lunedì 10 aprile 2017

La nuova divisa di Farinacci

Farinacci fotografato da Ernesto Fazioli nel 1938
con la nuova divisa bianca

Era una mattina d'estate del 1938 quando Roberto Farinacci entrò nel laboratorio di sartoria di Nino Coelli in via Torriani. Erano amici da tempo e Nino aveva già dato prova del suo amor patrio in qualità di presidente della sezione cremonese dell'Associazione nazionale dei volontari di guerra. Ma soprattutto Nino era un abile sarto come il padre Ernesto, da cui aveva ereditato il negozio in corso Mazzini, specializzato nella confezione di divise militari. «Mi serve una divisa estiva per andare in Africa». Qualche tempo prima, il 12 giugno, Farinacci era stato nominato Ministro di Stato, chiudendo definitivamente il lungo periodo della guerra fredda che lo aveva visto per tanti anni, una decina, anteposto al capo del Governo Benito Mussolini, che ora lo aveva voluto addirittura al suo fianco. Non era stato facile, per uno come lui, vedersi confinato a Cremona, lontano dai palazzi della politica nazionale ma ora, dopo aver partecipato alla guerra d'Etiopia guadagnandosi una medaglia d'argento, ed aver effettuato una missione riservata presso il generalissimo Franco nella guerra civile di Spagna con una lettera di presentazione che lo definiva “combattente di razza”, il suo momento era finalmente giunto. Ai primi di gennaio del 1935 era stato riammesso nel Gran Consiglio del Fascismo e pienamente reintegrato il 10 giugno 1936, dopo essere stato decorato da Mussolini in persona il 31 maggio. Nel suo nuovo ruolo di Ministro di Stato, una carica che sarebbe stata soppressa solo con la Repubblica Sociale, lo attendevano missioni importanti. La prima, già nell'autunno del 1938 nei nuovi territori dell'Africa Orientale Italiana come ispettore della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. La seconda l'anno dopo per verificare le condizioni dell'amministrazione coloniale, al termine della quale, il 21 dicembre 1939, invierà a Mussolini una relazione molt ocriticia. «Una divisa estiva per andare in Africa non può essere la solita con giacca nera e pantaloni bianchi – gli suggerì Nino Coelli – sarebbe meglio, visto il clima, realizzarla interamente bianca». Va bene, rispose Farinacci, che bianca sia. E Nino si mise al lavoro. Quando a Roma si riunì nuovamente il Consiglio dei Ministri il neo ministro di Stato si presentò davanti a tutti vestito completamente di bianco destando lo stupore dei presenti ma, soprattutto, dello stesso Capo del Governo che chiese spiegazioni sul nuovo look, così poco austero rispetto al tradizionale nero dei palazzi romani. Farinacci spiegò che la divisa era stata confezionata su suggerimento del suo amico sarto cremonese che gli aveva indicato il bianco come colore migliore per la missione che lo attendeva. Il duce non seppe resistere alla tentazione. «Ne voglio anch'io una così, dì al tuo sarto di farmela». E Farinacci telefonò a Nino presentandogli la strana richiesta: una divisa bianca per il capo del fascismo. Ma Nino non poteva assentarsi per molto tempo dalla sua bottega di Cremona e si convenne che Mussolini avrebbe spedito come modello per Coelli il suo abito migliore. L'austera auto governativa arrivò a Cremona ed il suo prezioso carico fu trasportato nell'atelier, dove Nino e le sue lavoratrici si misero immediatamente al lavoro. Una volta terminata, la divisa venne spedita a Roma. Mussolini la provò e ne rimase entusiasta. Chiese a Farinacci quale fosse il compenso per il suo amico cremonese, ma il ministro, che già aveva interpellato Nino Coelli, rispose che il sarto non voleva nulla. Tuttavia Mussolini volle fare di testa sua e, per ricompensare il lavoro, inviò a Cremona due grandi arazzi confezionati a mano dalle suore di un convento romano. 
Mussolini in visita a Cremona nel 1939
con la nuova divisa confezionata da Nino Coelli
Gli arazzi vennero esposti nel negozio di corso Mazzini poi, una volta terminata la guerra, al momento di trasferire l'attività nella galleria XXV Aprile, il figlio Fausto decise di rimuoverli ed avvolgerli in grandi fogli di carta perchè non prendessero la polvere. Infine li cedette ad una famiglia di propria conoscenza che ancora oggi li conserva nella propria dimora. Uno di questi raffigura lo stesso Mussolini: è un drappo in velluto di color rosso amaranto, con l'immagine del duce, raffigurato in modo scultoreo come fosse un imperatore romano. Drappi di questo tipo erano prodotti in numero limitato di esemplari, e venivano utilizzati per diverse circostanze, in particolare durante comizi pubblici ed inaugurazioni. Il drappo è in ottime condizioni, con la passamaneria originale d'epoca e le frange inferiori integre. Romano Mussolini, nella biografia del padre (Il duce mio padre, Rcs-Bur, 2004), ricorda che un arazzo simile veniva appeso al balcone di palazzo Venezia in occasione dei discorsi del duce.
