venerdì 3 febbraio 2017

Quando l'Assunta si nascose a Cremona

L'ingresso dell'Assunta di Tiziano a palazzo Ala Ponzone

C'era una piccola folla di curiosi quella sera del 17 marzo 1917, cent'anni fa, quando si presentò davanti all'austero portone del palazzo Ala Ponzone quella enorme cassa di legno fissata ad un carro trainato da cavalli. Talmente voluminosa che, per farla entrare, si dovette tagliare sino alla base una finestra, ricavando un varco nel muro, come avevano fatto qualche mese prima i veneziani per portarla al riparo nel primo rifugio al piano terra dell'Accademia. La notizia che la pala dell'Assunta di Tiziano a Santa Maria dei Frari avrebbe lasciato la città lagunare per essere portata al sicuro in una tranquilla città di provincia, aveva fatto rapidamente il giro dei campielli e dei paesi rivieraschi: al passaggio del burchio “Santa Maria” dove la grande tavola era stata sistemata per il lungo viaggio, le donne lungo le sponde dell'Adige e poi del Po, si inginocchiavano in preghiera. Il burchio con il suo prezioso carico era partito la mattina del 12 marzo dalle Fondamenta delle zattere, scortato dal Battaglione Lagunari del 4° Genio e da un piccolo convoglio di imbarcazioni, aveva percorso lentamente il Canale dalla Giudecca, poi la Laguna, si era inoltrato lungo l'Adige e poi aveva risalito il Po. Una volta giunta a Cremona l'Assunta venne messa “nella sala terrena verso corso Vittorio Emanuele dove si trovano le terrecotte e parte della libreria Albertoni”, come si legge nella relazione conservata nell'archivi odel museo civico, e immediatamente coperta da un migliaio di sacchi di cenere di Murano trasportati su un altro barcone che l'aveva accompagnata nel viaggio da Venezia. Non era stata una scelta facile quella di trasferire il capolavoro di Tiziano, venerato da tutti i veneziani, in una città legata a Venezia da vincoli storici, ma lontana dalla laguna.
L'Assunta lascia l'Accademia di Venezia
Tuttavia era stata una decisione obbligata, anche se non del tutto inaspettata, visto che già nel 1849 l'Assunta era stata staccata dall'abside dei Frari, addossata alla parete più in basso e coperta di balle di cotone a protezione delle bombe lanciate sulla città dagli austriaci. E fin dal febbraio 1915, quando divenne chiaro che l'Italia sarebbe entrata in conflitto, la Sovrintendenza alle gallerie e agli oggetti d'arte del Veneto in accordo con quella dei Monumenti, avevano preso accordi con il comune di Venezia per stabilire i provvedimenti da adottare in caso di guerra. Il 13 e 20 marzo si erano tenute perciò due sedute in municipio con la partecipazione dei rappresentanti del Comando del Dipartimento marittimo e della Prefettura in cui si era deciso che, stante la mancanza di sotterranei, si sarebbero messe al riparo le più importanti opere d'arte trasportandole in città più sicure, anche oltre gli Appennini. Vennero subito imballate duecento tra le opere più significative delle Gallerie, sotto la guida dell'ispettore delle Gallerie Giuseppe Soranzo, coadiuvato dall'ispettore della Soprintendenza di Mantova Guglielmo Pacchioni e dal professore di storia dell'arte dell'Università di Torino Lionello Venturi. Di questo primo gruppo facevano parte la Presentazioen al Tempio di Tiziano, il Miracolo di San Marco e le latre granditele del Tintoretto. Òa Consegna dell'anello di Paris Bordone, il Pordenone, i quadri della Scuoal di S. Orsola del Capraccio e della Scuola di S. Giovanni Evangelista di Gentile Bellini. Le tele più grandi furono avvolte su rulli di grande diametro montati su speciali cavalletti. Date le dimensioni colossali per il momento si era dovuto però rinunciare al trasporto dell'Assunta, dipinta interamente su tavola,. Per non impressionare la popolazione le operazione di imballaggio e trasporto si svolgevano di notte, caricando le opere su vagoni messi gratuitamente a disposizione dalle Ferrovie dello Stato, portati fino all'approdo dell'Accademia. Il Cenacolo di Andrea del Sarto venne ricoverato nei depositi dell'ex convento di San Salvi a Firenze, altre opere trovarono posto, sempre a Firenze, in nuovi locali nelle cripte medicee di San Lorenzo, al Bargello e a palazzo Riccardi. Ancora prima dello scoppio della guerra una quarantina di capolavori, dopo lunghe trattative, vennero tolti dalle chiese: tutti i quadri di Tiziano, molti Tintoretto, da S. Giovanni Crisostomo Bellini e Sebastiano Dal Piombo, dai Carmini il San Vitale a cavallo del Carpaccio, il Cima e il Lotto, dai Gesuati il Tiepolo. Alle proteste delle fabbricerie spesso si unirono quelle dei discendenti delle nobili famiglie veneziane patrone degli altari delle chiese dove erano posti i quadri. E' il caso, ad esempio, del polittico del Bellini e della pala Pesaro di Tiziano ai Frari, dove vi fu l'opposizione al trasporto dei nobili Nani, eredi dei Pesaro e dei Gradenigo, vinta solo grazie all'intervento del prefetto Rovesenda. Tutti i dubbi e le riserve vennero superati dai fatti: già all'alba del 24 maggio, appena dichiarata la guerra, Venezia fu bersaglio del primo raid di aerei austriaci. Un nuovo bombardamento aereo alla fine di ottobre distrusse l'affresco di Gian Battista Tiepolo agli Scalzi, nell'agosto 1916 andò a fuoco il soffitto della chiesa di S. Maria Formosa, da cui era stata portata in salvo la Santa Barbara di Palma il Vecchio, ed altri incendi interessarono altre chiese danneggiando, tuttavia, solo opere minori. Questo convinse la sovrintendenza e gli amministratori locali ad accelerare il più possibile la messa in sicurezza dei capolavori rimasti a Venezia, ad iniziare dai teleri di Tintoretto alla Scuola Grande di San Rocco, già trasportati al piano terra.

