanno molte notizie sull'opera di Matteo Moro. Viene citato il 7 dicembre 1797 come medico curante di Francesca Sartori di 51 anni di Borgo Ticino (Pavia) (Annotazioni medico-pratiche sulle diverse malattie trattate nella clinica medica della R. Università di Pavia negli anni MDCCXCVI, MDCCXCVII, MDCCXCVIII...del signor professore Giuseppe Frank...di Valeriano Luigi Brera, vol. II, Crema, Donna, 1807, pp. 77).
Francesco Robolotti ricorda di aver trovato tra le carte del dottor Giambattista Rasori, di Barzaniga, morto nel 1821 di tifo petecchiale, un opuscolo dal titolo “Sull'opera di ostetricia del prof. Nessi e del dottore Matteo Moro” e lo dice medico di Cremona (Robolotti Francesco, Storia e statistica economico-medica dell'Ospitale Maggiore di Cremona, Cremona, Feraboli, 1831, p. 277).
Nel giornale di medicina pratica compilato da Valeriano Luigi Brera, (vol.III, Padova, Stamperia del Seminario, 1813, p.273) si cita il caso di un'ernia inguinale spuria “per causa verminosa” in un paziente settantenne curato felicemente a Cremona da Matteo Moro. Che nel 1814, è citato tra i membri dell'Ateneo Veneto. Una guarigione che ha del prodigioso: “Si presentò al signor dott. Matteo Moro, Medico-chirurgo in Cremona, un settuagenario di buon temperamento con tumore dolente nella regione inguinale destra, accompagnato da tormini, da movimento febbrile e da scarsezza di escrezioni alvine. Tuttochè mancasse il vomito, il tumore aveva al tatto l'aspetto d'un'ernia piuttosto omentale che intestinale. Si tentà in vano di farne la riduzione; e perciò venne prescritto un clistere mollitivo: Riveduto nel giorno susseguente quest'infermo si osservò, che dal tumore riputato ernioso era uscito un grosso lombricoide; e che svanita ogni tumefazione inguinale non vi rimase che il foro fatto dal verme fuor uscito. Immediatamente si dissiparono la colica e la febbre, e l'alveo divenne regolare. La picciola ferita fu ridotta in pochi giorni a cicatrice”.
Nel 1812 Matteo Moro aveva presentato una nuova seggiola ostetrica di sua invenzione per la casa delle partorienti di Santa Caterina alla ruota di Milano “seggiola rinvenuta utile non solamente pel parto naturale, ma ben anco per il non naturale” (Storia della medicina in aggiunta e continua a quella di Curzio Sprengel scritta dal dott. Francesco Freschi, vol. VIII, parte seconda, Milano, Volpato, 1851, p. 1389 e Dizionario Classico di medicina interna ed esterna, Venezia, Antonelli, 1835, p. 700) L'opuscolo, accompagnato da due tavole in rame, pubblicato da Sonzogno, è recensito dal Giornale del Taro del 1812, a pagina 158: “Le cognizioni del sig. dottor Moro in punto d'ostetricia non possono essere dubbiose: dodici e più anni di pratica non interrotta gli debbono aver presentate innumerevoli occasioni di rettificare i suoi principi teorici, di esercitar la sua mano, e di stabilire quali fossero gli stromenti ed apparecchi di cui, per avventura, ancor mancava questo ramo sì importante della chirurgia. I viaggi ch'egli ha intrapresi per le città principali del Regno, il suo non breve soggiorno in questa capitale e le spese da lui impiegate per arricchirsi ognor più più di lumi nell'esercizio della sua arte, sono nuovi titoli che procacciar debbono al nostro professore confidenza ed estimazione. Guidati da questi riflessi, abbiamo, tempo fa, raccomandata la sua operetta, intitolata 'Dottrina umana delle cose principali per una levatrice'; ed ora ci facciamo premura di annunziare la nuova seggiola ostetricia, da lui ultimamente inventata, sicuri che le persone dell'arte ne riconosceranno tutta l'utilità, e non tarderanno a farne uso, ed a sostituirla alle altre seggiole praticate da prima. I favorevoli voti, che ha già riscosso da incliti personaggi l'invenzione del sig, dottor Moro, mentre le presagiscono il più felice successo, debbono altresì fin d'ora incoraggiarne l'autore, e dargli fondate speranze sulla pubblica riconoscenza”.

