mercoledì 28 dicembre 2016

Quando il duomo crollò nel gennaio di 900 anni fa

Novecento anni fa, il 3 gennaio 1117, l'evento che cambiò il volto della nostra città. Sappiamo dalle cronache che il terremoto del 1117 è stato uno dei più forti e meno compresi eventi sismici dell'Italia, anche se i suoi effetti si sono sentiti in un'area dell'Europa che va da Reims a Montecassino, al punto che l'evento rimase talmente impresso nella memoria dei contemporanei che nei documenti notarili il terremoto veniva citato come termine temporale ancora settant'anni dopo. 
L'epigrafe con i profeti Enoc ed Elia
Cremona è peraltro una delle poche località, per non dire l'unica, per le quali ci siano giunte notizie contemporanee certe relative ai danni provocati dal sisma. Queste notizie, in sostanza, ci raccontano che in occasione del terremoto avvenuto alle 17 del 3 gennaio 1117 la cattedrale crollò, ed il corpo del santo protettore Imerio rimase a lungo sotto le macerie, sino a quando fu ritrovato,dodici anni dopo, nel maggio 1129 ed il vescovo Oberto lo pose al sicuro. A tale proposito, ormai quasi una decina di anni fa, nel 2007, sulla rivista “il Quaternario”, il sismologo Paolo Galli, esperto del dipartimento della protezione civile dell'Ufficio sismico nazionale dell'Istituto di geologia e geoingegneria del CNR di Roma, ha preso in analisi il fenomeno, contestando la sua ubicazione epicentrale nei pressi di Verona e sulla base di un completo riesame delle fonti e dei risultati storici dei sismi antichi, ha proposto un quadro degli effetti che permette di ipotizzare un secondo epicentro nell'area basso-padana, con ogni probabilità ubicato proprio nel cremonese. Galli, dunque, partendo dal fatto che la cattedrale, in tutto o in parte, crollò, si è chiesto se sia possibile trovare oggi dei riscontri oggettivi o degli indizi di quel sisma ancora al loro posto. E qui abbiamo la prima sorpresa. Prendendo infatti in considerazione i resti archeologici messi in luce negli anni scorsi dagli scavi della Soprintendenza archeologica della Lombardia, ed interpretandoli in chiave “archeosismica” ha dimostrato come siano facilmente contestabili le varie opinioni sulla sua ricostruzione, mostrando come la chiesa attuale non è quella del 1107 e nemmeno quella danneggiata dalle scosse del 1117. Nel corso degli scavi eseguiti nella cripta del duomo tra il 1988 ed il 2000. infatti, sono stati rinvenuti materiali e mosaici pavimentali contemporanei a quelli del Camposanto dei Canonici. Entrambi i pavimenti appartengono a due distinti edifici a cui si è sovrapposta l'attuale cattedrale romanica, ad una quota di circa tre metri sotto quella della pavimentale attuale. Le stratigrafie effettuate e le caratteristiche stilistiche rilevate collocano i mosaici ad una data vicina, ma anteriore al 1117, e testimonierebbero la prosecuzione del progetto architettonico del complesso iniziato nel 1107 secondo la tipologia delle chiese doppie, tipica del periodo medievale, presso le sedi episcopali, come Cremona era almeno a partire dalla metà del V secolo. “Non è ragionevole pensare che l'aula del prezioso ciclo a mosaici del Camposanto – sostiene Galli – sia stata progettata o, men che mai, eseguita contemporaneamente alla cattedrale romanica, dal momento che quest'ultima si sovrappone alla prima. E' cioè molto più verosimile credere che essa fu edificata (in toto o in parte) seguendo una prima fase progettuale (iniziata nel 1107) e subito abbandonata per un motivo di forza maggiore (il terremoto)”. Secondo l'ipotesi di Galli, dunque, queste chiese, tra cui la principale a cui si riferisce la frase sibillina contenuta nell'epigrafe di fondazione “quae media videtur”, sarebbero crollate con il terremoto del 1117, ed i loro ruderi dovettero persistere a lungo sul luogo, se, come sappiamo da Sicardo, il corpo di Sant'Imerio potrà essere recuperato solo nel 1129, cioè dopo dodici anni dal crollo.
Le absidi del duomo di Cremona
La serie di frammenti di fregi e sculture oggi incastonata sotto la Bertazzola, nel cortiletto del Torrazzo e riutilizzati nel transetto settentrionale appartengono ai portali della cattedrale iniziata prima del terremoto, e salvati in parte dal crollo, smontati, rimodellati e rimessi in opera. Con il novo cantiere si sarebbe poi abbandonato il progetto primitivo dell'impianto a due aule procedendo alla costruzione di un'unica cattedrale romanica a tre navate, con grandi transetti la cui estensione avrebbe ricoperto l'area di tutte le costruzioni precedenti, compresa la nuovissima aula con il mosaico del Camposanto e la stessa Canonica. Il lungo lasso di tempo trascorso tra il terremoto e la rimozione delle macerie, secondo Galli, potrebbe essere proprio giustificato dal ripensamenti del progetto di tutto il complesso episcopale, la cui costruzione venne terminata nel 1196 quando il corpo del santo protettore potrà essere nuovamente traslato nella nuova cattedrale.
La cattedrale odierna, dunque, non avrebbe nulla a che vedere con il tempio iniziato a costruire nel 1107 dal vescovo Gualtiero. Effetti devastanti, dunque, quelli arrecati dal terremoto, al punto da costringere gli architetti del tempo a ripensare l'intero progetto.
Ma nelle altre città dell'area padana cosa era successo? La cattedrale di Nonantola subì probabilmente solo il crollo delle coperture, quella di Parma, consacrata nel 1106, secondo Quintavalle non presenterebbe ricuciture di materiali o ripensamenti progettuali dovuti al terremoto. La cattedrale di Piacenza, per la quale non esistono testimonianze contemporanee, sarebbe stata ricostruita solo cinque anni dopo il terremoto, nel 1122. Quella di Fidenza, ricostruita sulle spoglie di quella ormai cadente del IX-X secolo, era stata probabilmente già consacrata nel 1106, prima di essere ristrutturata dall'Antelami e nuovamente consacrata nel 1207. A Modena, infine, nessuna fonte storica documenta danni alla città e alla cattedrale: la cattedrale venne fondata nel 1099 sui resti di una basilica più antica e nel 1106 era già stato consacrato l'altare, anche se per alcuni storici si trattava di quello della cripta, terminando la costruzione nel 1184. Effettivamente, però, 85 anni per costruire un edificio decisamente più piccolo di quello cremonese sembrano un po troppi, a meno di non pensare ad un'interruzione dei lavori forzata. Appare chiaro, secondo Galli, che si potrebbe prefigurare “l'attivazione di una struttura sufficientemente grande e vicina a Cremona da causare il crollo del complesso episcopale e, eventualmente, da provocare danni nelle città limitrofe”. Questa andrebbe ricercata tra quelle per le quali esiste un indizio di attività, aree di circa 10-20 chilometri potenzialmente capaci di generare eventi caratterizzati da una forte capacità distruttiva locale e di un forte risentimento. “Tra queste – suggerisce Galli – quella di Piadena sembrerebbe essere stata attiva in tempi storici, ed eventualmente postromani, con una deformazione areale in superficie sufficiente a spingere il corso del Po e dell'Oglio a nord. Tale fenomeno potrebbe essere ipoteticamente connesso all'occorrenza di un epicentro locale della sequenza del 1117”. In seguito al sisma il Po si sarebbe discostato di molto dal livello fondamentale della pianura, ampliando la sua valle da 600 in metri in prossimità del capoluogo, fino agli oltre dieci chilometri a Casalmaggiore, e l'assenza delle tracce di centuriazione romana in questa zona, cancellate dalla migrazione del Po, fornirebbe un ulteriore indizio cronologico su quando il fenomeno sia avvenuto in epoca medievale.

