sabato 28 gennaio 2017

La prima bettolina

La motonave Cisterna 1 alla banchina della raffineria Italia

Il fischio prolungato della sirena ruppe quella mattina invernale il silenzio ovattato del fiume. Erano da poco passate le 11 di quel 25 febbraio di 60 anni fa e quell'urlo liberatorio lungo tre minuti faceva piazza pulita del silenzio durato per interminabili quarant'anni. Otto lustri in cui l'ingegnere Pietro Bortini aveva cullato il sogno di vedere solcare le placide acque del Po finalmente da una nave, una nave vera che frangesse i flutti con la forza della sua prua. Quarant'anni di sogni e di battaglie, di discussioni contro tutto e contro tutti fedele alla sua idea che la navigazione interna avrebbe rappresentato il futuro dei trasporti e non solo la generosa utopia di un inguaribile sognatore. Quella petroliera che trasportava, pigra e maestosa, 720 tonnellate di greggio, lunga 62 metri e larga 8, e che ora attraccava alla sponda quella mattina invernale del 1957, lo ripagava di tanti anni di amarezza e delusioni spesi nel progettare, nel pubblicare su riviste specializzate la sua ferma convinzione nella navigabilità del grande fiume. Nel silenzio dello Stato, solo l'ingegnere Armando Moschetti, realizzatore del più grande complesso industriale cremonese di allora, la “raffineria Italia” dei fratelli Alberto e Mario Camangi, lo aveva sostenuto nell'idea. D'altronde, quelle di Bortini erano le stesse premesse a cui aveva attinto Moschetti qualche anno prima nel porre la prima pietra della raffineria in riva al fiume, dove avrebbe dovuto nascere il canale navigabile che avrebbe unito Locarno a Venezia attraverso Milano e Cremona e nei pressi del porto fluviale, che avrebbe dovuto dare nuovo impulso allo sviluppo della città. Ma le parole non bastavano, bisognava convincere anche i più scettici con un esperimento che avrebbe troncato qualsiasi altra discussione. Ed ecco allora Armando Moschetti gettare in guanto della sfida: far partire da Marghera una petroliera non da seicento, ma addirittura da oltre settecento tonnellate, capace di trasportare tanto greggio quanto quello di quaranta autocisterne con rimorchio, per poi trarre da questo viaggio le conseguenze. Tre giorni prima di quella fatidica mattina la “Cisterna 1” era partita da Marghera risalendo il tratto più conosciuto del fiume fino a Mantova, già percorso allora da natanti di ogni stazza, per imboccare poi il braccio più inesplorato del fiume a monte della città virgiliana. Tutto era filato liscio e qualche minuto prima delle 11 la bettolina poteva passare prima sotto il ponte in ferro e poi sotto il metanodotto, iniziando le complesse operazioni per l'attracco, preceduti dai rituali tre fischi di sirena. A riva attendevano il Prefetto, le autorità e una gran folla di curiosi. A far gli onori di casa l'ingegnere Moschetti che forniva spiegazioni sul funzionamento delle lunghe condutture, del radar, e dei svari servizi. Poi i tubi dell'oleodotto di terra vennero agganciati a quelli della nave e dalla pancia della “Cisterna1” iniziò a sgorgare, diretto alla raffineria, il primo petrolio trasportato lungo il fiume.
A bordo di quella prima nave vi era un passeggero d'eccezione, il futuro direttore del quotidiano “La Provincia” Fiorino Soldi, allora ancora solo un giornalista, fervente sostenitore della validità della navigazione interna, che volle raccontare l'emozione di quel primo, e per molti sapetti pionieristico, viaggio sul Po, con toni appassionati.
Bortini e Moschetti