Il nostro medico cremonese può dunque essere inserito tra i primi sperimentatori dell'efficacia dell'acido salicilico, anche se la vera storia dell’aspirina ha avuto inizio nel XVIII secolo grazie alle fortuite associazioni mentali di un pastore della contea di Oxford. Un giorno, passeggiando in un bosco, il reverendo Edward Stone, esperto botanico, assaggiò, per caso, un pezzetto di corteccia di un salice. Trovandola particolarmente amara richiamò nella sua mente l’amaro sapore della cinchona, pianta dalla quale veniva estratto il chinino, conosciutissimo anti-malarico, importata dal Perù.
Il reverendo, esperto anche di questioni mediche, iniziò a pensare che la scorza di salice poteva essere utile per combattere le febbri malariche, pur essendo stupito del fatto che, paradossalmente, questo albero crescesse proprio nelle regioni più umide e insalubri. Il 2 giugno 1763, Edward Stone lesse una relazione alla riunione della Royal Society di Londra, in cui venivano presentati i successi ottenuti, nella lotta alle febbri malariche, con il decotto di scorza di salice su 50 soggetti febbricitanti. Nella sua ricerca intitolata: "Sulla corteccia di salice nella cura delle febbri malariche" avviò sulla scena terapeutica i salicilati e quindi l’aspirina. Il decotto di corteccia di salice tanto esaltato da questo ecclesiastico di Chipping Norton nell’Oxfordshire agiva effettivamente nelle febbri malariche. Poco importava se l’azione antifebbrile non era associata a quella anti-malarica effettiva del chinino. Iniziarono nei primi decenni del XIX secolo indagini serrate in punti disparati dell’Europa nel tentativo di ottenere allo stato puro quella che veniva ritenuta la sostanza attiva del salice.
Nel 1828 il professor Johann Andreas Buchner di Monaco di Baviera ne ricavò, mediante ebollizione, una massa gialla che chiamò salicina. L'anno seguente il farmacista francese Leroux isolò la salicina, principio composto da glucosio ed alcool salicilico in forma cristallina:
30 grammi di "salicina" vengono estratti da 500 grammi di scorza di salice. Nel 1835, in Svizzera, da un cespuglio selvatico molto comune nei campi si ottiene una sostanza simile: viene chiamata "spirsauro" e qualche anno dopo ci si accorge che è acido acetilsalicilico allo stato puro.
Si deve però, a Raffaele Piria, chimico napoletano, il merito di aver scoperto che dalla salicina si poteva giungere all’acido salicilico. Piria ne dette comunicazione in due articoli, "Ricerche sulla salicina ed i prodotti che ne derivano" (1838) e "Ricerche di chimica organica sulla salicina" (1845). Intanto la salicina era stata trovata in diversi vegetali come nei fiori di ulmaria e nell’olio di gualteria (essenza di Wintergreen).
Ed infine, nel 1853 il chimico Charles Frederic Gerhardt di Strasburgo produsse per la prima volta l'acido acetilsalicilico, in forma tuttavia chimicamente impura e quindi non stabile. Il procedimento di acetilazione risultò così complesso da scoraggiare le aziende farmaceutiche, tanto da ritardare di circa 44 anni il passo successivo. Ad Hermann Kolbe di Marburgo va invece il merito di aver scoperto la struttura dell'acido salicilico e di averlo sintetizzato.
Nel 1874 si poté così avviare la produzione industriale dell'acido salicilico, il cui prezzo era dieci volte inferiore a quello del prodotto naturale. Questa sostanza aveva tuttavia un gusto sgradevole e spesso aggrediva la mucosa gastrica, costringendo le persone afflitte da dolori a scegliere tra due mali.