L'interno del duomo di Cremona
Testimonianze scritte del terremoto del 3 gennaio 1117 compaiono per ben 64 località dell'Europa, ma gli effetti del sisma nell'area veneto-lombardo emiliana, quella più prossima all'epicentro, non furono tutti uguali. A Cremona, ad esempio, contrariamente a quanto ritiene Galli, gli effetti non sarebbero stati così disastrosi. Uno studio in questo senso è stato effettuato, contemporaneamente al saggio di Galli, dall'architetto Fausto Ghisolfi (Bollettino Storico Cremonese, Nuova Serie, XII, 2005, pubblicato nel 2007), che ha ricostruito gli interventi strutturali resisi necessari in seguito ai crolli. Innanzi tutto non è accertato che il corpo di Sant'Imerio fosse già stato deposto nel nuovo edificio in fase di edificazione, perchè la traslazione poteva anche non essere ancora avvenuta, in quanto un altare dedicato a S. Imerio è già documentato nel 1124 e poteva trovarsi in qualche altro ambiente del complesso ecclesiastico. Il palazzo episcopale, inoltre, risultava agibile negli anni immediatamente successivi al sismi, in quanto figura utilizzato per tenervi un'investitura il 18 giugno 1118 ed un'altra il 21 gennaio 1120. La possibilità che la cattedrale, seppur danneggiata, conservasse la sua identità monumentale, troverebbe conferma nella cerimonia di giuramento tenuta dai militi di Soncino il 19 giugno 1118 davanti alle sue porte. Il ritardo nella ripresa dei lavori successivi all'evento sismico sarebbe giustificata dai numerosi impegni del nuovo vescovo Oberto da Dovara, giunto subito dopo i fatti, assorbito nella riappropriazione delle proprie prerogative, dopo anni in cui la sede episcopale era stata vagante.
Per quanto riguarda il consolidamento strutturale intervenuto dopo il terremoto restano tracce sia nella facciata, che nell'interno e nella zona absidale. Forse non vi siete mai fermati ad osservarle, ma sono abbastanza evidenti. “Per esempio – osserva Ghisolfi – nelle quattro arcate... poste ai lati del protiro alla base della facciata, si riconosce che il rivestimento lapideo che le tampona e le annulla, presenta incoerenze, dovute alla maggiore frammentarietà dei conci marmorei ed al trattamento più grossolano delle superfici, eccettuate le parti levigate che sono chiaramente integrazione successiva; non a caso, proprio in tale zona tamponata, nell'arcata intermedia di nord a sinistra del protiro, si ritrovano perfettamente connesse con i conci adiacenti le lastre con il rilievo del peccato originale e la cacciata dal paradiso terrestre, che gli studiosi concordemente riconoscono come elementi frammentari di reimpiego provenienti da qualche zona della Cattedrale danneggiata o da qualche elemento smantellato a seguito del terremoto”.
Anche l'andamento dei pilastri cilindrici della navata maggiore è testimone silenzioso del dissesto portato dal terremoto, soprattutto per quanto riguarda la disposizione in contrasto con le modanature verticali della parte superiore, dove si perde il caratteristico ritmo alternato del romanico lombardo: “evidentemente – osserva Ghisolfi – la necessità di consolidare le zone compromesse o danneggiate dal siam ha prevalso sulla esigenza di mantenere il ritmo alternato tipicamente lombardo, del quale si è voluta mantenere la parvenza mediante la diversità del pilastri circolare rispetto a quello composito, ma con un esito greve che non è sicuramente compatibile con l'equilibrata cadenza originaria”. I pilastri cilindrici presenti nei transetti, uniformi nelle proporzioni e nelle modanature della base, potrebbero invece essere riconducibili alla riedificazione dei sostegni dei transetti, conseguenti alla volontà di dare una maggiore solidità alla costruzione.