Il viaggio sul Po
Mentre in tutto il Veneto fervevano le operazioni per porre al riparo le opere d'arte più significative contenute nelle chiese delle province maggiormente esposte alle fasi alterne del conflitto, nonostante l'avanzata italiana nell'inverno del 1917 facesse per il momento allontanare il pericolo immediato, dei capolavori delle gallerie rimaneva a Venezia solo la pala dell'Assunta, impossibile da spostarsi a causa delle dimensioni. Lo racconta Gino Fogolari, direttore delle Accademie, nel rapporto pubblicato nel settembre 1918 sul Bollettino d'arte: “Per poterla almeno trasportare con sicurezza in un locale protetto, la si collocò ritta sul fianco, dentro una speciale armatura, poggiante sun un tavolato di circa un metro di larghezza, legato da robusti stanti di ferro riuniti e stretti in lato sopra appositi cuscini, secondo i suggerimenti del prof. Giovanni Bordiga, allora Sopraintendente dei Monumenti. Calata alle finestre su gli argani, a mezzo di uno speciale castello di travi, come si fece per il colossale gruppo dell'Ercole e Lica del Canova, tirata su rulli, demolendo qualche tratto di muro, venne portata e chiusa in una stanza a volta del piano-terra e tutta fasciata e coperta da circa mille sacchi di sabbia delle fornaci di Murano. Ma, data la sempre crescente efficenza perforatrice e demolitrice delle bombe negli ultimi assalti aerei a Venezia, la Commissione provinciale per la conservazione dei monumenti, presieduta da S.E. Scialoja, nella seduta del 20 ottobre, opponendosi ai progetti, già messi avanti, di trasportare il capolavoro di Tiziano, per via d'acqua, lontano dalla città, stabiliva, a mezzo di una speciale sotto-commissione, che lo si collocasse in un locale dell'Istituto di Belle Arti, giudicato più sicuro, e nulla si tralasciasse per rinforzarlo con murature esterne, con puntellature e con strati di sabbia e di alga, sovrapposti ai diversi piani e persino con una lamiera di acciaio dello spessore di un centimetro.
Si eseguirono i nuovi lavori, ma non fu possibile ottenere la lamiera di acciaio in quantità sufficiente, né corrispondere a tutte le richiese della sottocommissione, per garantire in modo assoluto la sicurezza dell'opera; perciò il Comandante in Capo della Piazza Marittima ordinava, il 5 febbraio 1917, che il famoso capolavoro venisse trasportato a Piacenza o a Cremona, dandone preciso incarico al Comando del Battaglione Lagunari del 4° Genio, che già aveva studiato il progetto. La scelta del burchio più sicuro, l'attrezzamento speciale di esso, perchè la grande cassa piramidale, contenente il capolavoro, formasse un tutto ben legato, e, convenientemente rialzata, fosse completamente al riparo dell'umidità e dalle pioggie, le disposizioni per facilitarne il carico sulle fondamenta delle Zattere, prossime all'Accademia, la formazione dello speciale convoglio, che, coi mezzi di traino più convenienti, a seconda delle caratteristiche delle vie navigabili dalla Laguna all'Adige e al Po, doveva procedere con la maggiore rapidità possibile, guardato giorno e notte da una scorta armata al comando di un ufficiale del Battaglione Lagunari: tutto ciò venne minutamente studiato e predisposto per garantire la perfetta incolumità, dle preziosoe singolarissim ocarico, dal tanto benemerito Colonnello Comandante comm. F. Ricci e dai tenenti D'Ajello e Bisacco.
Sotto il ponte di ferro a Cremona

