lunedì 11 dicembre 2017

La Caporetto del capitano Giuseppe Denti

Il capitano di complemento Giuseppe Denti
Il monte Kum è un montagna alta poco meno di mille metri situata nella parte orientale della provincia di Udine, nei pressi del confine con la Slovenia. Nel corso della Grande Guerra costituiva una cima strategica per il fronte italiano, inserita nell'ultima linea di difesa ad oltranza e fu di conseguenza una delle postazioni più colpite nella battaglia di Caporetto. La cima, difesa dalla brigata Elba, venne conquistata dalle truppe tedesche dell'8° reggimento dei Leibgrenadier alle 11 del 26 ottobre 1917, mentre le truppe superstiti italiane si ritiravano verso Castelmonte e il monte Spik. Ancora oggi sono visibili le gallerie scavate e le piazzole dove erano alloggiati i pezzi di artiglieria. Qui era stato inviato come capitano di complemento Giuseppe Denti, richiamato alle armi nell'aprile del 1915. Aveva trentacinque anni ed abitava con la moglie e le due figlie a Cingia de' Botti, dove faceva il maestro elementare, ed avendo fatto il corso allievi ufficiali a Brescia nel 1903, era stato richiamato da tenente, trovandosi così già capitano nel settembre 1915 e nell´agosto 1916 comandante del I battaglione del 262° reggimento della brigata Elba. Giuseppe Denti scrisse quasi ogni giorno alla famiglia descrivendo la guerra in trincea e le dure condizioni di vita dei soldati ma, soprattutto, durante la prigionia nel campo di Celle, presso Hannover, comunicando la delusione e la disperazione seguita alla disfatta di Caporetto. (Giuseppe Denti, Siamo qui come le foglie. Lettere, immagini e note dal fronte e dalla prigionia, a cura di Rolando Anni, Brescia, Grafo, 1976). La minuziosa precisione nel descrivere i momenti vissuti tra il 23 ed il 27 ottobre, giorno della cattura, rispondeva alla necessità di ripristinare la verità in seguito ai giudizi pesantemente negativi pronunciati in Italia, ma ben presto diffusi anche nel lager, su quelli che oramai erano considerati “i vinti di Caporetto”. Nei giorni della più tragica sconfitta subita dall'esercito italiano, nella concitazione degli avvenimenti e tra i continui spostamenti cui era stato soggetto il suo reggimento, Denti era riuscito tuttavia a redigere alcuni scarni appunti, che poi aveva ripreso in mano e completato con l'urgenza di render ragione del suo comportamento. E questo fin dai giorni immediatamente seguiti alla cattura, quando dal campo di prigionia di Rastatt, aveva scritto una prima lettera il 20 novembre, informando la famiglia della sua sopravvivenza ma anche, e soprattutto, del fatto che la sua coscienza fosse tranquilla, con la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile, ferito dall'incomprensione per i prigionieri di guerra dimostrata da tutta la stampa italiana, ad iniziare dalle parole di D'Annunzio che aveva parlato degli “imboscati d'Oltralpe”. Dalle sue parole trapela la determinazione del soldato, ma anche il senso di impotenza e frustrazione del comandante, che nulla può fare per salvare i propri uomini. Pagine bellissime e profondamente vere, umane, sofferte.
Il 23 ottobre 1917 scriveva alla moglie: “Carissima, non allarmarti se qualche giorno resterai senza notizie. Cosa dovuta a un piccolo spostamento che facciamo oggi. Qui nient'altro di nuovo. Benassi sta bene e vi saluta. Non ho potuto vedere Bazzani: lo aspettavo ieri sera, avendolo fato chiamare, ma si vede che non ha potuto. Pasini mi ha fatto vedere delle carte, (una dei carabinieri e una del dottore) per chiedere licenza speciale. Mene interesserò appena potrò e farò il possibile per fargliela avere, ma temo che sia difficile. Mi ha scritto anche Tedolfi (sono tutti soldati di Cingia de' Botti, ndr). Saluti e bacioni a tutte. Peppino”.