Ecco il reportage di Fiorino Soldi.
“A Polesine il Po forma una grande ansa: pare quasi un braccio di mare, rinserrato a malapena tra le rive che quasi scompaiono all'orizzonte, tutto frastagliato di boschi di pioppi turriti. Al pontile del traghetto stamattina alle 8, c'era un po' di gente gesticolante, scesa di corsa dall'argine verso l'ampio corso del fiume. Più in disparte, isolati ed in silenzio, alcuni pescatori, i rudi e tipici pescatori padani, fissi sulle acque lontane come se vedessero per la prima volta un miraggio; il miraggio era laggiù, in mezzo al Po: un gran pennacchio di fumo, come una enorme bandiera nera spiegata nel cielo, attaccata ad una colossale asta d'acciaio, la nave, la poderosa navecisterna, primo grosso natante in navigazione diretta da Venezia a Cremona.
Issato a bordo di un motoscafo da trasporto, un uomo guardava quello spettacolo con due occhi lucidi di commozione: era l'industriale Armando Moschetti, colui che la storia indicherà come l'audace realizzatore di un sogno da tanti decenni vagheggiato: la ripresa della regolare navigazione sul Po. Era un'ora storica dunque questa, contrassegnata col nome di 'Cisterna 1': una nave di piccolo tonnellaggio, simile ad una portaerei in miniatura,rosso il ponte e bianco lo scafo, comandata da una valoroso capitano di mare che dopo tante traversate oceaniche era stato improvvisamente chiamato a dirigere il natante da Venezia a Cremona. Eccolo qui nella saletta da pranzo sottocoperta, il comandante Giovanni Massarin. Alto, tarchiato, la faccia rubiconda ed i gesti scattanti che sembrano dare un tono ancor più deciso allo scarno linguaggio. «Cosa ho detto quando mi hanno ordinato di iniziare il primo viaggio con una motocisterna sino a Cremona? Niente. E che si deve dire? Forse che il Po non è una gran via d'acqua? Certo che il problema si è presentato difficile per il semplice fatto che mai nessuno prima d'ora, con un simile mezzo, ha tentato la avventura. E proprio di avventura si tratta». E seguendo, oltre il vetro dell'oblò il corso del fiume: «Ecco, mi dice, vede? Andiamo da una curva all'altra e ci sono ben 45 curve dalla foce del Mincio, a Mantova, sino a Cremona. E' l'unico dato segnaletico della nostra 'carta nautica'. Di altro non c'è segnato nulla, se non quei cartelli indicatori che, tra una curva e l'altra, avvertono del mutamento del corso della corrente. Un fiume che serpeggia è il Po, selvaggio ed ancora allo stato primitivo, o meglio nello stato in cui è stato abbandonato da secoli perchè un tempo il Po era navigabile».
La motocisterna "numero 1"
La grande avventura era cominciata alle 22 di venerdì scorso. La 'Società Navicisterne' di La Spezia, con l'ardimentoso fervore che la contraddistingue, aveva accettato la proposta della società 'Camangi' di trasportare il petrolio grezzo dal suo deposito costiero Ligabue di Venezia-Marghera, sino alla grande centrale della 'Raffineria Italia' di Cremona. Il progetto, dovuto allo spirito d'iniziativa di Armando Moschetti, doveva essere realizzato quasi nel segreto, come la pratica dimostrazione che le teorie di tanti tecnici trovavano un fondamento nella realtà e che era ormai tempo di passare dalle parole ai fatti. A tale scopo tre motocisterne sono state caricate a Venezia per giungere a Cremona.
La 'numero uno' (che precede di un giorno il rimanente convoglio) è lunga 62 metri, larga 8, alta 2,30: ha una portata di 720 tonnellate e dieci cisterne, sistemate da una parte e dall'altra dello scafo. L'unica sovrastruttura, che emerge oltre ai boccaporti ed agli impianti di pompaggio, è la cabina di comando davanti alla quale è sistemato un radar. Tre grandi proiettori girevoli servono per l'orientamento durante l'oscurità. La velocità della nave è di circa otto chilometri orari; la potenza dei due motori di 168 hp effettivi. Questa nave ha già coperto in viaggi del genere circa 150 mila chilometri, pari ad ottantamila miglia marine; mai però prima d'ora un natante di simili dimensioni aveva superato le foci del Mincio.
Il percorso fluviale Venezia-Cremona è di 298 km. (quello stradale di via Mantova-Legnago-Padova è di 215 km. E quello ferroviario di via Mantoa di 208 km.). Agli effetti della navigazione, gli ultimi 50 chilometri erano considerati i più difficili in quanto non si conoscevano esattamente le uniformità degli alvei di corrente e le possibilità di manovra dei grossi natanti. In ciò stava l'avventura odierna; ma tutto l'equipaggio della 'Cisterna 1' sentiva di vivere un'ora storica e l'ha vissuta così, semplicemente, come fosse una cosa normale. Nessun stato d'allarme a bordo e nessuna agitazione: gli uomini erano vigilanti, ma calmi come se navigassero sul mare.
Tutto l'equipaggio si sente così, dal motorista Sante Mantovani al primo pilota Fulvio Negrini, al secondo pilota Enrico Cavicchi, ai marinai Gennaro Turati, Anselmo Vicentini, Luciano Cavallari; ed anche il cuoco Ernesto Moretti la pensa così. Stamattina questi uomini si sentono affratellati come non mai, sereni, calmi, lieti di vedere, nelle ore più impensate della navigazione, il direttore della loro Società che balza da un argine all'altro per dare un segno di incoraggiamento. Nè vanno dimenticati i due uomini che, a bordo di un motoscafo-rimorchiatore precedono la nave con gli scandagliatori a mano, controllo effettuato dal Genio Civile per collaborare alla riuscita dell'impresa.