Roberto Farinacci si fece immortalare nelle vesti di Ministro di Stato indossando la nuova divisa bianca immacolata in due foto di Ernesto Fazioli, attribuite nel catalogo delle fotografie conservato in Regione Lombardia al 1934, ma sicuramente risalente ad un periodo successivo appunto al 12 giugno 1938. Mussolini compare con la divisa confezionata su misura da Nino Coelli in una foto che lo ritrae insieme a Farinacci alla prima edizione del Premio Cremona del 1939. Lo stesso Farinacci la indossa accogliendo il re Vittorio Emanuele III sotto i portici del palazzo comunale nella medesima occasione ed in un fotomontaggio di propaganda realizzato nel 1940 dallo studio Fazioli, e, sempre nel 1940, in auto in compagnia del gerarca tedesco Esser.
Mussolini e Farinacci con la stessa divisa bianca

I rapporti tra Roberto Farinacci e Benito Mussolini erano entrati in crisi fin dall'autunno del 1925, in seguito alla strage di antifascisti avvenuta in Toscana fra il 3 ed il 5 ottobre. Preoccupato per l'eco negativa che questi tragici fatti stavano suscitando nell'opinione pubblica italiana e internazionale, Mussolini, nella riunione del Gran Consiglio del fascismo del 5 ottobre 1925, aveva fatto approvare un ordine del giorno riservato, che disponeva fra l'altro "lo scioglimento immediato di qualsiasi formazione squadristica" e l'espulsione dal partito di chiunque non ottemperasse a tale ordine”. Di fronte alla riluttanza di Farinacci nell'applicare le disposizioni che avrebbero significato per lui una sconfitta politica, Mussolini il 13 ottobre 1925 gli aveva inviato un durissimo telegramma in cui lo accusava velatamente di proteggere dei criminali in seno al partito e ribadiva il proprio potere assoluto. D'altronde, fin da quando era stato nominato segretario generale del Partito Fascista il 12 febbraio 1925 Farinacci aveva voluto rimarcare la propria differenza da Mussolini, fino al punto di apparire l'antiduce. Durante i tredici mesi del suo segretariato aveva preso sempre più corpo quella dicotomia ai vertici del fascismo, cui corrispondevano diversi settori sociali. Nella politica di Mussolini si ritrovavano la monarchia, le forze armate, il mondo industriale e finanziario, la media ed alta borghesia. All'intransigentismo di Farinacci guardavano con simpatia strati di piccola borghesia oltre alle frange minoritarie ma estremamente attive di squadristi, cui venne dato nuovamente spazio. La politica normalizzatrice di Mussolini mal si conciliava con la ripresa dello squadrismo e, come osserva De Felice, con "alcune prese di posizione più violente e intransigenti di Farinacci che rischiavano di compromettere gli sforzi di Mussolini per legare a sé i fiancheggiatori e ricucire nell'opinione pubblica e nella classe politica le lacerazioni dei mesi precedenti" (De Felice, Mussolini il fascista, Einaudi, Torino 1968).
La crisi era poi divenuta irrecuperabile dal 30 marzo 1926, quando il ras cremonese era stato costretto a dimettersi dal Gran Consiglio dopo aver difeso strenuamente l'imputato principale del delitto Matteotti, Amerigo Dumini, con argomentazioni talmente demagogiche da irritare qui rappresentanti del fascismo moderato di cui il Duce temeva di alienarsi le simpatie. Tuttavia Farinacci, seppur costretto a Cremona da cui lanciava i suoi strali dalle colonne del “Regime Fascista” non era scomparse dalla scena: in agosto del '29 è di nuovo insieme al Duce, con Balbo e Grandi, a passare in rassegna i balilla in visita a Villa Torlonia. Ed ancora, il 23 marzo 1930 è a Verona per la commemorazione dei Fasci di Combattimento. In maggio segue il Re a Catania. Qualche volta è lo stesso Mussolini a prendere, però, le sue difese, come quando dopo l'attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, a Bologna il 31 ottobre del 1926, la polizia nel tentativo di risolvere aspetti oscuri della vicenda, ritiene vi siano implicati componenti del fascismo estremista ed il Duce lo scagiona completamente. Nel 1928 Farinacci è ancora al centro di una tumultuosa vicenda giudiziaria, denunciando, tramite l’ex Federale di Milano Carlo Maria Maggi, poi espulso dal partito, un presunto intrigo politico, con risvolti economici, perpetrato nel milanese dal Podestà Ernesto Belloni, dimessosi nello stesso anno, e dal Federale Mario Giampaoli, implicato nel gioco d’azzardo. Farinacci arriva ad accusare Giampaoli di tentato omicidio nei suoi confronti: il Giampaoli viene espulso dal partito nonché citato in giudizio e condannato in base a prove schiaccianti nel 1930, grazie all'intervento di Achille Staracer, inviato dallo steso Mussolini a svolgere le indagini. 