Trincea sul monte Kum
All'alba del 24 ottobre 1917 un'armata austrotedesca attacca gli italiani fra Plezzo e Tolmino, alla congiunzione fra la prima e la seconda armata. Usando la tecnica dell'infiltrazione, i reparti scelti, fra i quali quello dell'allora tenente Erwin Rommel, rompono il fronte, allargano la breccia, minacciano di aggiramento la terza armata. E' il caos. In pochi giorni una fiumana di sbandati che gli alti comandi non sono in grado di riorganizzare, si ritira verso il Piave, Le cifre: 12.000 morti, 30.000 feriti, quasi 300.000 prigionieri, altrettanti sbandati e oltre 300.000 profughi, l'intero Friuli occupato. "La mancata resistenza di reparti della seconda armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico ... ". Le parole con cui il 28 ottobre 1917 Cadorna motiva il disastro di Caporetto.
Il 24 ottobre il compito del 262° reggimento era quello di difendere le trincee di Monte Kum anche allo scopo di raccogliere truppe che fossero state buttate dalle prime linee.  Il II battaglione del 262°, comandato dal capitano Giovanni Metitieri, occupava il costone di Pusno- Srednje, il III, agli ordini del maggiore Giovanni Ruva, lo sperone di Clava e di case Malinske, mentre il I veniva utilizzato a San Volfango e Lombai. Il battaglione di Denti aveva una forza di circa 600 uomini ed era composto da tre compagnie fucilieri, due sezioni mitragliatrici Fiat (una sezione era passata al III/262°), due sezioni pistole mitragliatrici, una sezione lanciatorpedini e un reparto zappatori; se il battaglione fosse stato a ranghi completati, per complessivi 900-1.000 uomini, avrebbe avuto una notevole potenza di fuoco, ma quel 26 ottobre era ridotto a un paio di mitragliatrici Fiat e a 6 pistole mitragliatrici.
Nel suo diario alla data del 24 ottobre il tenente Giuseppe Denti annota: “Ore 2: comincia il bombardamento. Resto fermo nella posizione di attesa fino alle 14. Verso le 15 ricevo ordine dal Com. di reggimento di assumere lo 'schieramento' di sicurezza e di muovere su Pusno. Inizio tosto il movimento, ma un contrordine quasi immediato lo fa sospendere (Andai personalmente a ricevere ordini al Com. di reggimento, caverna n.4) Alle 17 ricevo l'ordine di occupare la trincea da Ruckin fin oltre S, Volfango. Il Com. di reggimento resta nella caverna n.4; io passo così alla diretta dipendenza del com. di brigata, che si trova presso S. Volfango. La Brigata è distesa da Casoni Solarie (261°) a Ruckin e M. Kum (262°). La Brigata Napoli (75°-76°) è a Podklabuc e M. Piatto. Vicino a noi ci sono pure le brigate Firenze (127°-128°) e Arno (213°-214°) con le quali formiamo divisione (la 19ª). Pare che il 76° fosse fatto prigioniero la sera del 24 e infatti il 2° battaglione mandato su a prendere collegamento col detto reggimento non lo trovò”.
La ritirata delle truppe italiane
Il 25 gli vengono tolte due compagnie e la sezione pistole che passano agli ordini della brigata Spezia e vanno a occupare la trincea Lombai-Obrank-Monte Napour.
Denti rimane con 350 uomini: 1a compagnia col sottotenente Casati, due sezioni di mitraglieri della 1301a compagnia con i tenenti Cotta e Strano, una sezione di pistole del Tenente Faulisi, la sezione lanciatorpedini dell´aspirante Cornacchia e il reparto zappatori del sottoTenente Guffanti. Durante la notte si sentono fischi, richiami e grida di comando e si vedono luci di lampadine nei boschi sulle pendici del Kolovrat, il battaglione al suo fianco rigetta un attacco, ma alle 2 il Tenente medico Grisi lo avverte che molta gente si ritira in disordine per la strada di Passo Zagradan.
