mercoledì 11 gennaio 2017

Zafferano, l'oro di Casalmaggiore


Il vero oro giallo cremonese è stato lo zafferano che, fra il XV ed il XVI secolo, diede luogo ad un traffico commerciale paragonabile solo a quello del fustagno. Un prodotto richiestissimo, soprattutto dalla Germania, che veniva contrattato dai mercanti cremonesi alle fiere di Bolzano od anche procurato dagli stessi tedeschi direttamente sul posto, nel maggior centro di produzione locale, Casalmaggiore. Ma non solo i tedeschi erano clienti affezionati. Tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento il prodotto veniva messo in vendita anche in Sicilia e Calabria (un po' come vendere gelato al polo Nord), alle fiere di Ginevra e di Lione, a Parigi, Bruges e Londra, fino ad Alessandra d'Egitto dove veniva scambiato con pepe e spezie, a Creta e Corfù. E' proprio Hans Paumgartner il giovane, un mercante di Augusta, che ci informa in un manoscritto di come il doschga (come era conosciuto in Germania lo zafferano) venisse esportato in quantità di 35, 40 quintali all'anno. Il traffico di zafferano è puntualmente descritto in un manuale di mercatura di Bartolomeno Paxi, la Tariffa de pexi e mesure, pubblicato a Venezia nel 1503, che fornisce anche il cambio con la moneta cremonese: “Perfina adesso havemo narrato de molte et diverse mercadantie le quale fano per molti logi et parte del mondo; hora trataremo della mecadantia del zafran perché è molto utile et dimandado in ogni parte. Trataremo anchora per quelli luoghi li quali più bisogna et de quanti luoghi esso zafran se traze. E prima. Se traze da l'Aquila et da Sermona vicina a l'Aquila et è bono et fassene assai. E se traze anchora da Fabrian de la Marcha e del conta' de Fiorenza et questo è quasi il meglior de tuto l'altro zafran. Trazesse anchora de su il contado de Cremona et de alchuni altri loghi de Lombardia et della Puia de terrra de Barri et questo de la Puia è de mancho valor de l'altro. Trazesse zafran de terra de Otrento et de Maiolicha ed etiam de Catalogna zoè de Valenza et d'alchuni altri loghi circostanti. Havemo narrato per quanti luoghi se traze il dito zafran. Sdesso trataremo dove al bisogna et per quali luoghi è necessario essere menado. E prima. Il zafran fa per la fiera de Zanevra et per la fiera de Lione, per Paris, per Vignon, per Bruza de Fiandra, per Anversa et per Londra d'Ingilterra et per tutta Bergogna et per molti altri loghi et terre de Ponente; è necessario ancora il dito zafran per l'Alimagna alta, per tuta l'Ongaria et per la parte de Levante, per lachuni loghi e terre de Dalmatia, per Cicilia et se vende bene in Calabria quando la Puia et terra de Otrento non gli n'ha; per Corfù et per Candia er se vende bene per Alixandra et etiam per Cypri”.
Secondo Giovanni Romani, (Storia di Casalmaggiore, 1828) la produzione di zafferano nel casalasco si sarebbe ridimensionata drasticamente nel 1427: “Vuolsi che sotto quest'epoca i coltivatori del nostro territorio abbandonassero le piantaggioni del zafferano, il quale genere veniva dai veneti, che lo tiravano dal levante, spacciato ad un prezzo assai minore di quello ch'erano soliti i casalaschi di trarre dal proprio; e vuolsi altresì non senza probabilità che si estendesse in allora presso di noi la coltivazione delle viti, destinando per la medesima molte di quelle campagne, che per l'addietro erano impiegate per la piantagione dello zafferano; e ciò pel motivo altresì che i vini casalaschi si smerciavano con molto vantaggio a Venezia, ove i barcaroli conducendoli colle proprie navi, ricaricavanle poscia con derrate del levante commesse da questi o dai vicini negozianti”. In realtà è proprio una lettera da Venezia del 27 febbraio 1426 ad un certo Matteo Lupi, abitante a Casalmaggiore, relativa ad una partita qui acquistata, che ci informa di quanto fosse fiorente il commercio dello zafferano nel XV secolo. Nel 1812 Antonio Barili (Notizie storico-patrie di Casalmaggiore) ricorda che nel comune di Villanova vi erano ancora alcuni campi chiamati “gialdine” dove si coltivava zafferano.