All'esterno colpisce la discontinuità delle due torrette absidali che non sono innestate, come sarebbe logico, sulle strutture scalari sottostanti provenienti dai matronei, collocate nella muratura alla congiunzione interna fra le absidi, ma disassate e arretrate contro la parete di fondo che, evidentemente, è collegata alla fase della ricostruzione. Una variazione nella trama muraria si rileva anche nella parte inferiore delle scale nella sezione prismatica, rispetto alla seconda fase dei lavori, circolare. La variazione al progetto originale è visibile anche nei raccordi dell'abside maggiore con quelle laterali che abbracciano le strutture scalari abbandonando il profilo curvi dell'abside e sono realizzati in modo sommario e asimmetrico sui due lati: “quello meridionale è rettilineo e occulta dall'esterno l'organismo della scala, mentre il raccordo settentrionale è sagomato e lascia intuire il volume, come un rigonfiamento, della scala interna ascendente che preesisteva. “La modalità costruttiva – osserva Ghisolfi- sembra trasmettere l'esigenza di trovare comunque una soluzione staticamente accettabile, senza affrontare il problema della coerenza formale, prassi esecutiva testimoniata anche dalla conformazione delle cornici terminali marmoree dei raccordi murari, che costituiscono l'imposta della galleria sommitale dell'abside, realizzate in modo sommario e irregolare. Questo dimostra che il tardo intervento non riguardò soltanto la vasta parete di fondo in mattoni con le nuove torri scalari, ma realizzò un lavoro complesso: il rivestimento in conci lapidei delle absidi, un guscio di rinforzo che, concluso dalle gallerie, caratterizza l'immagine attuale dell'insieme. E' perciò da presumere che il terremoto abbia seriamente compromesso la zona orientale tanto da determinare la necessità di realizzare un solido involucro esterno delle tre absidi, che avvolge l'originaria struttura in mattoni, mentre la parte sommitale è stata completamente ricostruita partendo dalla base, agli estremi laterali del complesso, dove sono stati costruiti robusti contrafforti in pietra, conclusi in sommità con terminazione orizzontale, leggermente rialzata, che lascia intuire l'intenzione di realizzare ulteriori torrette angolari”.

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