mercoledì 24 maggio 2017

Aristide Cavalli e l'Officina Monteverdi

Aristide Cavalli

Nell'anno monteverdiano ci piace ricordare la figura di uno straordinario imprenditore che per primo utilizzò il nome del Divin Claudio per dare vita alla prima alla prima fabbrica industriale per la costruzione di violini indicando la strada maestra per la rinascita della grande tradizione della liuteria classica. Aristide Cavalli fu uno dei liutai meno conosciuti che lavorarono a Cremona dopo la morte di Enrico Ceruti, ed una delle figure più interessanti di inizio Novecento. Ricordato soprattutto per le spiccate doti imprenditoriali, nacque a Oneglia nel 1856 da genitori piemontesi, ma le sue origini sono schiettamente cremonesi. Il nonno Giovanni Battista, infatti, gestiva una piccola libreria posta sotto un arco murato della Bertazzola di fianco al Battistero ed addossata al Duomo. Il padre, Savino, aveva frequentato la scuola, preso lezioni di pianoforte e d'organo e nel 1845, una volta conseguito il diploma, per la sua abilità era divenuto organista della Cattedrale. Per le sue simpatie rivoluzionarie e patriottiche a vent'anni, aiutato da amici fidati, si era rifugiato ad Alessandria nel Regno Sabaudo per evitare il servizio militare sotto l'Austria. A 27 anni aveva sposato una ragazza del luogo, Matilde Pagnini, ma, pochi anni dopo la nascita dei due figli, Aristide e Guglielmo, era morto improvvisamente nel 1860 a soli 45 anni. La giovane vedova con la prole era partita in diligenza alla volta di Cremona, accolta nella casa della cognata Costanza Cavalli, in piazza Piccola, il 30 aprile 1861. Dal 1830 al 1859 la libreria Cavalli diventa il ritrovo dei carbonari cremonesi, ed in questo ambiente culturale il giovane Aristide trascorre l'infanzia e, tra libri nuovi, vecchie edizioni e cinquecentine, forgia il proprio carattere, sviluppando notevoli doti artistiche e vivacità intellettuale. Nel frattempo, spinto dalla zia Costanza, frequenta a Vescovato la bottega di Giuseppe Bresciani, un artigiano eclettico, bizzarro e curioso, che, oltre a fare il falegname, a tempo perso realizza anche bellissimi violini. Incuriosito Aristide assimila in breve tempo tutti i rudimenti del mestiere, tanto che Beltrami racconta alla zia che il ragazzo ha innato in sé il senso delle proporzioni e delle esatte misure, dello spessore dei legni, degli amalgami necessari a realizzare le vernici e della sonorità da ottenere con gli strumenti. Divide il suo tempo tra il bizzarro liutaio e la bella libreria di piazza Piccola, fimo a quando nel 1876, a vent'anni sente la necessità di emanciparsi e, seppur con a disposizione un capitale modesto, aprì una piccola libreria in corso Campi. Gli inizi sono difficili, ma la sua competenza professionale e l'onestà intellettuale gli conciliano ben presto le simpatie della città e la piccola libreria, grazie agli amici ed ai conoscenti, diventa ben presto il ritrovo di una vasta ed affezionata clientela. La libreria diventa anche ritrovo di intellettuali, musicisti e cantanti, uno dei più affezionati clienti è Giuseppe Verdi ma vi si possono incontrare anche alcuni celebri scrittori e poeti come il nostro Giovanni Lonati. 
Il magazzino stagionatura dell'Officina Monteverdi
Nel 1880 si rende disponibile una bottega davanti al teatro Ricci e Cavalli e trasferisce la sua attività nella sede più ampia, avviando anche il commercio di spartiti ed articoli musicali ed iniziando nel 1890 l'edizione di un periodico musicale intitolato “Il monitore musicale Claudio Monteverdi” dove pubblica numerose composizioni di giovani autori cremonesi, come i maestri Riva, Bellini e D'Alessandro. Il periodico, distribuito con successo in tutta Italia, si rivela un ottimo veicolo pubblicitario, che gli consente di incrementare la commercializzazione degli strumenti musicali. Arrivano numerose le richieste di ricchi clienti e musicisti che gli chiedono la riparazione dei loro strumenti ad arco. Di conseguenza amplia ulteriormente la propria attività aprendo nel retrobottega del negozio un piccolo laboratorio attrezzato per la riparazione degli strumenti ed assume personale qualificato, tra cui il suo vecchio maestro