Scrive Denti: “Relativa calma apparente. Vedo molta gente, carreggi,salmerie, ritirarsi per la strada da passo Zagradan. Aeroplani nemici volano bassissimo sulle nostre posizioni. Il bel tempo permette di vedere a occhio nudo sulla strada Vorgiski-Sredrje-Pusno truppe, salmerie, file di camion immobili. Non si sa se nostri o nemici. Guardando coi binocoli e giudicando dal loro contegno ci persuadiamo che sono nemici. Data la distanza non si può far fuoco di fucileria o di mitragliatrici. Ore 14: notato il non intervento della nostra artiglieria. La batteria vicino al S. Volfango durante la notte fa saltare i pezzi. Durante la notte (ore 23-24) sento a sinistra, alle posizioni del 261°, fucileria e tiro di bombe a mano. Sul mio fronte, durante la notte, niente di nuovo: giù nella valle luci di lampadine, fischietti, e di quando in quando grida di comando o grida strazianti di feriti. Raddoppio vigilanza (la seconda con ufficiale). Riferiscono nulla di nuovo”.
La situazione precipita all'alba del 26 ottobre, quando il monte viene investito dai granatieri brandeburghesi dell´8° reggimento del Colonnello von Gluszewski, dal 52° fanteria della 5a divisione tedesca, Generale von Wedel, del Gruppo Scotti, ma soprattutto dal 3° reggimento Jäger comandato dal Colonnello Ralf von Rango facente parte della II brigata Jäger della 200° divisione del Generale von Below.
Il 3° reggimento era forte di 36 mitragliatrici pesanti e 72 di leggere e il 24 aveva compiuto. l´impresa di conquistare lo Jeza. 
Alle 5 circa, chiamato da un portaordini della brigata, mi presento al generale Spiller (Gaetano Spiller, comandante della 7ª brigata fanteria, fatto in seguito prigioniero, ndr) il quale afferma di aver spedito il portaordini molto tempo prima. Suppongo che il portaordini abbia perso molto tempo per trovarmi, sia per la difficoltà del percorrere la lunga trincea, sia perchè in quel momento mi trovavo alla estremità destra (sud) della linea, vicino a Ruckin, e precisamente al posto di medicazione (ten. Medico cott. Grisi). Il tenente medico Grisi si porta al deposito munizioni (caverna 3). All'alba tutti i miei uomini erano al bivio Ruckin, ove, secondo l'ordine del generale Spiller, dovevo mettermi a disposizione del mio colonnello Della Croce, che cerco invano. Sulla strada c'era un'enorme quantità di casse di munizioni. Spiller, sopravvenuto, dopo aver lasciato la galleria del comando, in fiamme, dà ordine di portare via. Mentre i soldati si caricano quelle casse sulle spalle, siamo presi dal fuoco di alcune mitragliatrici delle prime pattuglie nemiche che si erano affacciate sulle alture lasciate da noi. La 2ª e la 3ª compagnia resistono fino alle 12,30, colpiti d'infilata da cannoncini tedeschi. Il battaglione Giardina, dietro di noi, è in scompiglio; i soldati si sbandano, molti fuggono giù per la Ligonza, molti in valle Burkin; ed egli stesso si dirige alla caverna n. 4, già occupata dal com. del 262°. Il mio reparto zappatori si dirige in valle Burkin prima che io possa richiamarlo; solo una trentina di zappatori mi segue. L'ufficiale mitragliere, quello della sezione pistole, tutti gli ufficiali della 1ª compagnia si ritirano per la strada Ruckin-Tribil. Frattanto molte perdite avevamo subito, sotto il vicino tiro delle mitragliatrici nemiche. Io col mio aiutante maggiore in 2ª (aspirante Zucchi) e un centinaio di uomini mi ero infilato nella trincea alta del Kum, da dove potei far fuoco su densi nuclei nemici che già apparivano sugli speroni del Kum, su Colle Glava e a Ruckin. Sul Kum militari dell'apparato ottico, tranquilli, facevano la solita toilette. I mitraglieri, forse, del nostro reggimento, prendevano il rancio. Alle ore 11, vistomi circondato, decido di ritirarmi scendendo sulla strada per le pendici sud-occidentali del Kum e dirigendomi verso Tribil-Castelmonte”.