Tavola dei principi alchemici (sec. XIV)
Ancora nel 1477 il commercio dello zafferano era esercitato dai mercanti ebrei, anche se vi era stata un'iniziale opposizione da parte del Comune data dal timore della concorrenza, contraria agli interessi cittadini. Addirittura qualche anno prima, nel 1456, gli ebrei erano stati cacciati dalla cittadina per aver adulterato lo zafferano che vendevano in piazza. In effetti verso la fine del XV secolo la coltivazione dello zafferano era ancora una delle produzioni tipiche del territorio. Riferisce ancora il Romani (Origine e stato corografico di Casalmaggiore e sue ville, 1828): “Difatto in que' tempi rimoti il territorio Casalasco era posto parte a praterie, parte a semine di grani, canape, gualdo e zafferano, che esitavasì ai forastieri come già si disse. Noi abbiamo potuto verificare, coll'ispezione dei libri economici di questo conv. di S. Francesco dall'anno 1480 al 1496 che tali erano in allora i principali prodotti del nostro territorio”.

Dalla Germania veniva anche San Geroldo, curiosa figura di pellegrino e mercante, ucciso misteriosamente nel 1241 fuori porta Mosa, la cui vicenda Giorgio Maggi, chimico con la passione della storia e della liuteria, collega in modo del tutto originale proprio al commercio dello zafferano.
Geroldo da Colonia arriva a Cremona in visita a Rolando (morto nel 1259) essendo comune l’appartenenza alla scuola domenicana. Geroldo, vita ascetica fatta di preghiere, di penitenza, di meditazione sulla Passione di Cristo, flagellandosi, portando il cilicio, e dormendo sulla terra viene a Cremona per preparare l’incontro con il papa Gregorio IX, in attesa che si realizzino i progetti della cattedrale di Colonia e della giusta collocazione dei Magi, santi alchimisti. Il Papa, spesso in aperto contrasto con Federico II, dovrà approvare per l’occasione i testi oggetto di quaestiones (dispute religioso scientifiche), e auctoritates, con la stesura di commenti contenenti spiegazione e l'insegnamento di questi. Il 7 ottobre 1241, fuori porta Mosa presso le acque paludose del Po, il pellegrino proveniente da Colonia viene trovato morto: secondo la tradizione orale, l’uccisione, riportata  con qualche dubbio sulla versione ufficiale, sostiene che sia stato un agguato di ladri che lo volevano derubare. Il misterioso episodio viene associato da  alcuni alle ansie politiche del condottiero cremonese Uberto Palavicino e del vescovo Omobono Madalberti e alle continue dispute tra ghibellini e guelfi nei contrastati rapporti con l’imperatore. L’umile Geroldo, segreto nunzio di pace gradito all’imperatore ed al Papa, si crede avesse il compito di favorire la costruzione di una città fortificata negli Abruzzi, parte integrante del Regno di Sicilia, là dove secondo la tradizione si trovavano i 99 castelli  eretti nel territorio per rifugio e difesa. La città dell’Aquila sarà fondata dagli Svevi nel 1254 ma il territorio conteso tra dagli Angioini di Carlo I, re di Napoli e di Sicilia dal 1246, passò definitivamente a quest’ultimo con la sconfitta di Corradino di Svevia a Tagliacozzo nel 1268.
La figura dell’umile pellegrino alla sua morte diplomaticamente è elevata a “fama sanctitatis” dai cremonesi – scrive Maggi - In città si sostenne che il corpo di Geroldo emanasse un magico profumo, il sole abbia brillato per l’intera notte del crimine, le campane della chiese suonassero da sole e che le sue spoglie, durante le esequie risultassero inamovibili al vescovo ed ai dignitari per straordinaria pesantezza . Il trasporto nella chiesetta bizantina di San Vitale fu possibile solo quando il popolo decise di traslare il suo corpo dalla riva del fiume lontano da dignitari politici e religiosi.  Il riferimento all’aumento di peso del cadavere non è casuale perché lascia trasparire significati di natura magico alchemica associati al personaggio  : la “corruzione” che si accompagna alla morte di importanti elementi vitali porterebbe a aumento di peso secondo la tradizione popolare ma anche secondo Leonardo da Vinci  in Essempli e pruove dell’accrescimento della terra”
Vincenzo Pesenti, S. Geroldo
Dunque un personaggio colto, religioso proveniente da un centro come Colonia culla di scienza teurgica ed alchimistica; ricco, forse commerciante,  perché aggredito da ladri a conoscenza del suo stato; di alto lignaggio se della sua morte si preoccupa il clero e la nobiltà; giunto  a Cremona non per caso e con compiti precisi ed importanti se la sua morte viene assimilata al martirio come recita la scritta sulla sua tomba. Si può sospettare  che  Geroldo durante il suo pellegrinaggio verso  Roma svolgesse dunque anche funzioni di ambasciatore e commerciante soprattutto di prodotti tessili e spezie importanti elementi di scambio nel commercio tra Cremona e la Germania. Si può anche  nutrire sospetto non confermato da alcun documento che questi, colto interprete di arti occulte e vietate affini alla scolastica, fosse stato obbligato al pellegrinaggio: una ipotesi fantasiosa che appare credibile se ci si chiede per quale motivo il suo corpo nel dipinto sia circondato da un biancore  candido forse deterso con l'espiazione della morte dalla croce gialla dei penitenti.
