mercoledì 13 dicembre 2017

Jacob, l'ultimo traduttore cremonese

Ebrei ashkenaziti
Cremona, nel Cinquecento, è stata sede, con Treviso, di una delle più grandi comunità di ebrei ashkenaziti in Europa. E proprio all'ombra del Torrazzo, verso la metà del secolo, nacque l'ultimo dei grandi traduttori, erede di una tradizione che affonda le proprie radici nel Medioevo. Si chiamava Jacob Alpron, o Halpron, ed è stato per tutta la vita uomo di grande cultura, correttore, pedagogo, tipografo e, soprattutto, traduttore in yiddish e in volgare. Alla sua figura ed al suo principale lavoro di traduzione di un trattato di particolare fortuna, Precetti per le donne hebree, un manuale scritto da rabbi Binyamin Slonik per guidare le lettrici nei loro compiti familiari e nella vita di coppia, è dedicato il libro di Pia Settimi “L'ultimo traduttore, Jacob Alpron tra yddish e italiano” (Ed. Il Prato, Padova, 2017). Ne esce il ritratto di una personalità straordinaria di intellettuale girovago, come molti altri stampatori ebrei del tempo, sempre alla ricerca di benefattori e di protezione per sbarcare per lo più il lunario come precettori in case facoltose. Sponsor di Alpron furono quasi sempre matrone ebree, donne energiche e di discreta cultura, cui spettava un ruolo da protagoniste nella gestione della vita domestica. A una di queste, una certa Bona, figlia di Emanuele Cuzzeri, Alpron dedica l’editio princeps, apparsa nel 1616, della propria versione, dall’yiddish in italiano, di un manuale che guidi le lettrici nei loro compiti familiari e nella vita di coppia. Nella seconda metà del Cinquecento, Alpron aveva spesso tradotto dall’ebraico in yiddish. Ai primi del Seicento, il nostro erudito girovago passa invece dall’yiddish al volgare, in risposta alle mutate condizioni linguistiche, dove il dialetto giudeo-tedesco degli ebrei immigrati in Italia settentrionale lascia il posto alla lingua nazionale, l'italiano. Gli ebrei di origine tedesca erano sparsi in tutta la pianura padana, ma erano particolarmente concentrati a Treviso e a Cremona. La stessa famiglia di Jacob proveniva con ogni probabilità da Praga. L'yiddish era loro lingua che, tra Quattro e Cinquecento, attecchisce tra le comunità ebraiche dell’Italia settentrionale grazie sopratutto alla tipografia ebraica che nel XVI secolo vive la propria epoca d'oro. È una produzione minore e popolareggiante, rivolta innanzitutto alle donne, che non sono in grado, per mancanza d’istruzione, di affrontare i grandi tomi rabbinici. Fino a quando agli inizi del Seicento un tipografo ebreo decideva di dedicare una parte consistente della sua produzione alla letteratura in volgare diretta al pubblico dei suoi correligionari. Era questi Jacob (Giacomo) Katz da Castellazzo, un polacco proveniente da Cracovia, conosciuto come il Soresina. Impiegato come correttore di testi ebraici nella stamperia di Giovanni De Gara a Venezia, qualche anno dopo si era messo in proprio e, grazie all’esperta consulenza di Leon da Modena, di cui pubblicava alcune delle opere più importanti, faceva uscire dai suoi torchi una scelta di significativi testi ebraici in traduzione volgare. L’opera più importante e controversa, uscita dalla stamperia di Soresina, era un manuale di ritualistica, rivolto alle donne ebree delle comunità dell’Italia settentrionale.
Mercanti ebrei in una miniatura
Si trattava di una traduzione ampliata e adattata di un’opera originalmente pubblicata in yiddish dal rabbino lituano Beniamin da Grodno, intesa a rendere edotte le donne sulle norme rituali che erano richieste di osservare. Il traduttore in volgare toscano era il rabbino Jacob Alpron, che, dopo essere transitato a Villafranca d'Asti, dove è documentato nel 1565, ed a Riva di Trento, approdato a Padova, apponeva numerose aggiunte per rendere il testo confacente alle esigenze del pubblico ebraico italiano (Mizwot nashim melammedah [...]. Precetti da esser imparati dalle Donne Hebree [...] composto per Rabbì Biniamin d’Harodono in lingua tedesca, tradotto ora di nuovo dalla detta lingua nella Volgare,Venezia 1616).
Era il primo libro di ritualistica che non veniva stampato in ebraico ma in italiano, e costituiva una vera e propria rivoluzione nel campo della letteratura ebraica, destinata agli ebrei della penisola. I
Precetti godettero di un prevedibile successo e venero ristampati a Padova nel 1625 e a Venezia nel 1652 e nel 1710. Poi nel 1732 la Chiesa di Roma li mise all’indice e ne vietò la pubblicazione, forse perché non vedeva di buon occhio che un testo di ritualistica ebraica si trovasse alla portata anche di un pubblico di lettori cristiani, che avrebbero potuto risultarne contaminati. Il domenicano Antonino Teoli, predicatore agli ebrei del ghetto di Roma, incaricato dalla Congregazione del Sant’Uffizio di redigere un dettagliato rapporto sui Precetti era giunto alla conclusione che si dovesse proibire quel testo perché conteneva sconcezze e oscenità, che avrebbero turbato i lettori cristiani, soprattutto i giovani e i più sprovveduti. Il tema delle tradizioni rituali ebraiche, che a dire degli inquisitori «erano esse quasi tanti fiumi derivati dal velenoso mare talmudico», esercitava un fascino irresistibile per i cristiani, che conoscevano poco e male il giudaismo rabbinico, verso il quale provavano in cuor loro sentimenti ambivalenti, di attrazione e di repulsione. D'altra parte la leadership religiosa ebraica era refrattaria a rendere pubblici in una lingua accessibile a tutti i riti giudaici nelle loro forme e con le loro giustificazioni nel legittimo timore che, interpretati con malizia e tendenziosità, avrebbero potuto essere fonte di nuove discriminazioni e persecuzioni. In questo, se pur con motivazioni diverse e talvolta diametralmente opposte, preti e rabbini andavano paradossalmente d'accordo. 