Farinacci di ritorno dall'Etiopia con l'arto menomato

Dopo la nomina di Starace a segretario nazionale del PNF, Farinacci si isola per qualche anno dalla vita politica, dedicandosi alla professione forense e giornalistica raggiungendo grandi risultati con il suo giornale “Il Regime Fascista”, a diffusione limitata all'Italia settentrionale, che arriva a vendere più copie del stesso “Popolo d'Italia”.  Dalle colonne del suo quotidiano non lesinò attacchi ad alcuno; memorabile resta il suo violento attacco ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce e organizzatore delle Battaglie del Grano e del Rimboschimento, accusato, in modo dimostratosi poi del tutto infondato, di aver ricevuto finanziamenti occulti. Ma ormai è giunto il momento delal riappacificazione, preceduta ancora da una prova di forza: l'8 ottobre 1933 Farinacci porta a Roma con quindici treni speciali sedicimila fascisti cremonesi che portano in dono al duce un toro, due mucche e sei violini. Musolini non può far altro che capitolare ed il 21 novembre convoca Farinacci per un colloquio chiarificatore che prelude alla pace, sancita definitivamente dalla visita effettuata a Cremona dal Duce il 7 ottobre 1934.
L'occasione per il rilancio definito arriva con la guerra d'Etiopia. Alle prime avvisaglie della Guerra d'Africa Farinacci partecipa ad un corso per Sottotenente di Complemento dell'Aeronautica e come tale prende parte alle operazioni per la conquista dell'Impero. Con lo scoppio della guerra il 3 ottobre 1935, Mussolini decide che tutti i gerarchi fascisti appartenenti alle classi di leva chiamate alle armi o che rivestivano ruoli di un certo rilievo negli apparati militari e paramilitari debbano partecipare al conflitto. Alcuni di loro si arruoleranno nella Regia Aeronautica ed i più noti finirono alla 14a Squadriglia B.T. “Testa di leone” (Bruno e Vittorio Mussolini) o alla 15a Squadriglia B.T. “La Disperata” (Galeazzo Ciano, Roberto Farinacci, Ettore Muti ed Alessandro Pavolini), entrambe con base ad Asmara ed un distaccamento ad Assab. Il 7lfebbraio del 1936 si arruola nello squadrone dei bombardieri al comando di Galeazzo Ciano. Un documentario dell'Istituto Luce lo mostra il 12 febbraio a Napoli, insieme a Starace e Ciano in partenza per l'Africa. Il 4 marzo sbarca all'Asmara. Durante un volo aereo perde la rotta e deve atterrare in territorio nemico restandovi finché non viene recuperato da Bruno Mussolini. Come aviatore viene decorato con la medaglia d'argento al valor militare citando le “32 missioni di guerra e le 112 ore di volo”. Ma è anche nel corso della Guerra d'Etiopia che acaade quell'episodio che lo segnerà per sempre. Il 4 maggio, un giorno prima della fine della guerra, durante il lancio di una bomba a mano che esplode in anticipo, perde la mano destra: si pensa inizialmente durante una esercitazione bellica ma poi si viene a sapere che in realtà è per un incidente occorsogli mentre pescava con le bombe a mano in un laghetto presso Dessiè . Un intero fascicolo del dossier relativo al medagliere (Arrigo Petacco, L'archivio segreto di Mussolini, Mondadori, Milano, 1996) è dedicato a questa mutilazione: la motivazione ufficiale spiega che il gerarca è rimasto ferito nel corso di un'esercitazione nell'uso delle bombe a mano e vi è anche una lettera di Farinacci in cui chiede a Mussolini di essere risarcito con l'Ordine militare di Savoia per il suo gesto d'eroismo con una decina di telegrammi in cui si esaltano l'arditismo del soldato ed il suo sprezzo del pericolo, tra cui uno del fratello Ettore che recita: “Duce! Mio fratello ha perduto il braccio destro nel compimento del proprio dovere, E' nello stile fascista: quando un braccio viene meno nella lotta, un altro lo sostituisca. Eccolo, Duce. Metto a vostra disposizione il mio braccio destro”. Ma d'altronde un rapporto riservato di un maresciallo dei carabinieri racconta un'altra verità: “S.E. Farinacci non si è sfracellato la mano durante un'esercitazione volontaria, ma si è ferito mentre si dilettava a pescare di frodo con delle bombe a mano in un laghetto presso Dessiè. Per questa ragione Ettore Muti ha soprannominato S.E. Farinacci il 'Martin Pescatore'”. La mutilazione viene comunque considerata come ferita bellica e ne ottiene un vitalizio: quando però Mussolini viene a sapereì come erano andate le cose, lo costringe a devolvere tale pensione d'invalidità in beneficenza. Questo non impedì a Farinacci di guadagnarsi anche una medaglia d'argento, consegnatagli dallo stesso Maresciallo Badoglio il 31 maggio 1936.