Tale viaggio era solo reso possibile dalla nuova e pur già lunga esperienza, acquistata dai nostri Lagunari, della antica via di comunicazione fra Venezia e la terra-ferma, già tanto cara ai bucintori degli Estensi e dei Gonzaga e dalla guerra rimessa in onore e resa di tanta utilità ai pesanti trasporti dalle città padane sino alle rive dell'Isonzo. Il convoglio partì da Venezia la mattina del 12 marzo e giunse a Cremona alla sera del 17.
Poichè la notizia del trasporto della grande e veramente miracolosa Madonna veneziana si era inopinatamente diffusa; sulle rive dell'Adige e del Po traeva la gente a vederne il passaggio e le donne si inginocchiavano a pregare. Guidarono il convoglio il tenente ing. Tosoni di Venezia, Grasso della commissione fluviale, Scarpari architetto della Sopraintendenza dei monumenti di Bologna; e diresse a Cremona lo scarico e il trasporto il sottotenente architetto Scolari della Sopraintendenza dei monumenti di Venezia. Vollero essere presenti nell'ultimo tratto del viaggio,così nuovo e pittoresco, e all'arrivo a Cremona anche questo Sopraintendente e il comm. Ettore Modigliani, Sopraintendente per gli oggetti d'arte della Lombardiaa, che doveva accogliere il prezioso deposito nella bella città spettante alal sua giurisdizione. Il Municipio di Cremona aveva gentilmente concessa ospitalità al nostro capolavoro in una saletta a terreno del Museo Ala-Ponzoni, che il comm. Modigliani aveva fatto convenientemente fortificare e proteggere. La enorme cassa, trasportata su un grande carro fra la benevola curiosità della cittadinanza, vi venne fatta entrare da una finestra, tagliata sino a terra e venne subito coperta dalla miriade dei sacchi di cenere di Murano, che, su un altro barcone, l'avevano seguita, nel lungo, ma placido viaggio. Una bella serie di fotografie, eseguite dal tenente ing. Bisacco, resta a ricordo di cotesto importante e singolare trasporto, che non potrà essere dimenticato nella storia del popolarissimo capolavoro”.
Lo sbarco dell'Assunta a Cremona
Altri due barconi risalirono il Po diretti a Cremona agli inizi di novembre del 1917, dopo la disfatta di Caporetto, trasportando gli oggetti d'arte raccolti e depositati negli ambienti più protetti di palazzo Pesaro. Cosa contenessero quei barconi lo lascia intuire lo stesso soprintendente Fogolari: “Grande era l'ammasso degli oggetti d'arte raccolti e depositati nei locali meglio protetti del palazzo Pesaro, gentilmente concessi dal Municipio di Venezia già all'inizio delle ostilità. In quei giorni la Direzione del R. Arsenale ne ritirava le casse della famosa raccolta d'armi antiche, che sino allora vi erano state depositate in nostra custodia. Per lo sgombero generale del palazzo si dovette ricorrere a due barconi messi a nostra disposizione dal Battaglione Lagunari perchè, con lunghissimo viaggio, risalissero il Po sino a Cremona. Il Municipio di Venezia, oltre che le raccolte artistiche del museo Correr, ci aveva affidati i quadri più importanti della Galleria Internazionale d'arte moderna; mentre pittori insigni di Venezia ci facevano premura perchè mettessimo in salvo le loro opere più rare: e i privati si rivolgevano pura a noi perchè non dimenticassimo i loro tesori artistici, specialmente quell che dalla Sopraintendenza erano già stati notificati come di importante interesse; tanto più che sino dalle prime spedizioni del 1915, avevamo preso in consegna, data l'importanza mondiale del capolavoro, il Giorgione del principe Giovanelli con qualche altro dipinto di quella Galleria”. Ma fra quei capolavori che viaggiarono sul Po verso la salvezza ve n'era anche uno che Fogolari non dice: i cavalli di San Marco.

