mercoledì 11 ottobre 2017

Un grande artista dimenticato, Giovanni Battista Lodi

E' un artista straordinario che Cremona ha ben presto dimenticato, anche se autore di opere conservate oggi al Metropolitan Museum of Arts. Forse perchè gran parte della sua vita si è svolta a Bruxelles e a Lierre, al seguito dei banchieri Affaitati e a Cremona sarebbe ritornato ormai novantenne per realizzare nel 1611, un anno prima della morte, una Madonna con i santi Antonio abate e San Carlo per la chiesa di Sant'Egidio ed Omobono che, secondo Giambattista Zaist, sarebbe l'unica sua opera nota. In realtà Giovanni Battista Lodi fu uno dei più grandi artisti della seconda metà del XVI secolo, autore di disegni per una serie di arazzi realizzati dalla bottega di Willem de Pannemaker nel febbraio del 1552 ed autore lui stesso di alcuni episodi delle Storie di Mosè per Ercole Gonzaga, conservati oggi a Milano nella villa Simonetta, sede della scuola civica di musica “Claudio Abbado”. Di questa sua attività di disegnatore si sono occupati recentemente lo storico dell'arte olandese Bert W. Meijer, direttore dell'Istituto Universitario Olandese di Storia dell'arte di Firenze, e Thomas P. Campbell, esperto di arazzi del MOMA di New York.
Storie di Mercurio e Herse, MOMA, New York
Di questa sua particolare attività non fanno menzione invece gli storici locali. Lo Zaist, ad esempio, si limita a scrivere: “Lodi Giovan Battista, s'egli è vero, lo che scrisse Antonio Campi, fu certamente un'assai virtuoso professore delle nostr'arti, perocché da lui viene annoverato insieme coi solenni dipintori Camillo Boccacino, Giulio Campi suo fratello, e Bernardo Sogliaro, così leggendosi nella istoria di esso. 'A nostri tempi poi, ne quali pare, che la Pittura sia ridotta al colmo della perfezione, sono stati eccellenti, e molto famosi, Camillo Boccacino, Giovambattista Lodi, Giulio mio fratello, ed il poco fa nominato, Bernardo Sogliaro, le cui eccellentissime opere sono tenute in grandissimo pregio'. Per altro, non facendosi menzione che della di lui persona, senza far parola d'alcuno de suoi dipinti, giusta l'assunto del nostro istorico, non so che mi dire di esso, se non che forse abbia dipinto pochissimo, o siansi perdute, od altrove portate le di lui opere. Il sol quadro, che a mia notizia pur anco di lui si serba, si è quello, che trovasi nella chiesa prepositurale mitrata de' SS. Egidio, ed Omobuono, ed è il primo, passatala cupola, nella nave laterale dalla parte dell'Epistola, il quale in suo altare rappresentata la Vergine sopra le nubi, col Bambino in braccio, ed al basso S. Antonio Abate, e l'Arcivescovo S. Carlo. E tal'opera fu da lui fatta l'anno 1611. Parla di esso Antonio Campi sopra mentovato nella sua storia lib. 3, pag. 197”. (Notizie istoriche de' pittori, scultori, ed architetti cremonesi. Cremona, Ricchini 1774, p. 45).
In tutto al Lodi, sia in qualità di progettista che di esecutore di cartoni, sono state ricondotte almeno quattro serie di arazzi fiamminghi tra i più importanti del XVI secolo: il “Fructus belli” una serie di otto pezzi del tessitore di Bruxelles Jehan Baudouyn per Ferrante Gonzaga 1545-47, di cui sopravvivono sei (Musée National de la Renaissance, Château d'Ecouen; Fondazione Edward James, West Dean College, Chichester, Inghilterra; Musei Reali d'Arte e Storia, Bruxelles); La vita di Mosè (Châteaudun Castle, Monuments Historiques, Francia), una serie di dodici pezzi tessuta da Willem Dermoyen (e forse Peter van Oppenem) per Ferrante Gonzaga tra il 1545 e il 1550; i “Puttini” ((collezione Giannino Marzotto, Trissino), un set di sei pezzi intessuto da Willem de Pannemaker per Ferrante Gonzaga tra il 1552 e il 1557 ed infine le “Storie di Mercurio e Herse” di cui esistono una serie di otto pezzi di cui uno completo e due gruppi parziali nel Metropolitan Museum, nel Palazzo del Quirinale e varie collezioni spagnole private, intessuto dai Willem Dermoyen (attivo 1520 a ca. 1548 a Bruxelles), tra il 1545 ed il 1550 e da Willem de Pannemaker verso il 1570.