Il gesuita euclideo è ben raccontato da Herman Crombach che sottolinea l’importanza del santo sempre raffigurato con il bordone e il piccolo libro del pellegrino. Forte è il ricordo di Geroldo che nel 1645 i gesuiti di Colonia richiesero una sua santa reliquia. Il giallo cremonese assumerebbe i contorni della metafora se non si sapesse che Cremona era il maggior centro di scambio dello zafferano abruzzese e zafferanone  (cartamo) padano tra nord e sud Europa”.Il commercio differenzia lo zafferano vero e proprio proveniente a Cremona dall’Italia centrale e il cosiddetto falso zafferano o zafferanone conosciuto come cartamo tintorio. Il cartamo, coltivato ancor oggi nel casalasco è una pianta appartenente alla famiglia delle Asteraceae, dai cui  fiori si può estrarre la cartamina e altri flavonoidi, coloranti per cibi spesso aromatici che possono sostituirsi allo zafferano. La piantina ha importanza soprattutto per l'olio ricco di omega 6 e vitamina K.
Una sartoria medievale nel Tacuinum Sanitatis
In cucina la polvere di cartamo può sostituire lo zafferano, ma ha anche un leggero potere coagulante e dunque è usata per migliorare la consistenza di creme e budini. L’olio e il colorante vengono usati nell’industria cosmetica e nella pittura. La medicina medioevale tramanda ricette a base di infuso di cartamo per rinvigorire il fisico e l’attività sessuale, le stesse ricette sono ancora presenti nei protocolli terapeutici della medicina tradizionale cinese (Hong Hua) e nella pratica terapeutica africana. Lo zafferano, usato come conservante per pesce e carne, venne utilizzato anche come principale componente di pillole costosissime contro la peste. Nel XIII sec. curiosamente lo zafferano era usato per tingere sul petto e sulla schiena del condannato al pellegrinaggio giudiziale  una grande croce che lo rendeva riconoscibile. Le mete imposte ai condannati per pratiche occulte erano Canterbury, Santiago de Compostela, Roma e Colonia.
Tutto, nella interpretazione della figura del santo appare verosimile  o discutibile se si associano opportunamente segni e simboli apparentemente disuniti- spiega Maggi - È verosimile immaginare contatti e relazioni tra eruditi. Non va dimenticato che coevo a Geroldo è Facio orafo e taumaturgo veronese che opera a Cremona tra il 1230 e 1259 circa. Pellegrino e “cum bonam manum in signando” istituisce a Cremona l’ordine di Santo Spirito istituito un secolo prima a Montpellier. Un altro personaggio che si incrocia a Geroldo è il già citato frate Rolando che nel 1238 ha la famosa disputa con Teodoro di Antiochia, filosofo di Federico II. Saputo del viaggio del domenicano cremonese alla corte dell’Imperatore, “multi magni”, che apprezzano la filosofia della natura e le conoscenze religiose del frate, assistono alla importante disputa tra Rolando e l’anticristiano arabo Teodoro dotto nelle scienze alchemiche ancor più che in teologia. Simboli della filosofia della natura e dell’Ars Regia si incontrano nell’arca del santo arricchita da festoni di fiori  bianchi e rossi, simbolo di purezza che sembrano comunicare segni della filosofia naturale aristotelica e alchemici tra fisso e volatile, zolfo e mercurio.  E perché non ipotizzare  il presunto legame con il fiore dello zafferano (za faran = splendor solis) in cui suoi pistilli  durante la maturazione passano dal bianco al giallo al rosso come le alchemiche albedo, citrinitans e rubedo, fasi della saggezza studiate da Alberto Magno. Chiamato Doctor Universalis questi trae i suoi spunti alchemico filosofici da Gerardo da Cremona (Gerardus Cremonensis o Girardus Lumbardus Cremonensis c. 1114–1187 traduttore di Avicenna Abu Ali al-Husayn Ibn Sina (980 - 1037) il primo a distillare essenze di fiori e rose. Secondo Geber (ca 760-ca 815). Abu Musa Jabir ibn Hayyan la pietra filosofale necessaria alla trasmutazione dell’oro ha "il colore dello zafferano, è pesante e brillante come frammenti di vetro". “Non è un caso – conclude Maggi - la predilezione di Geroldo per San Giacomo venerato a Compostella e filosofo ermetico tra i più importanti della Chiesa, colui che secondo la leggenda sconfisse Ermete Trimegisto e  ne acquisì i segreti.


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