Antico calendario ebraico
L'ambiente in cui nasce Jacob Alpron era culturalmente molto vivo. Durante la dominazione spagnola la colonia cremonese era divenuta la più numerosa ed influente dell'ebraismo lombardo. Al momento della definitiva espulsione degli ebrei dallo Stato di Milano nel giugno del 1597 a Cremona erano presenti 37 nuclei familiari, per un totale di circa 220 persone, ma qualche anno prima, nel 1590, le presenze erano arrivate ad essere 456. Nel 1576 la popolazione si concentrava soprattutto in tre zone cittadine: S. Lucia, S. Bartolomeo, S. Sofia, S. Nicola alle spalle del palazzo del Comune; S. Elena, S. Margherita, S. Leonardo, S. Agata lungo la strada per Milano; S. Vito, S. Prospero, Mercatello, S. Tommaso, S. Ippolito sul fianco del duomo, verso la porta per Venezia. A Cremona, a differenza delle altre città, non venne mai attuato per difficoltà di realizzazione il progetto della segregazione in un ghetto, individuato nella contrada “Prato del vescovo” che dal fianco del duomo giungeva a Santa Maria in Betlem. Le attività prevalenti erano quella feneratizia, con tassi di interesse oscillanti dal 20 fino al 40%, il commercio dell'usato, l'oreficeria e soprattutto la stampa.
Sappiamo che a Cremona venne copiato un libro di preghiere già nel 1479 e, sempre nella seconda metà del XV secolo, un libro di preghiere per le feste. Risale poi al 1480 la copia del Commento di Gersonide al Pentateuco, mentre un Pentateuco era stato copiato nel 1474. Nel 1550 il celebre copista Meir da Padova copiò qui dei rotoli della Legge per Josef Norlenghi. Nella seconda metà del XVI secolo ebbe luogo anche l'episodio del Kherem, cioè la scomunica, proclamata dai rabbini di diverse città italiane, convenuti a Cremona, contro il Me'or Einajim di Azariah de' Rossi, accusato di esprimere teorie in contrasto con la tradizione, in particolare riguardo alle aggadot (insegnamenti) talmudiche e midrashiche e riguardo alle pretese della cronologia di risalire all'epoca della creazione del mondo. Il testo del Kherem fu approvato dal rabbino Avraham Menachem Porto-Cohen (Katz) e sottoscritto da Shaul Refael Carmini, rappresentante degli ebrei del Ducato, entrambi cremonesi.
L'attività tipografica per cui Cremona divenne famosa è legata alla pubblicazione di svariate opere ebraiche, stampate nella tipografia di Vincenzo Conti, prima, e, poi, di Cristoforo Draconi, entrambi cristiani, che, con la loro produzione, soppiantarono per qualche anno il primato di Venezia.
Vincenzo Conti era stato già attivo nel campo tipografico proprio a Venezia da cui si trasferì a Cremona, dove ottenne il permesso di stampare in latino nel 1555 e, l'anno seguente, iniziò a stampare testi ebraici, dietro invito degli israeliti locali, cui era vietato l'esercizio dell'attività tipografica.
La produzione del Conti si estese per un arco di 11 anni (1556–1567), suddividendosi in due periodi: dal 1556 al 1561 e dal 1565 al 1567. A differenza di quanto era in uso, Conti si servì di caratteri tipografici nuovi e di svariate decorazioni per i frontespizi. Dal 1560–61 sino al 1565 l'attività tipografica cremonese fu interrotta a causa della disputa sul Talmud che si era conclusa con il rogo del 1559, in cui furono bruciati anche numerosi esemplari della tipografia del Conti. Era accaduto che nel 1559, a seguito di una violenta predicazione quaresimale, l'Inquisitore Giovanni Battista Clarino aveva ordinato di consegnare entro poche ore, sotto pena pecuniaria, tutti i libri proibiti, Talmud in primis: in seguito alle accorate proteste ebraiche presso il sovrano Filippo II, il governatore dello Stato di Milano Cristoforo Madruzzo, pur ordinando la restituzione dei libri sequestrati agli ebrei, non vi incluse il Talmud, mentre gli Inquisitori cercarono di sottrarre la questione all'intervento dell'autorità laica, mandando al rogo oltre 10.000 libri[