Nel 1937 viene inviato presso Francisco Franco direttamente dal Capo del Governo come osservatore militare in Spagna durante la guerra civile: è iì proprio nei terribili giorni della sconfitta italiana a Guadalajara. Di ritorno fa una relazione del tutto realistica, mettendo in luce come l'azione di Franco possa divenire a breve immediatamente critica e fallire senza una nuova e più concreta partecipazione italiana e tedesca a quel conflitto. E' lì in Spagna che ha un confronto diretto con i tedeschi e l'ideologia nazionalsocialista, e aderisce in parte alle teorie razziste tanto che rientrato in Italia entra in contatto con Giovanni Preziosi, che dopo quattro anni farà nominare Ministro di Stato. L'adesione alle teorie razziali tedesche da parte di Farinacci non è totale, infatti nei tedeschi lui vede principalmente gli apportatori di una nuova ideologia più pura da contrapporre al fascismo italiano ormai imborghesito e il razzismo diventa il pegno da pagare. Ciononostante continuerà a tenere al proprio fianco la sua segretaria Jole Foà che era ebrea. E nel 1939, a suggello della ritrovata vicinanza con Mussolini , con tutti i distinguo del caso, viene nominato Dignitario della Corona.


giovedì 6 aprile 2017

La sorpresa di Cremona


Pianta di Cremona con i medaglioni di Eugenio di Savoia e del Villeroy
Fu una giornata memorabile quella del 1 febbraio 1702, talmente unica che l'episodio che la caratterizzò, nonostante si fosse trattato di un fatto d'arme secondario nel contesto della guerra di successione spagnola, rimase noto nella memoria storica come la “Sorpresa di Cremona” e fu oggetto di un numero indefinito di scritti e ricostruzioni illustrate. A determinarne l'unicità furono le modalità da cui nacquero le scaramucce, che per un'intera giornata opposero gli eserciti franco-ispani da una parte e imperiali con i loro alleati guidati dal principe Eugenio di Savoia dall'altra, davanti ai cremonesi esterrefatti e rassegnati. Gli austriaci riuscirono a penetrare nella città, occupata da un distaccamento francese, senza colpo ferire nel corso della notte, grazie alla complicità del parroco della chiesa di Santa Maria Nuova don Giovanni Battista Cozzoli, il quale aprì ai soldati un passaggio sotterraneo che dalla chiesa conduceva nella Cremonella e da lì oltre la cinta muraria. Quella che riportiamo è la descrizione dell'episodio riportata da un testimone oculare a distanza di circa un anno dal verificarsi dei fatti, come si può dedurre da un passo dell'autore. E' contenuta in un manoscritto anonimo conservato nel fondo della Libreria Civica di Cremona, proveniente dalla collezione Ala Ponzone (Aa.2.24) e costituisce, con ogni probabilità, il primo resoconto dettagliato dello scontro e la principale fonte da cui trassero notizie tutti quegli autori che in seguito se ne occuparono, tra cui Lorenzo Manini. L'importanza del piccolo fascicolo, sui cui campeggia la dicitura “Assed del principe Eugenio”, è confermata dalla bellezza della legatura, che il marchese Sigismondo affidò al libraio milanese Luigi Lodigiani, il quale ne parla in una lettera del 27 novembre 1825 ritenendolo “foglio manoscritto del principe Eugenio”. In realtà, pur attingendo a una relazione “scritta per quanto si può credere nel campo Imperiale”, l'autore è sicuramente un altro. Vincenzo Lancetti nella sua “Biografia cremonese”, riprendendo la notizia dalla “Guida storico sacra” del Grasselli, ricorda che Francesco Arisi, uno dei protagonisti di quella memorabile giornata in qualità di “Conservatore” della città, aveva scritto un opuscolo rimasto inedito intitolato “Storia della sorpresa di Cremona fatta dal principe Eugenio nella notte del giorno I febbrajo 1702”, di cui lo stesso Grasselli avrebbe posseduto la copia, ma andato perduto. Potrebbe essere questo? Eccolo.

