mercoledì 20 aprile 2016

Guido Acerbi e il "caso Piccoletti"

Il foglio identificativo di Guido Acerbi
Un episodio oscuro dei primi anni della nostra storia repubblicana, a lungo rimosso, ed ora riportato alla luce nella sua drammaticità in una quarantina di pagine scritte con passione e rigore scientifico da Mimmo Franzinelli e Nicola Graziano nel libro “Un'odissea partigiana. Dalla Resistenza al manicomio”, edito da Feltrinelli. Una vicenda che diventa lo specchio dei conflitti e delle contraddizioni di un tempo convulso, tra la fine della guerra e le prime elezioni democratiche del 1948 nell'ex feudo di Farinacci. A lungo, per descrivere la vicenda giudiziaria e umana di Guido Acerbi, si sono usati i termini “estremismo”, “infantilismo politico”, mentre invece le pagine rigorose di Franzinelli e Graziano, lasciano intuire ben altro. Se Danilo Montaldi ne avesse avuto il tempo, avrebbe probabilmente dato alle stampe quel documento clandestino avuto il 20 aprile 1951 in cui Guido Acerbi, detenuto a Portolongone oggi noto come Porto Azzurro, racconta a Ernesto Marabotti le condizioni di vita nel carcere a cui era stato condannato in quanto accusato del delitto “Piccoletti”. Ma, ancor di più, avrebbe completato quella sua ricerca sociologica sull'effettivo ruolo della “paramilitare” e dei rapporti dei militanti clandestini con l'ufficialità dell'apparato, testimoniata solo da un foglietto di appunti.
Acerbi, assolto dall'accusa di costituzione di organizzazione a carattere militare, appena diciannovenne venne condannato per omicidio a ventisei anni, sei mesi e venti giorni di carcere oltre alla multa di 190.000 lire, con libertà vigilata e interdizione perpetua dai pubblici uffici e nellaprimavera del 1949 venne trasferito nel penitenziario di massima sicurezza dell'Isola d'Elba da dove iniziò un'odissea giudiziaria che lo portò a Alessandria, Pizzighettone, Milano, Piacenza fino al manicomio di Aversa, dove entrò la mezzanotte del 3 settembre 1959 per uscirne il 30 settembre 1962 a trentaquattro anni. Lavorò poi come geometra in modo autonomo, prima di trovare impiego all'ufficio urbanistica del Comune di Cremona. Non si avvicinò mai più alla politica attiva, pur non nascondendo le sue simpatie di sinistra, e confessava di essersi profondamente pentito di quella “tragica stupidaggine”, dovuta “ad accecamento ideologico”.
E' la vigilia delle elezioni del 18 aprile 1948. Guido Acerbi è uno studente di quinta geometri dell'Istituto tecnico superiore Eugenio Beltrami, legato agli ambienti della Federazione comunista e dell'Anpi. Sono momenti di grande tensione: gli ex garibaldini nascondono le armi in previsione di un'eventuale offensiva democristiana. Nel giugno del 1946 la questura ha già rinvenuto una quantità di fucili mitragliatori, bombe a mano e materiale bellico nella caserma Massarotti, sede provinciale delle Fiamme Verdi. Qualche mese dopo, in agosto, vengono sequestrate due mitragliatrici Breda e il 10 settembre il bracciante Olimpio Puerari viene ucciso a bruciapelo dall'ex segretario fascista di Scandolara Ravara Mario Morandi, che poi verrà infine assolto dopo un processo interminabile. Guido, dal canto suo, appena sedicenne, nel corso delle vacanze scolastiche di Natale nel dicembre 1944, aveva lasciato la città e raggiunto una prima volta i partigiani tra Valdarda e Valnure ma poi, salvato dal rastrellamento da una famiglia di contadini, era stato convinto da questi a tornarsene a casa. Ma il ragazzo non aveva più voluto saperne della scuola e si era aggregato alla brigata “Eugenio Curiel” con il nome di battaglia di “Rinaldo”, occupandosi della distribuzione clandestina di volantini. Agli inizi di marzo 1945, dopo essersi iscritto al Pci, era stato assegnato alla prima brigata “Ferruccio Ghinaglia”, il 10 marzo aveva combattuto in uno scontro ad Azzanello e poi arrestato il 21 aprile per propaganda sovversiva, per poi essere rilasciato quattro giorni dopo alla vigilia dell'insurrezione. Nell'autunno del 1947 Guido costituisce il circolo giovanile Giuseppe Garibaldi al numero 2 di viale Trento e Trieste, presso la sede del comitato provinciale Anpi: conta una settantina di soci, tra cui Benito Longoni, di sei anni più anziano, nipote del dirigente democristiano Tarcisio Longoni, già membro del Cln di Monza, che poi verrà eletto deputato nelle successive elezioni del 18 aprile 1948. I due giovani si legano al sessantenne Pietro Piccoletti, un personaggio strano che vive di espedienti e che nella sua abitazione di via Genala 21 raccoglie ogni genere di oggetti, ma che, soprattutto, custodisce le armi recuperate e stipate nei depositi della stazione. Guido fa riferimento a lui per spostare le armi custodite nella propria abitazione, dapprima nella casa dell'amico, e poi, il 28 marzo 1948, fuori città nella capannina del circolo Garibaldi in un bosco in riva al fiume Po. Su un carretto a tre ruote vengono portati fucili, bombe a mano e due mitragliatrici Breda, che vengono nascosti in una cavità ricavata sotto il pavimento, raggiungibile attraverso una botola. I dirigenti politici del Pci erano a conoscenza di questi traffici? Probabilmente si, sostiene Franzinelli, ma lasciavano fare sia perchè i due gravitavano nell'orbita della sinistra, sia perchè non iscritti al Pci. Garanzia, questa, di totale estraneità in caso di un eventuale arresto. Ma quando la campagna elettorale entra nel vivo e la tensione cresce, Piccoletti muta atteggiamento e pretende denaro per mettere a disposizione dei compagni il suo arsenale. Vuole quarantamila lire o minaccia di rivelare l'esistenza della rete clandestina. Il 21 marzo, domenica di Pasqua, Acerbi, giunto al capanno per completare il trasferimento delle armi, non trova più il materiale bellico già recuperato. 