La visione di Aglauro, MOMA, New York
Poco si sa delle prime fasi della vita e della formazione artistica di Giovanni Battista Lodi, ma dovette nascere probabilmente intorno al 1520 perchè già nel 1540 era consulente della corte imperiale per valutare il valore di quattro quadri del pittore fiammingo Frans Borreman. Sicuramente, qualunque fosse l'attività svolta in quegli anni, Lodi era una figura di un certo peso nel settore dell'industria tessile e nella produzione di arazzi, e nelle Fiandre si svolse gran parte della carriera e della sua fortuna artistica, probabilmente al seguito del banchiere cremonese Gian Carlo Affaitati. Quest'ultimo era stato inviato dallo zio Giovan Francesco a dirigere la nuova filiale di Anversa per il commercio, oltre che della canna da zucchero, delle spezie provenienti dal Portogallo, e proprio sotto la sua direzione, dopo la morte dello zio avvenuta nel 1528, l'azienda raggiunse la sua massima espansione con filiali in tutta Europa. E proprio a Lier, nei pressi di Anversa, nella casa dell'Affaitati, si trasferì nel 1550 anche Giovan Battista Lodi, lasciando la propria abitazione di Bruxelles, dove aveva abitato tra il 1540 ed il 1549 conducendo una bottega con l'apprendista Conrad Schot, in seguito divenuto uno degli aiuti di Antonis Mor van Dashorst.
In una disposizione a Bruxelles per il Procuratore Generale del Brabante nel dicembre 1553, Schot, che aveva ventisei anni, dichiarava di essere stato l'apprendista di un artista italiano chiamato "Johan Baptista", che viveva nel Hoochstrate, per un periodo di circa quattro o cinque anni. Schot deve essere stato con Lodi dal 1544 al 1549, dopo aver lavorato con Anthonis Mor per un anno e mezzo e con Jan Maes per tre anni dopo. Come Mor e il suo allievo Maes specializzato nella ritrattistica, è possibile che anche Schot si sia addestrato nella bottega di Lodi. Lo stesso "Jan Baptista" è stato descritto in un secondo e più lungo documento come "un italiano e un ricco" che ha poi abbandonato la pittura "perché aveva abbastanza da vivere ed era vecchio in anni" e viaggiò a Lier per vivere con il signor Jan Carlo. Questo "Jan Carlo" era Gian Carlo Affaitati.
Secondo quanto sostiene lo storico Jean Denucé (Inventaire des Affaitati, banquiers italiens à Anvers, de l'année 1568, Anversa, De Sikkel, 1934) Lodi avrebbe anche realizzato opere per Gian Carlo, di cui si trova notizia in un inventario dei beni famigliari steso dal cugino Giambattista a favore dei nipoti, dopo il ritiro dagli affari dello stesso Gian Carlo nel 1545. Secondo Gianni Toninelli potrebbe essere attribuito al Lodi un ritratto di Gian Carlo Affaitati ricordato nel 1576 e poi ancora nel 1635 nella collezione della famiglia nobile cremonese Sforzosi, commercianti anch'essi ad Anversa e collezionisti di opere ed arredi fiamminghi, di cui si è persa traccia.