Lo smontaggio dei cavalli di S. Marco
C'è un episodio, che nonostante sia molto interessante, risulta sconosciuto. Nel 1917 come luogo di rifugio per alcune opere artistiche di rilevanza nazionale, tra cui la celebre quadriga di bronzo della Basilica di San Marco, venne scelta in un primo tempo Pavia. Il carico con i cavalli di San Marco sarebbe dovuto giungere in città attraverso il Ticino e il rifugio loro predisposto avrebbe dovuto trovarsi tra il fiume e la ferrovia. Tuttavia, il 3 novembre 1917 il carico partì, ma non arrivò mai a Pavia. La città infatti venne presto esclusa dal circuito di transito in favore di Cremona, apparentemente più facile da raggiungere. In realtà il prezioso carico si fermò all'ombra del Torrazzo per poco tempo, prima di partire alla volta di Roma, con tappa a Pisa, trasportato su speciali carri ferroviari. La città toscana venne scelta su consiglio del direttore generale Corrado Ricci, in quanto i depositi romani di palazzo Venezia e di Castel Sant'Angelo, già traboccavano di materiale. Lo racconta lo stesso Fogolari: “A Pisa – scrive – si trasferirono tutti i grandi rulli con pittura del palazzo Ducale e dipinti d'ogni provenienza, e da parte della Sovraintendenza dei monumenti anche alcuni capolavori di statuaria: opere che avevano lasciato Venezia ai primi di novembre per risalire nei barconi il Po sino a Cremona”. Ed a Pisa andò anche la pala dell'Assunta di Tiziano, ospitata temporaneamente a palazzo Ala Ponzone. Sarebbe tornata a Venezia solo alla fine della guerra, il 14 dicembre 1919. Spiega Fogolari che “poichè nel trasporto per ferrovia del cavallo del Colleoni, eseguito da Venezia dal comm. Colasanti si era avuta occasione di conferire coi dirigenti della Divisione dei veicoli delle Ferrovie dello Stato a Milano, per studiare il tipo di carri ferroviari che meglio si prestasse al trasporto di opere colossali, e, per l'interessamento dell'ing. Edoardo Pedrazzini, si era venuti a conoscere la sagoma di speciali carri ferroviari col piano di carico bassissimo e quasi prossimo alle rotaie, si studiò e si eseguì il trasporto da Cremona a Pisa, con la diretta assistenza dello stesso ing. Pedrazzini e l'opera intelligente del nostro custode Angelo Pagan, anche della colossale cassa dell'Assunta; per dar anche ad essa, contro ogni possibile, per quanto pur lontana e insospettabile minaccia nemica, un rifugio definito al di là degli Apennini”.
La pala del Perugino in S. Agostino
a Cremona  protetta dalle bombe

L'Assunta è un dipinto olio su tavola (690x360 cm) di Tiziano, databile al 1516-1518 è conservato nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frati a Venezia dove decora, oggi come allora, l'altare centrale. Indiscutibile e straordinario capolavoro dell'artista, fu un'opera così innovativa da lasciare attoniti i contemporanei, consacrando definitivamente Tiziano, allora poco più che trentenne, nell'Olimpo dei grandi maestri del Rinascimento. La pala, alta quasi sette metri, ha uno straordinario legame con l'architettura gotica della basilica, preannunciandosi fin da lontano al termine della prospettiva delle navate con archi ogivali e del coro ligneo intagliato quattrocentesco. In tale senso lo squillante rosso della veste della Vergine e di alcune vesti degli apostoli sembra riflettersi nei mattoni delle pareti, accendendoli. Tutto si concentra sul moto ascensionale di Maria, sulla sfolgorante apparizione divina e sullo sconcerto creato da tale visione. I momenti dell'assunzione e dell'incoronazione sono accostati con originalità. In tre registri sovrapposti (gli Apostoli in basso, Maria trasportata su una nube spinta da angeli al centro e Dio Padre tra angeli in alto) sono collegati da un continuo rimando di sguardi gesti e linee di forza, evitando però qualsiasi schematismo geometrico. In basso infatti il monumentale apostolo vestito di rosso, di spalle in primo piano, fulcro visivo della porzione terrena del dipinto, protende in alto le braccia verso il corpo di Maria, secondo una doppia diagonale rafforzata dai due angioletti i cui corpi si dispongono in parallelo.

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