La prima pagina della
cronaca manoscritta del 1703
Relazione del successo in Cremona il primo giorno di Febraio 1702
In poca distanza della casa parochiale di Sta. Maria Nuova evvi un aquadotto che noi chiamiamo volgarmente chiavica il quale scarica l'acqua della Contrada nella fossa circostante la città mediante un apertura con sua crata di ferro fatta nella muraglia della città stessa verso tramontana. Habitava in questa casa il parocho della chiesa sod.a chiamato d. Gio. Batta Cozzoli oriundo dal teritorio di Brescia. Haveva questi fra gli altri un fratello di lui minore, chiamato Antonio costretto per diversi debiti, dopo una lunga prigionia l'assentarsi da Cremona e girne ramingo à cercare in altro clima il modo di vivere come in fatti capitato ad assoldarsi nell'Armata Imperiale che di presente occupa gran parte de luoghi circonvicini, pensò unitamente col prete di dar Cremona in mano del soddetto Principe Eugenio Generalissimo di quest'armata, e suggerendoli che per lo stesso aquadotto col levare l'impedimento della crata di ferro e far poscia un forame corrispondente alla cantina di detta casa in distanza solo di tre braccia si potevano introdurre i soldati imperiali di notte tempo, si concertò di così esseguire con lo stesso detto Principe Eugenio e tanto più perchè dal tempo ch'era partita dalla città la Cavalleria dragona dello stato non si mandava più di notte a battere la strada.
Il Sabbato adonque 28 del mese di Gennaio prossimo scorso alla mattina, per quanto si è discorso, ed è probabilissimo, otto minatori imperiali travestiti da contadini con alcuni buoi entrarono nella città sotto pretesto di vendergli sul mercato, che pure è in pochissima distanza dalla casa del Prete, qua in hora opportuna senza che alcuno se ne avvedeva, si portarono in detta casa ed invi si diede principio e si continuò a lavorare per far l'apertura che dalla cantina passasse all'aquedotto com'in fatti seguì, indi si ruppero le pietre congiunte alla cinta di ferro in maniera di levarla subito nell'occorrenza premeditata.
Quello ch'è degno di meraviglia in questo punto si è che essendo quasi del tutto coperta dal fango della fossa la bocca e la crata di ferro della chiavica, ottenne il prete licenza da d. Diego di Concia Vice Governatore della città sotto pretesto che tale otturamento facesse rigurgitare l'aqua ed innondar la cantina di farlo scoprire facendosi avanti un canale alto due brazza incirca e longo dieci che servì poi di più facilità all'ingresso che si dirà.
Datosi aviso dal Prete al detto Prencipe Eugenio che l'apertura era in ordine fece S.A. (come si può leggere in una relazione di questo fatto scritta per quanto si può credere nel campo Imperiale) il di 31 genn.o unire nelle vicinanze d'Ostiano sotto pretesto di voler rilevare la linea più esposta del fiume Oglio verso Cremona, 2500 fanti e 1200 cavalli, nel qual tempo da contorni di Mantova dov'esso haveva fatto il giro col Signor Prencipe di Comerci per non dar alcun sospetto della mossa delle loro persone, capitorono segretamente in una cassina fuori di Ostiano verso la sera del detto giorno, e trovate già le disposizioni delle truppe dal sig. maresciallo Guido di Starembergh e dal detto generale marchese Annibale Visconti cavagliere milanese opportunamente rinfrescate sul primo imbrunire della notte con ogni maggior silenzio a diligenza possibile fattole passare il ponte sopra l'Oglio col beneficio della notte oscura si cominciò la marchia assegno che due hore avanti giorno giunsero tutti i signori generali ch'erano alla testa di quel distaccamento vicino al convento de P.P. Capuccini, senza che veruna persona se ne accorgesse, e qui attese tutte le truppe ed unitele ne campi contigui un hora e mezza avanti giorno, levatasi la ferrata all'imboccatura dell'Aquedotto, e posti alcuni assi sopra il piccolo ramo dell'aqua che scorre in detta fossa cominciò ad entrare il detto d. Offman Sergente Maggiore del Reggimento Svinch con una compagnia de Granatieri e 200 altri fanti, indi seguì l'entrata con altre tanti soldati del detto marchese Nazari Novarese sergente maggiore del Regimento d'infanteria di Lorena. Seguirono a questi il suddetto comandante di Kopstein con simile comitiva nel buio della notte, mancatagli l'orma di quelli ch'erano avanti di lui, fatto ciò avertiva fu subito scortato dal suddetto Baron Vazel tenente colonello d'infanteria venturiera, mentr'esso Barone era già stato il primo a riconoscere la detta apertura, a se il tutto era in stato di potersi eseguire.