La visione di Aglauro, MOMA, New York
Decisamente più importante, però, il ruolo svolto da Gian Battista Lodi nel settore dell'arazzeria in qualità di valutatore, grazie, con ogni probabilità, al fatto di avere lavorato come pittore e disegnatore di cartoni al servizio di Ferrante Gonzaga, divenuto duca di Milano nell'aprile del 1546 e nel 1557 comandante delle truppe asburgiche in Fiandra, nella preparazione della campagna culminata con la battaglia di San Quintino il 10 agosto, e poi morto a Bruxelles il 16 novembre. Nella capitale del ducato Ferrante commissionò l'ampliamento e il restauro del palazzo ducale, avviò la risistemazione dell'area monumentale del duomo, dotò la città di un ampio circuito di mura bastionate, mentre il suo architetto Domenico Giunti progettò la risistemazione della Gualtiera, villa suburbana acquistata nel 1547, l'attuale villa Simonetta.
Il ruolo di Giovan Battista Lodi è particolarmente significativo nell'esecuzione del famoso ciclo di arazzi del “Fructus belli”. Ferrante Gonzaga era un grande collezionista di arazzi e con ogni probabilità prima di fare il proprio ingresso a Milano il 19 giugno 1546, ne commissionò una serie di otto agli arazzieri di Bruxelles. Che Lodi fosse impegnato in questa attività è confermato in due lettere che l'arazziere Jeahn Baudouyn inviò successivamente a Ferrante. Nella prima, scritta da Bruxelles il 15 giugno 1547, Baudouyn chiedeva ulteriori fondi per gli arazzi raccontando che Lodi e Giovanni Balbani, un mercante di Lucca che operava ad Anversa con gli Affaitati, avrebbero valutato la serie completa e spiegava che Balbani gli doveva ancora 250 monete d'oro ed aveva rifiutato ulteriori crediti. Successivamente, il 31 agosto 1547, Baudouyn scrisse nuovamente a Gonzaga dicendo di essere felice se "Jehan Baptiste Lodi pittore" avesse valutato le tappezzerie ultimate. Il 10 febbraio 1552, si sa che lo stesso Lodi scriveva da Lier una lettera, come consulente di Ferrante Gonzaga per una serie di arazzi che il governatore intendeva commissionare, senza specificarne il nome, ad un tessitore di Bruxelles che poi avrebbe tessuto l'arazzo della conquista di Tunisi per Carlo V. Anche se Lodi non ha menzionato il suo nome, questo tessitore deve essere stato Willem de Pannemaker, il cui marchio appare nella Conquista di Tunisi. La serie di arazzi senza nome che Gonzaga avrebbe voluto commissionare era probabilmente quella dei Puttini, che sarebbe stata infatti tessuta da Pannemaker tra il 1552 e il 1557, sulla base di un disegno di solito attribuito a Lodi.
Gli arazzi in questione includevano fili d'oro e argento, un particolare che ha permesso di identificarli con una serie di “Puttini” ora in una collezione privata. Questi ultimi presentano gli stessi tratti di una serie realizzata a Mantova per il fratello di Ferrante, Ercole, sui disegni eseguiti da Giulio Romano nel corso degli anni Quaranta. Nel gruppo di Ercole, però, i putti tra i vigneti sembrano recare in sè un simbolismo eucaristico, mentre il motivo presente nella serie di Ferrante sembra piuttosto un'evocazione dell'età d'oro, un soggetto che bene si legava al nuovo ruolo di governatore dello Stato di Milano. Stilisticamente, le figure dei putti e le composizione degli arazzi con i Puttini di Ferrante hanno molto in comune con le figure e i paesaggi del “Fructus belli” e delle “Storie di Mosè”, e uno degli arazzi dei Puttini rappresenta edifici che sembrano ricordare la Villa Gualtiera, la casa del governatore milanese.
Storie di Mercurio ed Herse
Per queste ragioni si è ipotizzato che l'ideazione e la progettazione dei cartoni dei tre gruppi di arazzi siano opera dello stesso atelier di pittori e disegnatori, e in forza del ruolo avuto da Lodi nei negoziati per l'esecuzione della serie dei Puttini, Delmarcel ha suggerito la sua partecipazione anche alla stesura dei cartoni preparatori. Solo nuove ricerche d'archivio, unite ad uno studio approfondito dei modelli della serie di Mosè, potranno meglio delineare l'identità e il carattere di questo artista cremonese, che avrebbe potuto avere un ruolo anche molto più importante di quanto non sia stato ancora identificato, per la progettazione e la preparazione dei cartoni di alcune delle più importanti tappezzerie dei 1540.

Come ha rilevato Nello Forti Grazzini, un'altra serie che richiede ulteriori ricerche in questo contesto è quella degli otto pezzi che costituiscono le “Storie di Mercurio e Herse”, di cui esistono esemplari di altissima qualità, come abbiamo detto al Metropolitan Museum, al Quirinale e in varie collezioni spagnole private. Il gruppo più recente porta il marchio di una tappezzeria identificata con la bottega di Dermoyen, mentre in seguito compare il segno di Willem de Pannemaker. Sulla scorta della storia raccontata nelle Metamorfosi di Ovidio, la serie rappresenta figure idealizzate in paesaggi italiani eseguiti dal vivo, con echi di modelli di scuola raffaellesca in diverse scene. Sulla base di considerazioni stilistiche, la stesura di questa serie può probabilmente essere collocata alla fine degli anni '40. Le citazioni dai disegni della scuola di Raffaello hanno condotto i cgli studiosi precedenti ad ascrivere la storia di Mercurio e Herse a una varietà di allievi del maestro, tra cui Giovanni Francesco Penni e Tommaso Vincidor. Tuttavia, la probabile data di stesura della serie e gli evidenti caratteri stilistici che la legano agli arazzi del “Fructus belli” e alle “Storie di Mosè” suggeriscono che la serie è stata progettata e creata dallo stesso gruppo di disegnatori e cartonisti che risentono degli elementi di scuola raffaellesca trasmessi attraverso l'officina di Giulio Romano a Mantova.

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