Guido Percudani ad una riunione del PCI
Evidentemente Piccoletti lo ha già venduto, e Guido medita la vendetta. Chiede a Isaia Gardani della Federazione del Pci come ci si debba comportare nei confronti di un traditore, ottenendo la risposta di “toglierlo dalle spese” mentre il dirigente organizzativo Guido Percudani suggerisce più prudentemente di allontanarlo dalla cerchia dei compagni. L'appuntamento per il chiarimento definitivo, o piuttosto per la resa dei conti, è fissato per la notte di sabato 3 aprile a Bosco ex Parmigiano, nei pressi delle colonie padane: Guido si sarebbe presentato con la somma necessaria per far recedere Piccoletti dal suo proposito. Ma Guido quel denaro non l'ha recuperato e cerca di convincere l'amico a tornare sui propri passi. Piccoletti, messo alle strette, confessa di aver venduto le armi a due giovani ebrei, provenienti dall'est europeo, alloggiati nel campo dell'ex caserma Pagliari, militanti sionisti che a loro volta hanno già consegnato l'arsenale all'Organizzazione militare nazionale Irgun impegnata contro gli inglesi per la costituzione dello Stato di Israele. In piena notte esplodono tre colpi che freddano Piccoletti mentre in disparte sta arrotolandosi una sigaretta: due provengono dalla Browing calibro 9 di Acerbi, uno, che risulterà letale, dalla pistola a tamburo calibro 12 di Longoni. I due si liberano del cadavere gettandolo nel Po, da cui verrà recuperato fortunosamente da un pescatore di Stagno di Roccabianca il pomeriggio del 19 aprile, mentre è in corso lo spoglio dei voti. Nella tasca un biglietto con l'invito a partecipare ad una riunione del Circolo Garibaldi alle 18,30 di quel maledetto 3 aprile.
Si organizza la camera ardente nella sede dell'Anpi cercando di dirottare i sospetti verso i neofascisti, ma il 21 aprile i carabinieri sono già sulle piste di Acerbi, che viene arrestato. Lui si proclama innocente, ma i carabinieri sono convinti, attraverso Guido, di coinvolgere nell'omicidio tutta la classe dirigente del comunismo cremonese. Per questo, in assoluto isolamento, lo interrogano in modo serrato per nove giorni fino a quando il 30 aprile Acerbi confessa e dichiara: «nelle sue piene facoltà mentali e con piena coscienza di aver premeditatamente ed in unione col Longoni ucciso a colpi di pistola il Piccoletti, in quanto costui pretendeva dalle 30 alle 50 mila lire in compenso della custodia delle armi che aveva tenuto in casa sua per conto della formazione paramilitare di esso Acerbi e minacciava di denunciarlo». Il 1 maggio viene arrestato anche Longoni, che conferma punto per punto l'esistenza di una formazione paramilitare dotata di armi da guerra. Grazie alle sue rivelazioni i carabinieri ritrovano le armi «avvolte in sacchi e dentro bauli e cassette, ben lubrificate e ingrassate efficienti per lo più e pronte per l'uso, tutto un armamentario di mitragliatrici, mitra, fucili, moschetti e bombe a mano, con un'abbondante dotazione di munizioni, accessori e pezzi di ricambio, ritenuto sufficiente ad armare un intero reparto». Longoni, allettato dalla promessa di un trattamento di favore, indica in Arnaldo Bera, ex comandante della formazione garibaldina “Ferruccio Ghinaglia” e segretario della Federazione del Pci, l'organizzatore
di traffici d'armi, e Bera, fiutata l'aria, decide di sparire. Nell'ipotesi accusatoria della magistratura, scrive Franzinelli «lo studente sarebbe il paravento della mente politica, annodata nella Federazione comunista di Cremona. Il segretario organizzativo Guido Percudani e il responsabile provinciale del Circolo Garibaldi Ugo Bonali avrebbero 'diretto l'attività dell'Acerbi, pur essendo consapevoli che esso aveva strutture e caratteristica di associazione militare'. L'azione militare sarebbe scattata 'in caso di vittoria del Fronte Popolare, contro qualunque movimento reazionario specialmente di fascisti che avessero inteso mettersi contro la vittoria del Fronte».
