lunedì 4 aprile 2016

Così scrisse Stradivari


Un genio, certamente, ma anche un grande imprenditore di se stesso: preciso fin nelle minime cose, con grandi capacità tecniche unite ad un'unica sensibilità artistica. Come d'altronde, denotano alcune caratteristiche della sua scrittura. Un'impresa in cui si è cimentato il paleografo Marco D'Agostino, coadiuvato negli aspetti più scientifici della ricerca, dal laboratorio di analisi dei materiali del Museo del Violino, diretto da Marco Malagodi. Un lavoro difficile ed unico nel suo genere, dove alla chimica è riservato il compito di analizzare gli inchiostri utilizzati nelle varie annotazioni che Antonio Stradivari lasciava sia sugli strumenti, che sui disegni preparatori che accompagnavano le varie fasi della lavorazione, e alla paleografia il compito di individuarne l'autenticità. Perchè questo? Nonostante il principe dei liutai sia stato ampiamente studiato, non è mai stato individuato in modo inequivocabile il corpus direttamente riconducibile a lui e le caratteristiche del modo in cui lavorava la sua bottega, con la partecipazione dei figli Omobono e Francesco, prima che il figlio Paolo cedesse tutto quanto in blocco al conte Cozio di Salabue. E' proprio questa figura di commerciante e collezionista a complicare un po' tutto quanto: le sue annotazione compaiono spesso accanto a quelle del maestro, spesso ne ripetono le frasi e il tono. Dopo la morte di Antonio gli eredi vendettero a Cozio di Salabue oltre ad un certo numero di violini trovato in bottega, anche forme, disegni e vari attrezzi. La collezione del conte, passata poi in eredità alla famiglia Dalla Valle nel 1840, fu poi venduta nel 1920 al liutaio Giuseppe Fiorini che a sua volta la donò al Comune di Cremona nel 1930. Un grande numero dei reperti stradivariani conservato al museo è provvisto di scrittura vergata non di rado anche da due o più mani: si tratta di 125 pezzi su 710. Le annotazioni erano state tutte attribuite a Antonio, ma già verso la fine degli anni Ottanta il conservatore Andrea Mosconi era convinto che ci fosse anche dell'altro. Ed aveva ragione: solo il 30% di quelle scritte sono autografe, mentre la parte restante non lo era ed è forte il dubbio che, in realtà, sia stato proprio il conte Cozio a metterci del suo. E forse anche qualcuno dei due figli. Ci sono pervenute tre preziose testimonianze manoscritte di Antonio Stradivari sicuramente di sua mano: una lettera datata 12 agosto 1708, una seconda lettera non datata, e il testamento del 24 gennaio 1729. I tre autografi sono conservati a Cremona, il primo al Museo stradivariano, il secondo all'Archivio di Stato e il terzo presso la famiglia Sacchi. Il progetto, ora alla fase iniziali, prevede di esaminare la scrittura dei tre documenti sia nel suo aspetto generale che in modo analitico, prendendo in considerazione le singole lettere e i legamenti più significativi. Sulla base di questa dettagliata descrizione paleografica verranno analizzati, attraverso il confronto delle grafie, tutti i reperti stradivariani provvisti di scrittura, con lo scopo di individuare i reperti le cui scritte possano essere attribuite con certezza alla mano di Antonio Stradivari. Quella di Stradivari è una scrittura del suo tempo: una corsiva cancelleresca della seconda metà del Seicento molto inclinata a destra, di forme poco regolari, con un ductus rapido e fluido e le lettere caratterizzate da uno sviluppo pronunciato delle aste in alto e in basso. La grafia con cui viene vergato invece il testamento, pur presentando il medesimo tratteggio delle lettere, si presenta più inclinata, con un andamento meno regolare e uniforme e complessivamente di un aspetto più disordinato rispetto alla lettera del 1708. Ma bisogna ricordare che Antonio a quell'epoca era già novantenne! 
Per analizzare le caratteristiche di ogni scrittura esistono delle “lettere guida” particolari: nel caso di Antonio Stradivari questa è la “q”, che risulta tale e quale una “g”. Un tratto di notevole eleganza che non trova riscontro in altre scritture contemporanee: la lettera è costituita da un tratto curvo che forma un occhiello con l'asta, la quale si prolunga incurvandosi al di sotto del rigo e ripiegandosi indietro a formale un occhiello schiacciato. L'altra lettera è la “l”, molto sinuosa e particolare: è caratterizzata da una peculiare asta, sottile e lunga che si piega a metà verso destra incurvandosi alla fine per formare un occhiello stretto ed oblungo, l'estremità inferiore è munita in fondo di un trattino orizzontale più o meno lungo. Nella maiuscole sono invece caratteristiche le lettere D e G Tra i reperti lignei, lo strumento più completo in tutte le sue fasi di lavorazione è la viola tenore, conservata oggi al museo dell'Accademia di Firenze. Si tratta del materiale utilizzato per la realizzazione, richiesta dal marchese Ariberti il 19 settembre 1690. Scrive il marchese: «Ho fatto