Gli italiani la mattina del 24 ottobre
A Tribil – prosegue la narrazione di Denti – di sotto un ospedale da campo sgombra in tutta fretta. Nelle prime ore del pomeriggio arriviamo al bivio di S. Leonardo ove troviamo truppe di varie brigate e generali. Si sosta. Il generale Negro di Lamporo (comandante la 19ª divisione) e il colonnello Della Croce mi accompagnano un po' indietro, verso la chiesetta di S. Nicolò mi indicano il posto ove stendere i miei uomini (circa 200 fra 261° e 262°). Incendi nelle valli Judrio e Natisone. Combattimenti sul Korada. Naturalmente la trincea esistente, che fa fronte alla valle Judrio, non serve, e gli uomini si creano piccoli ripari individuali e possono fronteggiare attacchi provenienti dalla strada, cioè da nord-est, nord e nord-ovest. Metto anche posti di osservazione sul versante Judrio. Mitragliatrici Fiat senza munizioni. S. Etienne sul cocuzzolo. A sera torna il generale e il colonnello. Ci assicurano che nella notte ci avrebbero mandato viveri e munizioni. Notte di vigilanza. Alcuni ufficiali (cap. Nuovo, ten. Patruno e altri) ritenendo che ormai fosse impossibile resistere in quella posizione, mi abbandonano. Mando Zucchi al Com. di reggimento (alle 2 ant.) e ritorna dicendomi di averlo trovato un trecento metri dietro, in un camminamento coperto. Una seconda volta mando un portaordini. Poi non fu trovato più”.

Arriva il 27 ottobre. “Verso le 2 arriva il maggiore Giardina (261°) con circa 400, compresi due ufficiali e pochi soldati del mio reggimento (Montanari); lo aiuto a disporli prolungando la mia destra, giù per la valle Judrio, allo scopo di prendere collegamento con la brigata Napoli (75°-76°). Già l'avevo cercato io tale collegamento, per ordine del Com. di Divisione, ma inutilmente. Nemmeno il magg. Giardina riesce a trovarlo. Avevo saputo da un aiutante di battaglia della brigata Napoli venuto circa a mezzanotte, che pochi e piccoli nuclei della stessa si trovavano quasi alle nostre spalle, giù quasi al fondo valle Judrio, a un paio d'ore di cammino. Un camion (ore 4-5) ci aveva portato casse di galletta e scatolette e bombe a mano e filo di ferro che è subito messo in opera dal ten. Faulisi sulla strada. Alle ore 6,30 circa, colla prima luce, il ten. Casati e Zucchi mi segnalano truppa nemica che si avanza verso di noi sulla strada. Ordino il fuoco a cui rispondono numerose mitragliatrici nemiche e piccoli cannoni che seguivano i reparti d'assalto. Tutti a posto. Già ritirati i posti d'osservazione. Ma il nostro fuoco di fucileria è debole per scarsità di munizioni. Nutrito è invece, ma per breve tempo, quello della sez.. S. Etienne (tenenti Gai e Gamba). Il contegno di questi mitraglieri fu ammirevole. Un colpo nemico guastò un'arma: sotto il fuoco il sergente mitragliere cambia il pezzo guasto e riprende il fuoco. Don Tedeschi si incarica dello sgombro e prima medicazione feriti. All'ultimo, essendosi i nemici portati sotto l'altura, si inizia il lancio di bombe a mano che li trattiene per parecchio tempo. Molti feriti. Finite le bombe a mano il fuoco della difesa illanguidisce: un'arma della S. Etienne si ritira avendo finiti i nastri. I nemici ne approfittano avvicinandosi. Ormai eravamo quasi accerchiati. Arriva un camion di munizioni che si distribuiscono immediatamente. Troppo tardi! Già i primi nemici ci sono addosso. A questo punto si ha notizia che reparti del 261° sono aggirati sulla destra. Il sottoten. Zaccaroni del 261°chiede rinforzi a noi e in cerca del 159° che doveva rinforzare il 261°. Raduniamo a stento una ventina di uomini e li consegniamo a Gritti. Il mio aiutante maggiore cerca di ritirarsi: non può. Trova la trincea ingombra di truppa della brigata Milano arrivata troppo tardi (battaglione d'assalto del 159°) Mischia corpo a corpo, tutte le rivoltelle si scaricano. Molte furono le nostre perdite. Morto il cap. Asdamo, ferito il magg. Giardina, morto il portaferiti che con don Tedeschi era al posto di medicazione improvvisato. Molti feriti giacciono senza poter essere soccorsi. Completamente accerchiati e reso impossibile qualsiasi tentativo di resistenza, dovemmo deporre le armi (ore 8,30).

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