Eugenio di Savoia (Jacob van Schuppen, 1718)
Spuntava di già il giorno che lo stesso conte di Kopstein proseguì l'entrata con la sua gente, e in questo tempo si fece avanzare il conte di Merci tenente colonnello a cavallo del Reggimento di Lorena con 200 cavalli verso la porta Margherita, ch'era quella si doveva sforzare ed aprire dalla fanteria per di dentro, dopo detta cavalleria seguitò il Baron Schulzer tenente colonnello del Reggimento Svinch con una compagnia de Granatieri ed il rimanente delli 2500 fanti col signor generale Orbesthein dopo del quale seguirono il signor generale Visconti alla testa della Cavalleria, la quale consisteva oltre li 200 comandati dal comandante Merci in altri 350 corazieri del Regimento Taff comandati dal Barone di Fraibergh tenente colonnello con li timbali e sei stendardi ed in altri 350 pure Corazieri del Reggimento Nesburgo comandati dal signor d'Opprè sergente maggiore con altre tanti timbali e stendardi.,
Uscito dalla detta casa dov'era nascosto l'Offman allo spuntare del giorno si portò con la sua gente secondo la sua comissione a sforzar per di dentro la porta Margherita il che gli riuscì felicemente havendo tagliata a pezzi la guardia di quella rotti li rastelli a la porta alzato il ponte levatoio e respinti altri soldati armati che dalle caserme vicine accorsero al rumore.
Nello stesso tempo il marchese Nazari si portò ad attacare il corpo di guardia francese della Piazza picola, del quale a forza di granate gettatevi dentro se ne impadronì con una strage vicendonala, prendendo ancora i pezzetti di cannone da campagna vuoti che là si trovavano, indi si fece aprire il palazzo del signor senatore podestà lasciandovi una guardia di 150 uomini, e poco dopo quello della città lui contiguo.
Il conte di Kopstein che doveva con la sua gente portarsi a drittura alla casa del sig. con. Alessandro Schinchinelli per attaccare il corpo di guardia del sig.r Maresciallo conte di Ravel ivi alloggiato, e del Vice governatore della città, che habitava in altra casa poco distante havendo smarrita la guida, fuggitali per lo timore delle archibugiate non trovandone altra, si portò accidentalmente alla Porta d'ogni Santi, attaccò la guardia di quella, e se ne impadronì restandovi in questa azione alcuni morti e feriti si dall'una come dall'altra parte, costretto poscia ad abbandonarla dal gran fuoco che fecero questi soldati francesi.
Apertasi la porta Margherita entrò a tutto trotto il Conte di Mercy con li suoi 200 cavalli il quale condotto dal marchese Nicolò Pallavicino Cap. del Reggimento Visconti corsero a drittura alla Porta del Po dove seguì una terribile scaramuccia con ucisione d'amendue le parti impadronendosi gli Alemanni di sedici pezzi di cannone ch'erano delle due batterie di Santo Salvatore e di S. Lucia, dando il segno con un tiro di cannone caricato da essi con grande stento per haverli trovati tutti voti al signor Principe Carlo Tomaso di Vaudemont secondo il concertato, affinchè sapesse essere già gli Alemani in Cremona, e subito attaccasse con li 3 mila uomini che aveva seco alla punta del giorno, la testa del ponte sovra il Pò fabricatasi da Francesi; ma la sua infanteria non essendo per anche gionta per la pessima strada non poté esseguirlo, e i Francesi comandati dal Baron Suthzer non potero giungere così presto alla Porta del Pò come i primi cavalli per forzarla ed aprirla indi guadagnare il ponte che fu disfatto da Francesi nello stesso tempo, per dare il passo franco al soccorso delli 3 mila uomini che oltré il Pò erano col detto sig. Principe havendo il sodetto Barone smarrita la strada per la città assai grande, fuggendo la guida per la tema delle moschettate che volavano in ogni parte.
Francesco Arisi
Dopo tre vigorosi attacchi delli primi 200 cavalli alla guardia di quella porta dove eran gl'Irlandesi, li quali tutti dalli quartieri vicini valorosamente n'accorsero in numero di 1000, o più occupando anche la casa vicina a quella convenne agl'Alemani di ritirarsi si dalla porta, come dalle due accennate batterie.