La prima opera stampata dal Conti fu Ammudei Golah di Isaac ben Josef di Corbeil, che uscì grazie alla collaborazione di Samuel Boehm e Shmuel Zanvil Pescarol (Pescarolo): quest'ultimo, oltre ad aver collaborato alla stampa di diverse altre opere in cui, tuttavia, secondo l'uso del tempo, non sempre il suo nome figurava, era correttore di stampa e responsabile della censura secondo le regole imposte dall'Inquisizione. Quanto a Boehm, prima di essere attivo a Cremona, era stato noto correttore di stampa a Venezia.
Il rabbino Meir Heilpron, anch'egli di provenienza veneziana, fu attivo nella stampa di opere ebraiche a Cremona e, poi, a Mantova, mentre il rabbino Hajim Gattegno fu coinvolto nell'edizione dello Zohar, che è l'opera più famosa legata alla tipografia del Conti, uscita nel 1559. La stampa di opere in yiddish si deve, invece, a Leib Bress, rabbino di provenienza tedesca, ma legati all'attività tipografica furono anche il rabbino Abraham Pescarol (Pescarolo) e il rabbino David Norlenghi.
Vincenzo Conti dal 1558 al 1567 continuò a stampare libri ebraici censurati dall'Inquisizione, servendosi, però, della tipografia di Riva di Trento, fondata da un altro ebreo cremonese, il medico Jacob Marcaria, che vi si era trasferito nel 1557, dopo che a Cremona era stato membro del tribunale rabbinico, presieduto da Yosef Ottolenghi, in seguito alla pubblicazione della bolla di Paolo IV Cum nimis absurdum, che vietava ai medici ebrei di curare pazienti cristiani.
A Cremona Conti ultimò la stampa del Mahzor tedesco, iniziata a Sabbioneta (nel Ducato di Mantova), nel 1556, da Tobia Foa, presso cui il Conti aveva fatto il suo apprendistato, e, di converso, a Sabbioneta, venivano terminate opere cominciate a Cremona.
Dopo la morte del Conti, nel 1569 o nel 1570, l'attività tipografica fu ripresa da Cristoforo Draconi che stampò, nel 1576, l'opera Josef Lekah di Eliezer Ashkenazi, giovandosi dell'aiuto di Solomon Bueno.
Contratto matrimoniale ebraico
Tra le figure di spicco nell'editoria ebraica dell'epoca vi è anche il rabbino Josef Ottolenghi (Ottolengo), d'origine tedesca, residente a Venezia, che si trasferì a Cremona, in virtù della libertà di studio e di stampa che vi regnava, in contrasto con quanto accadeva altrove in Italia, e vi aprì una yeshivah, dando grande impulso agli studi e promuovendo l'afflusso di molti studenti forestieri. La sua opera in favore dell'incremento degli studi ebraici si ritrova menzionata con grande rilievo nella ben nota cronaca di Josef ha-Cohen, Emeq ha-Bakhah, in cui si attribuisce il rogo del Talmud del 1559 alla controversia tra l'Ottolenghi e il suo concorrente Joshua de' Cantori che, a quanto si evince da una serie di indizi, non avrebbe avuto competenza sufficiente per curare adeguatamente l’attività editoriale, praticata, peraltro, principalmente a scopo di lucro.
Legato alla disputa sul Talmud fu anche il gesuita Vittorio Eliano, d'origine ebraica, nipote del noto grammatico Elia Levita Ashkenazi, che soggiornò a Cremona come inviato dell'Inquisizione e fu attivo come censore, della cui assistenza professionale si servì, per la sua attività di stampa di manoscritti, Joshua de' Cantori.
Il vicario dell'Inquisizione inviato a remona., fra Sisto da Siena, ebraista, assistette al rogo di 12.000 codici talmudici, di mille copie del Commento della Torah di Menachem da Recanati e di 10.000 scritti di attinenza talmudica, salvando, tuttavia, 2.000 esemplari dello Zohar che giacevano nella tipografia del Conti.
Alcuni dei rabbini coinvolti nell'attività tipografica furono anche autori di opere stampate e manoscritte in particolare Josef Ottolenghi, Abraham Pescarol e David Norlenghi). Il noto Eliezer Ashkenazi (Lazzaro Tedeschi), che fu anche rabbino a Cremona. per un breve periodo, fu autore di alcune opere manoscritte, come Menachem Coen-Porto.

Antonio Campi si servì dell'incisore ebreo David da Lodi per la pianta della città di Cremona, pubblicata nel suo libro Cremona fedelissima città, del 1585

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