Gli interrogatori si svolgevano di notte, con una lampada abbagliante puntata sugli occhi. Venne seviziato e percosso a sangue da un capitano e da due marescialli dei carabinieri fino allo svenimento anche il capo deposito locomotive della stazione Antonio Assumma che alla fine firmò la confessione predisposta dagli inquirenti. «Fummo tenuti per 16 giorni in una cella che si dormiva sopra di un tavolaccio senza pagliericcio con due sole coperte, lunghe e grosse come due fazzoletti da naso, senza mai un'ora d'aria», dichiararono gli imputati una volta riacquistata la libertà.
Il 'caso Acerbi' tenne banco anche il 16 giugno 1948 quando Alcide De Gasperi ne riferì alla Camera incendiando gli animi, ricollegando i fatti cremonesi alle trame del comunismo internazionale.
Guido Acerbi con Fabrizio Merisi
«Il tambureggiamento propagandistico - racconta Franzinelli - gonfia oltremodo il 'caso Cremona', ma i successivi accertamenti giudiziari ridimensionano l'organizzazione paramilitare della triade Acerbi-Longoni-Piccoletti. L'armamento rinvenuto sotto la baracca in riva al Po si confà più a una rottameria che a un gruppo paramilitare. Secondo la perizia, infatti 'le mitragliatrici per lo più non erano idonee allo scopo, e sovente neppure efficienti; le munizioni versavano in stato di cattiva conservazione e pertanto dichiarate di incerta efficienza e fuori uso dal punto di vista tecnico, praticamente atte all'uso ma con pericolo continuo di rottura delle canne per eccesso di pressione da aumentate densità di caricamento'. L'arsenale era dunque inservibile e addirittura pericoloso per chi avesse voluto utilizzarlo. Non ci fosse stato di mezzo l'omicidio di Piccoletti, la questione sarebbe liquidabile come una ragazzata, frutto di esaltazione politica».
La Corte d'Assise nel corso del processo respinge le accuse del pubblico ministero con una sentenza che smonta l'intero teorema dell'apparato armato al servizio della Federazione comunista, tuttavia i dirigenti della sinistra cremonese troncano qualsiasi rapporto con il giovane studente, ritenuto colpevole di tutti i loro guai giudiziari e viene modificata la sua scheda di riconoscimento partigiano redatta nel febbraio 1947, aggiornata dapprima con la dicitura “Sospeso” e poi “Espulso per indegnità morale”. Per lui si aprono le porte del carcere di Portologone e poi del manicomio di Aversa. Ma «immerso suo malgrado nell'inferno di Portolongone, il ventiduenne cremonese subisce una rapida maturazione e vivifica, nella dimensione collettiva della solidarietà e della lotta, le sue radici egualitarie. Nel triennio intercorso dal delitto in riva al Po, si è mutato da ragazzo perso in avventate congiure in un uomo consapevole del prezzo e della dignità della vita». Negli otto anni per cui si trascina la vicenda giudiziaria vengono via via ridimensionate tutte le accuse. Il 22 gennaio 1955 la Corte d'assise d'appello di Brescia nega che i circoli garibaldini «oltre ai professati scopi culturali, sportivi e di propaganda politica, avessero un programma delittuoso e sotto di essi si celassero delle formazioni di carattere militare». Viene poi assolto per non aver commesso il fatto il segretario federale del Pci Arnaldo Bera.
E su Guido nel settembre 1959 l'ufficiale sanitario della città di Cremona, da cui attinge informazioni il direttore della struttura di Aversa, scrive: «All'età di 18 anni ha mostrato molto interesse per la politica ed ha incominciato a frequentare amici iscritti a partiti estremisti. In casa però il suo contegno è rimasto sempre normale. Il Parroco afferma che il soggetto proviene da famiglia onesta ed onorata. Durante il periodo della liberazione si è lasciato trascinare dai compagni ed ha commesso il reato per cui subisce ancor ora la condanna. Detti compagni hanno avuto buona parte nel traviamento dell'Acerbi».

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