Verso le hore sedici si portò sulla piazza piccola il signor Prencipe di Comercy e fatto chiamare il signor Senatore don Gio. Galeazzo Visconte Podestà della città nella quale non erano più di venti giorni che haveva principiato la sua Pretura, gli fece istanza che facesse publicare subito un editto col quale si comandasse a tutti li cittadini di prender l'armi a favore dell'Imperatore, e che si scacciassero li Francesi offerendoli migliori trattamenti, e per lo contrario minaciando sangue e fuoco quando non si fosse esseguito ciò che voleva. Si scusò il detto Senatore che non si potesse far tal editto a vista del presidio francese che generosamente si difendeva e ch'era necessario che venisse qualche parte de consiglieri della città per consultare con essi una materia tanto importante, mà per lo gran fuoco che si faceva per la città non potè unire che li signori Pietro Antonio Lodi, Cap. Sforza Picenardi, Ludovico Ferrari e detto Francesco Arisi Conservatore degl'ordini della Città che si fermarono sin alla mattina seguente col medesimo sig. Podestà. Vi furono pure li signori maresciallo di campo Sigismondo Cambiaghi e cap. Giacomo Sforzosi, ma poco vi si trattennero essendo precorsa la voce che il signor marchese Gio. Francesco Ugolani nel portarsi al pretorio con due tubatori della città era stato condotto da una truppa francese nel castello; partito il signor prencipe di Comercy non mancavano di quando in quando altri generali ed officiali maggiori di portarsi al Pretorio facendo istanza anche con minaccie vigorose per haver fieno per i cavalli, e perchè se gli approntassero delle barche per far portare i fanti del Prencipe di Vaudemont, volevano botti e barili per far trinciere, zappe, badili, polvere, palle legna e 10 mila razioni di pane per la mattina seguente, con tutto ciò si contentarono solo di un poco di fieno e di legna trovati in poca distanza della detta piazza picola, proverandosi di aquietarli ora con una scusa, ora con l'altra, e che per il pane si haverebbe procurato di sodisfarli, ma dio benedetto fece che verso mezz'hora di notte improvisamente gli Alemani abbandonarono i posti, ed uscirono dalla città, non essendosene alcun avveduto fin alle due della notte, nel quale tempo da Francesi furono ripigliati e la porta Margherita, ed il corpo di guardia della piazza picola.
Questa orribilissima giornata nella quale da una parte, e dall'altra durò il fuoco più vigoroso fino alle hore ventiuna fra le altre imprese, fu considerabile la presa fattane dal signor maresciallo di Villeroy qui Generale Comandante verso le ore 4 nella contrada detta de Mercanti vicino alla piazza picola dal cap. Magdanelli Irlandese del Reggimento Bagni, mentre a cavallo andava in traccia della sue truppe.
Fu pure mortalmente ferito e fatto prigioniero il Tenente Generale Marchese di Crenan ma lasciato in Cremona sulla sua parola a curarsi, mortò poscia fra puocho, e sepolto nella chiesa di S. Vito mentre aveva l'alloggio nella casa del sig. Marchese Bartolomeo Ariberti ivi poco distante.
Il Maresciallo di campo m. di Mongon volontariamente datosi prigioniero havendo fatto lo stesso il Maresciallo di Croy.
Il Governatore della Città don Diego de Concia ferito vicino a porta d'Ogni Santi, e spogliato, morì due giorni dopo l'azione ma non fu compianto da nessuno per la sua maniere troppo severa nel governare.
Diversi altri officiali Francesi di stima sono morti si nel conflitto come doppo l'azione e frà gl'altri il Colonello di Vestò, il suo sergente maggiore il tenente colonello del Reggimento di Fimarcon, il cavaglier Lalama Capitano del detto Regimento.
In Ostiano oltre il maresciallo di Villeroy condottovi dal Baron Schatin Capitano del Reggimento di Neoburgo scortato da 30 cavalli si toccano prigionieri marchese di Grigny Intendente generale preso dagl'Alemani nella casa del sig. comandante Galeazzo Crotti dove aloggiava, il tenente colonnello marchese de La Luciar, il sergente maggiore d'Overgne, il sergente maggiore marchese d'Estrina, marchese de La Brosse pur sergente maggiore e il cavaliere Desy Agiutante Maggiore, il sergente maggiore della Vechia marina ed altri officiali di riguardo, oltre i signori capitani e 45 tenenti, ed altri subalterni al numero di 80; soldati e servitori 455.
Molti altri officiali feriti sono morti dopo il conflitto, come pure soldati semplici trà il combattimento, e dopo almeno 500.
Più nella relazione mentoata si dice haver presi gli Alemani à Francesi sei stendardi, due timbali, oltre un gran numero de cavalli senza quelli levati dalla scuderia del marescial di Villeroy, presero pure nelle case dove allogiavano gli officiali argenterie, denari e bagagli essendone molti rimasti spogliati del tutto.
Dagli officiali Alemani sono restati morti il comandante Leininghen colonello d'infanteria che l'anno prossimo scorso haveva desertato dal servizio di S.M.Cat. amazzato nel vigoroso attacco della porta del Po il sodetto Barone di Fraibergh, il signor di Lether capi del Reggimento Taff, il signor d'Etfort capitano del Reggimento de Corazieri di Lorena, il capitano Scaglin del Reggimento Suintk d'infanteria, il barone Volzoghen capitano del Regimento di Lorena d'Infanteria.
Tenenti di cavalleria e infanteria n. 8 alfieri n. 4 altri sotto ufficiali n. 20 Soldati gregarij di cavalleria ed infanteria n. 200 incirca e 100 feriti.