pochi giorni sono il presente de' due violini e violoncello al Serenissimo Principe diToscana ed assicurare alla S.V. Che gli ha graditi...Cominciar subito due viole cioè il tenore, e il contralto che mancano per compimento del concerto intiero».. Antonio si mise subito al lavoro, dato che il materiale utilizzato per la costruzione dello strumento è datato 4 ottobre 1690.
Come per la viola contralto, ogni singolo reperto che costituisce il corredo è contraddistinto da due lettere maiuscole, la T e la V (cioè tenore viola) ed è stato ritenuto sicuramente della mano di Stradivari. Il primo elemento su cui si è soffermata la ricerca è la forma in legno in legno di noce,
usata appunto per costruire la famosa viola medicea, nella cui parte superiore si legge la scritta apposta dal liutaio: “1690/ Forma nova per il contralto Fatta Ha posta/per il ser.mo Gran Principe di Fiorenza”. Il tratteggio dell'H e della D maiuscole e delle lettere minuscole l e p, dimostra secondo
D'Agostino, l'autografia stradivariana dell'annotazione. Di mano di Antonio sono anche le lettere minuscole TV, vergate verso il centro il centro della forma, come conferma anche l'utilizzo dello stesso inchiostro usato per la scritta precedente e per le medesime lettere poste sui modelli per il
taglio dei blocchi di testa, di fondo, delle punte superiori e inferiori della forma. Al contrario è sicuramente una mano più tarda di oltre due secoli quella che ricopia e corregge la scritta di Stradivari nella parte inferiore della forma e che riscrive inoltre maiuscole le lettere TV. Il
discorso, poi, si addentra in altre analisi da esperti in un minuzioso lavoro di ricerca. Perchè tutto questo affannarsi sulla scrittura di Stradivari?
«I reperti sono passati di mano in mano nel corso del tempo - spiega il professor Marco Malagodi - uno dei lavori fondamentali del laboratorio è capire quali siano quelli originali attribuibili direttamente a Stradivari, quelli dei figli e dei collezionisti successivi. Lo studio che abbiamo
messo a punto è di tipo multidisciplinare. Il professor D'Agostino, esperto di paleografia e di tecniche calligrafiche, con le strumentazioni scientifiche del laboratorio ha avuto la possibilità di studiare le comparazioni tra inchiostro e materiali per stabilirne la datazione. Il confronto tra le
scritte dubbie e quelle certe consente di ottenere una certa attendibilità degli elementi presenti nell'inchiostro e cercare di sostenere maggiormente l'ipotesi calligrafica: l'unione di tecniche e competenze con capacità diverse consente dunque di fare attribuzioni che siano le più certe possibili. Adesso vogliamo selezionare una serie di reperti stradivariani caratterizzati da interventi regolari nel tempo, dalla nascita alla morte, che dovrebbero costituire una sorta di griglia con la composizione chimica utilizzata per gli inchiostri. La stessa cosa vale per quanto scritto da Cozio di
Salabue, in modo da creare un riferimento che permetta di capire quale composizione chimica dell'inchiostro sia attribuibile al 1690 piuttosto che ad un latro secolo». Questo lavoro, in buona sostanza, a cosa è finalizzato?
«Serve per classificare le forme utilizzate per gli strumenti che utilizzino delle lettere, per capire se queste siano di Stradivari piuttosto che successive, ma anche per capire quale fosse l'organizzazione del lavoro all'interno della bottega: Antonio sapeva disegnare, utilizzare il compasso, aveva una formazione da umanista e questo apre una prospettiva del tutto differenze rispetto alla sua personalità». Uno Stradivari, insomma, forse un po' meno romantico, ma decisamente più manageriale. «In Stradivari c'era una tecnica ed una conoscenza assoluta dell'arte, come si può rilevare dalle annotazioni tecniche utilizzate per costruire strumenti perfetti - spiega il professor
Marco D'Agostino - i documenti dimostrano un grande intuito unito ad una profonda conoscenza ed una grande genialità, ormai del tutto individuata».

Nessun commento:

Posta un commento