Dalla tolda della nave il paesaggio è incantevole, così evanescente che pare dipinto su un vetro. Gli isolotti sono disseminati alla deriva e sono grandi banchi di sabbia adatti alla sosta delle anitre selvatiche. Le boscaglie si allineano per chilometri e chilometri lungo le rive e troneggiano imponenti su ampi squarci di campagna grigia. Qualche gruppo di uccelli neri trasvola attorno alla nave: sono i 'gabbiani' del Po, gli abitatori di questa selvaggia zona dove non sembra che la gente possa vivere. Squallida e spettrale desolazione padana, lungo un fiume che un tempo fu pur sonante di cimenti armati e gloriosa strada di progresso commerciale!
Questa nave, col suo ritmico e sordo rumore, spacca un silenzio secolare; avanza come una prora che taglia i misteri dei secoli, trascinandosi dietro ricordi di storia. Dal tempo dei romani quando Cremona fu il centro del più fortificato municipio antigallico, all'epoca bizantina quando a Cremona iniziato il grande commercio del sale con Comacchio e Ravenna; dal tempo dei Comuni quando Cremona fu il maggior porto fluviale per gli scambi dalla Francia al Medio Oriente, sino all'epoca viscontea e sforzesca quando sul fiume s combatterono accanite battaglie navali con le galee della Serenissima. Imperatori e papi, re e diplomatici, santi e poeti, quante figure leggendarie passarono da queste rive oggi ancora uguali, tar questo silenzioso mondo che pare sia rimasto fermo alle antichissime epoche delle palafitte.
L'accoglienza dei cremonesi sull'argine
Tutto questo simboleggia stamattina la 'Cisterna 1', la prima nave a motore che solca il Po dal mare a Cremona, portando il frutto ultimo della civiltà, il petrolio, così come un tempo i mercanti cremonesi importavano dal Levante spezie e drappi di damasco. Sventola da prua a poppa il gran pavese: tutti i membri per formare come un grande arcobaleno, una simbolica bandiera del progresso che varca i confini creati dagli uomini per abbracciare tutta l'umanità come fosse uan sola famiglia.
Ecco, laggiù, il Torrazzo, la grande mole che emerge dal fondo nebbioso dell'orizzonte. Gli uomini della 'Cisterma 1', escono in coperta e segnano col dito la grande torre come fosse l'enorme faro di un porto sconosciuto. Fischia la sirena ed il suono poderoso frantuma il silenzio e con esso i ricordi e le nostalgie. Laggiù sventola una grande bandiera tricolore: oltre il ponte di Cremona, al primo porticciolo della nuova storia della navigazione fluviale padana. Gente accorre sugli argini, dalla via del Sale alla banchina della gru dei ghiaiaioli; alcune macchine scendono a precipizio verso gli spiazzi delle rive. Gente si muove dappertutto, arrivando; poi tutti stanno immobili, fissi su questo grande scafo che per la prima volta si accinge a passare sotto il grande ponte in ferro.
Anche lassù il traffico è sospeso; si vedono le automobili fermarsi e parecchia gente corre alle ringhiere del viadotto pedonale. Il comandante Giovanni Massarin dirige l'ultima fatica: i piloni del ponte troncano la corrente ed il fondale maggiore è quasi introvabile. Si procede lentissimamente, facendo girare la nave secondo le segnalazioni ritmiche degli scandagliatori. Si procede, adagio, ma si procede. La gente che ormai nereggia sulla riva guarda attonita come vedesse qualcosa giunto da un altro mondo, chissà, una specie di strano 'disco volante' acquatico.
Quando la nave, finalmente, esce dall'intricato labirinto dei fondali di corrente e passa il ponte, tutti i marinai corrono verso l'ancora ed i cavi di attracco. Laggiù c'è una grande bandiera che aspetta; e là termina il gran viaggio: un porticciolo modesto, costruzione da pionieri della civiltà. Ma l'opera è compiuta. Sono le ore 11,30 del 25 febbraio 1957; sotto il gran tricolore, le autorità applaudono alla nave che giunge. Nessuno è sfinito sulla tolda; tutti i marinai, comandante in testa, completano le operazioni di sbarco. Così, come se avessero compiuto un'impresa normale e semplice; serenamente, proprio come si compete ai discendenti di quella stirpe di navigatori che han portato la civiltà lungo tutti i mari, in tutte le terre e lungo tutti i secoli”.

Ad accogliere l'arrivo della prima bettolina il prefetto Dal Cortivo, il commissario straordinario Salazar, l'ingegnere capo del Genio Civile Giunta, l'Intendente di Finanza Acacia, i dirigenti della Camera di Commercio e delle associazioni, ma sopratutto, vicino all'assessore provinciale ai lavori pubblici Scaglia, l'ingegnere Pietro Bortini, che per tanti anni aveva diretto l'Ufficio tecnico provinciale, il più fervido sostenitore della navigabilità del Po, che vedeva il suo sogno coronato dal successo.
Il giorno successivo giunsero a Cremona anche le altre due navi cisterna, accompagnate ancora da una folla di persone assiepate sugli argini per assistere all'arrivo. Tuttavia non mancarono i problemi perchè le due cisterne furono costrette ad arrestarsi a pochi metri dal ponte a causa di fondali troppo bassi. In particolare dal secondo battello, che aveva corso il rischio di insabbiarsi, fu travasato parte del greggio, con un 'operazione che richiese alcune ore, che consentì all'imbarcazione di attraccare al bacino della raffineria Italia solo verso il tardo pomeriggio.

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