Giuseppe Beltrami, esperto in violini ed organi da chiesa, il liutaio Pietro Grulli, per il quale scrisse l' omelia letta al funerale di quest'ultimo nel 1898, i fratelli Romedio e Palmiro Munchen. Nel frattempo Cavalli conosce Giovanni Francesco Poli, figlio del notaio Michele Achille e di Francesca Feraboli, studente del Politecnico di Tornio, dove si laurea ingegnere nel 1893. L'ingegnere Gian Francesco Poli, a sua volta, suona il violino ed il mandolino, ed è l'anima ed il direttore del nucleo originario di musicisti da cui sarebbe nato qualche anno dopo, nel 1897, il Circolo mandolinisti e mandoliniste cremonesi”. Compone canzoni, operette, organizza spettacoli musicali e di prosa nel vecchio Teatro Alfieri di via Villa Glori, e suona discretamente molti strumenti. Nonostante Poli sia di undici anni più giovani, tra i due nasce una solida e profonda amicizia. Hanno in comune molte cose: la passione per i violini, la musica, il canto, ma soprattutto tanto entusiasmo e voglia di lavorare.
Nel 1895 Cavalli decise di ampliare ulteriormente il suo piccolo laboratorio e, con l'amico musicista apre una piccola fabbrica nell'ex teatro Alfieri di via Villa Glori dove inizia a costruire chitarre e mandolini. Viene scelto con cura il simbolo della nuova azienda con “due cavalli attraverso un globo terrestre di cui non si vendono che i poli”. Dal sodalizio tra i due sarebbero nate la “Cavalli & Poli” e l'Officina di liuteria artistica Claudio Monteverdi, che di fatto rappresenta l'unico tentativo di far rinascere la celebre scuola cremonese, pur adattandola alle mutate condizioni del mercato.
Per quanto riguarda la prima inizialmente la partenza è scoppiettante, ma dopo tre anni la concorrenza dell'artigianato napoletano e catanese divenne insostenibile, fino alla capitolazione dell'azienda, che, per evitare il licenziamento degli operai, viene riconvertita dalla costruzione di casse armoniche a quella della casse da imballaggio. Si fabbricano inoltre imbarcazioni da fiume, da corsa e da diporto, ghiacciaie per uso familiare e per alberghi, apparecchi per fare il ghiaccio. Su un'area fuori città, prospiciente la stazione ferroviaria, viene realizzata la segheria. Cavalli si occupa di reperire i pioppi da abbattere nelle campagne e Poli viaggia alla ricerca di nuovi clienti. Gli affari prosperavano e nel 1908 è necessario ampliare l'area, trasformando la società da privata in società anonima, immettendo nuovi soci. Prende così vita la terza edizione della “Cavalli & Poli”, con l'aggiunta di un reparto per la produzione di aste dorate che, affidato a Gino Usuelli, si trasforma nella più importante industria nazionale del settore.
La sala per il collaudo degli strumenti
L'Officina di liuteria artistica Claudio Monteverdi è invece quella che rispecchia più fedelmente il complesso temperamento di Aristide Cavalli. L'obiettivo sembra essere quello di emulare la produzione quasi industriale delle grandi botteghe di Mirecourt e di Mittenwald. Cavalli e Poli possiedono un certo numero di etichette compreso "Giovanni Maria Ceruti", la qual cosa in tempi recenti ha creato qualche confusione sulla questione se questo mitico liutaio fosse parente dei più famosi Ceruti. La fabbrica produce violini, chitarre e casse armoniche e al suo interno muove i primi passi Romedio Mucher, che successivamente si mette in proprio attrezzando un laboratorio nella sua abitazione in via XI Febbraio n. 20 e successivamente in via Gorizia n. 2. Varie circostanze probabilmente contribuiscono a sviluppare in Cavalli la passione per la liuteria. Fin da giovane, grazie alla sua attività di librario, ha certamente potuto conoscere la vasta letteratura sull'argomento e, attraverso la conoscenza di qualcuno dei liutai rimasti a Cremona, ha potuto apprendere i primi rudimenti sulla costruzione del violino. Non ama fantasticare sui presunti segreti stradivariani nella preparazione delle vernici, ma preferisce confrontarsi, discutere, lavorare e sperimentare soluzione con i propri dipendenti, formandone dei buoni liutai. Una volta assicuratasi una discreta posizione economica grazie all'altra attività, non esita a riversare il ricavato nel