Officiali prigionieri il detto Barone di Mercy ferito, col suo tenente pure ferito che morì alcuni giorni dopo il sig. capitano Mars capitano del Reggimento Lorena di Cavalleria ferito, il detto capitano Magdanelli Irlandense, quello che fece prigione il signo Maresciallo di Vellory, essendosi avanzato per indurre gl'altri Irlandesi a rendersi agl'Alemani fu arrestato anch'esso, ma pochi giorni dopo in grazia del detto Maresciallo liberato.
Soldati Alemani prigionieri n. 300 la maggior parte de quali trattenutisi nell'osteria, per non essere notiziati della montria improvisamente fatta come si è detto di sopra. Altri officiali, o soldati feriti furono condotti ad Ostiano al n. di 50 incirca.
Il numero donque de morti tra l'una e l'altra parte ascende incirca al numero di 700. Tra quali 158 ne furono fatti levare dalla strada dall'Officio della sanità per sepelirli nella fossa che fu fatta l'anno prossimo scorso fuori della città per sotterrare i morti di questa truppa, altri molti ne furono sepolti in diverse chiese e luoghi vicini à terrapieni, ed in particolare nella detta chiesa di S. Maria Nuova, e di S. Michele dove segui la maggior strage, fu pure in gran fuoco verso la porta Mosa S. Salvatore, e in quei contorni alla porta del Po, fra la piazza grande e piccola dove si numerarono centa cadaveri, molti pure se ne contarono nella Contrada di S. Nazaro, dell'Incoronata e della Trinità, furono pure fatti gettare al fiume cinquanta e più cavalli trovati morti per la Contrada.
In un fatto d'armi così fiero, e sanguinoso rimase intatto gran tratto della città quanto si è dalla strada di S. Ellena, di S. Agata, fino alla porta di S. Luca, e di S. Agostino al castello e quello che fu miracoloso si è che non fu ucciso alcun de cittadini toltine un laché ed un sguattiro de' monsignor Alessandro Croce vescovo della città, che spinti dalla curiosità portatisi sopra d'un alto tetto del Vescovato ed osservati dagli Alemani dubitando d'essere offesi anticiparono i colpi da quali furono uccisi nello stesso luogo.
Il signor prencipe Eugenio si tratennè tutto il tempo che stette in città in una casa vicina a Porta Margherita havendo lasciato fuori della detta porta, e in poca distanza un squadrone del Regimento di Neoburgo comandato dal signor marchese Malaspina capitano più anziano di quel Regimento per opporsi a chi havesse voluto attaccare la detta porta per di fuori et il Regimento d'Ussari del colonello Paolo Diach.
Della partenza improvisa degli Alemani si dicono molte cose, ma perchè patiscono molte eccezioni si tralasciano, non è però da omettersi la lode dovutasi alla nazione Francese che in questa inaspetata emergenza (concioche gli uni si nascondessino molto bene né monasteri e nelle case de cittadini) si portò così valorosamente combattendo la maggior parte senza i loro capi che rimasero ne primi cimenti o morti, o feriti o prigionieri.
Il prete Cozzoli fuggi dalla città per la detta apertura havendo lasciata la casa piena alla discrezione di questo presidio che oltre il sacco datole l'ha dirocata da fondamenti restando pur la chiesa da cui d'ordine di monsignor vescovo furono levate le cose sagre, e mutata in un corpo di guardia, non si manca da superiori di far il processo contro del detto prete, che solo vi è toccato colpevole di questo fatto da cui ne sono partorite tante ruine.
Copia della lettera scritta alla Città di Cremona dal signor don Antonio De Ubilla e Medina segretario del Dispaccio Imperiale di S.M. Cat. tradotta dallo spagnolo in italiano.
Essendo giunto a notizia del Re N.S. (che dio guardi) il successo occorso in questa città il giorno primo di questo mese con l'occasione delle truppe Alemane che vi s'introdussero per sorprenderla, come pure certificato dal valore e dalla costanza con la quale le SS.VV. Si sono mantenute fin tanto che sono state scacciate dalla città lasciandola con tal mezzo libera da somigliante attentato, mi comanda S.M. Che io dia alle SS.VV. in suo Real nome (come esseguisco) le più speciali gratie per la fedeltà e zelo che le SS.VV. han manifestato in questa occasione, assicurando le SS.VV che S.M. Terrà molto presente questo servizio per honorare, e favorire le SS.VV.con ispecialità in quanto si stimerà possa essere della maggior consolazione e sodisfazione delle SS.VV. Nostro Signore conservi, e guardi le SS. VV in tutta felicità come desidero. Barcellona 22 de febraio 1702.
Sottoscritto d. Antonio de Ubilla Medina
In calce signori della città di Cremona”