Felix Hoffmann
Ad arriviamo a quello che è stato sempre ritenuto lo scopritore dell'aspirina: Felix Hoffmann, era un giovane chimico dell’industria chimica tedesca Bayer di Leverkusen, in Renania Bayer. Il padre di Felix, affetto da una grave forma di malattia reumatica, assumeva il salicilato di sodio che gli conferiva un grande giovamento, nonostante il sapore sgradevole e l’effetto gastrolesivo. Nel tentativo di migliorare la qualità di vita del padre, Felix Hoffmann iniziò a condurre indagini sistematiche alla ricerca di un composto efficace e tollerabile, alternativo al salicilato di sodio. Muovendo dalle esperienze di Gerhardt, Hoffmann tentò di nobilitare l'acido salicilico per migliorarne la tollerabilità e riuscì nel suo intento mediante l'acetilazione, cioè attraverso la combinazione di acido salicilico con acido acetico. Il 10 agosto 1897 egli descrisse nelle sue note di laboratorio l'acido acetilsalicilico (ASA), da lui sintetizzato in forma chimicamente pura e stabile.
Ma il vero scopritore dell'aspirina non sarebbe stato lo scienziato cui da sempre viene attribuita l'impresa, ma il suo superiore, ebreo tedesco, Arthur Eichengruen, il cui ruolo è stato cancellato con l'ascesa al potere dei nazisti in Germania.
Questa rivelazione è stata fatta di recente da Walter Sneader, vicecapo del dipartimento di scienze farmaceutiche all'università di Strathclyde, a Glasgow a seguito di alcune ricerche che gli hanno permesso di trovare una descrizione della scoperta dell'aspirina di Hoffmann nella Storia della Tecnologia Chimica datata 1934 (un anno dopo la presa del potere di Adolf Hitler).
Sneader sostiene che: Hoffmann era una delle 10 persone che lavoravano sotto Eichengruen ai tempi della scoperta; un procedimento messo a punto da Eichengruen è stato seguito negli esperimenti che hanno portato all'aspirina. Secondo il professore scozzese, Eichengruen non aveva condizioni di contestare Hoffmann nel 1934 perché stava lottando contro la marea di antisemitismo e sperava di salvare la Eichengruen Lavori Chimici, l'azienda che aveva fondato dopo aver lasciato la Bayer nel 1908. 
Arthur Eichengruen

Eichengruen non ce l'ha fatta. La sua azienda e gran parte dei suoi averi sono stati sequestrati e, a 75 anni, è stato mandato al campo di concentramento di Theresienstadt nell'attuale Repubblica Ceca. E' sopravvissuto, ma non è stato in grado di pubblicare le sue rivendicazioni di aver scoperto l'aspirina fino al 1949. Lo ha fatto in un allora oscuro giornale scientifico tedesco chiamato Pharmazie, un mese prima di morire, ma la Bayer ha smentito tali affermazioni.
Prima della sua registrazione, l'ASA fu sottoposto dalla Bayer a sperimentazione clinica, una prassi fino ad allora sconosciuta. I risultati furono così positivi che la direzione dell'azienda non esitò ad avviare la produzione del farmaco.
Quando l'1 febbraio 1897 la Bayer mette in commercio l'aspirina il nome non è scelto a caso: la "a" è l'abbreviazione di acido acetilsalicilico, "spir" viene da "spirsäure" che in lingua tedesca sta per "acido della spirea", la pianta da cui per la prima volta venne  estratto l'acido, e "ina" è uno dei suffissi classici utilizzati in chimica.  Il nome "aspirina", dunque, è una testimonianza precisa di quanto di utile può essere contenuto nelle erbe ma costituisce anche il punto di arrivo di una lunga ricerca scientifica. Il 1° febbraio 1899 venne depositato il marchio Aspirina che un mese dopo, il 6 marzo, fu registrato nella lista dei marchi di fabbrica dell'Ufficio Imperiale dei Brevetti di Berlino.  Iniziava così una marcia trionfale: l’affermazione dell’aspirina fu da questo punto un crescendo. 

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