tentativo di industrializzare la realizzazione del violino artigianale. Vari tentativi a livello nazionale sono già falliti, ma Cavalli ha dalla sua il vantaggio di possedere una elevata competenza tecnica abbinata alla conoscenza del mercato, grande passione e spirito imprenditoriale. A chi gli rimprovera di aver creato un'industria ma di aver ucciso l'arte, risponde: “Dobbiamo convincerci che il tipo tradizionale del liutaio cremonese, vale a dire di un ottimo artigiano che lavora tranquillamente e accuratamente nella propria botteguccia, sicuro di trarre da un onesto lavoro il sostentamento per sé e èer la propria famiglia, è definitivamente morto. Due fattori lo hanno eliminato: il commerciante di violini vecchi, astuto, chiaccherone e alle volte poco scrupoloso, e l'industria famigliare e dozzinale di Mittenwald, Markmeukirchen e Mirecourt potentemente organizzata dal lato commerciale. Il primo ha posto il monopolio sull'alta clientela: il violinista 'arrivato', il grande concertista che non può presentarsi al pubblico se non 'armato' di un autentico Stradivari, al suonatore di fila che, a torto o ragione, preferisce un violino vecchio a quello nuovo. La seconda rifornisce la vasta clientela degli allievi che, nell'incertezza della riuscita, preferiscono economizzare sul violino da studio. Per conseguenza, al valente liutaio non resta che vivacchiare di qualche riparazione o costruire qualche strumento, in attesa del cliente che difficilmente si presenta. Ora per noi cremonesi il dilemma è semplice: restar morti o adattarsi alle condizioni dell'attuale mercato”. (Vittorio Grandi, Aristide Cavalli, necrologio in “Cremona”, febbraio 1931)
Sorretto da queste idee Cavalli si dedica ad una produzione del tutto originale che, non rinunciando alla buona qualità dello strumento, sfrutta un'organizzazione tipicamente industriale utilizzando entro certi limiti i moderni metodi di lavorazione che garantiscano violini notevolmente più economici ma tuttavia in grado di affrontare le concorrenza della produzione tedesca e francese del tempo. Si tratta, ovviamente, in gran parte di una produzione seriale dove ogni addetto realizza singole parti dello strumento che poi vengono assemblate. Non si può tuttavia parlare di produzione industriale in senso stretto, dal momento che l'obiettivo di Cavalli è quello di ottenere strumenti che abbiano la stessa resa di quelli artigianali, ma con un maggiore risparmio di tempo. Il lavoro non è organizzato su linee di montaggio, né meccanizzato: l'artigiano specializzato realizza in pratica tutte le operazioni più importanti, dall'intaglio, al montaggio ed alla verniciatura, delegando solamente alcune piccole operazioni accessorie a personale meno qualificato.
Un violino di Aristide Cavalli
Quando Cavalli si spegne improvvisamente per un ictus cerebrale il 16 gennaio 1931 l'attività viene portata avanti dal figlio Lelio, laureato in fisica che, durante la guerra 1915-18, si è dedicato, in uno speciale reparto dell'azienda familiare, alla costruzione di ali di aeroplano. Lelio è una delle figure più importanti per la nascita della scuola internazionale di liuteria nel 1938. Dalla prima sede nei pressi di palazzo Trecchi in via Villa Glori, l'Officina viene in seguito trasferita in via Dante e infine in via del Castello fino al 1945, quando viene definitivamente chiusa.
Nei laboratori venivano realizzati cinque modelli di violini: il Ceruti, per il quale si era riusciti ad ottenere un'ottima resa acustica; lo Stradivari, il Guarneri del Ges, Il Tresenda ed il Beltrami bombato, oltre chitarre e mandolini, Venivano eseguiti severi controlli ed i violini che non superavano la prova venivano distrutti, mentre non è raro che quelli immessi sul mercato abbiano ottenuto anche elevate quotazioni. Lelio Cavalli era amante della musica, buon violinista e pianista, studioso di fisica acustica, e cultore di Claudio Monteverdi e della liuteria classica. Fu uno dei più appassionati e competenti fra gli organizzatori delle manifestazioni per il bicentenario della morte di Stradivari nel 1937 e insegnante nella neonata scuola di liuteria dal 1949 al 1952. 

Nessun commento:

Posta un commento