venerdì 1 aprile 2016

Addio a falce e martello


Il congresso al Cittanova
Fu condizionato più dalla Guerra del Golfo che dal dibattito interno il 22° congresso della federazione cremonese del Pci, venticinque anni fa, il 22 gennaio 1991, l'ultimo in vista del congresso nazionale della Bolognina che avrebbe sancito, di lì a una settimana la fine del Partito Comunista e la nascita del nuovo Partito democratico della sinistra. Sette i delegati cremonesi che sarebbero andati a Rimini il 29 gennaio: Marco Pezzoni, Luciano Pizzetti, Sergio Cofferati, Anna Riccardi e Claudio Rebessi per la mozione Occhetto, Evelino Abeni e Giorgio Bergonzi per la mozione Ingrao e Cossutta. L'ultimo segretario del partito falce e martello, Marco Pezzoni, tracciando un bilancio del congresso con un occhio a Rimini, diceva: «Io sono convinto che l'identità comunista da sola non può farcela a cambiare la società italiana, ha bisogno del contributo di altre identità non comuniste da porre sullo stesso piano e con uguale dignità. Una sorta di sfida alla società civile italiana che ha tutte le ragioni per lamentarsi della partitocrazia ma che nel contempo deve anch'essa impegnarsi nel cambiamento attraverso lo strumento offerto dalla politica». Molte le speranze ma anche le riserve nei confronti del nuovo soggetto politico che avrebbe raccolto il testimone del vecchio Pci. Giorgio Bergonzi aveva sottolineato come il progetto politico di “Rifondazione comunista” non potesse rimanere una semplice testimonianza all'interno del futuro Pds o in posizione di arroccamento all'esterno della nuova formazione, ma avesse dovuto conquistarsi un'autonomia di elaborazione culturale. Evelino Abeni temeva la “scissione silenziosa” che sarebbe derivata se il pluralismo del Pds, non garantito da precise regole, si fosse limitato solo ad una spartizione del potere; Pippo Superti, esponente della mozione Occhetto, sperava che il nuovo partito fosse in grado di assumere decisioni senza forme di veto, mentre Cesare Mainardi, per la mozione Bassolino, vedeva che le mozioni, in realtà, si erano già cristallizzate in correnti.
Al congresso di Rimini il primo no venne da Giorgio Bergonzi che, con un gruppo di delegati cremonesi, aveva preferito abbandonare l'aula mentre Occhetto pronunciava orgogliosamente il suo discorso.
I delegati cremonesi al congresso di Rimini
«Sono entrato nel Pci sull'onda del sessantotto – raccontava – in una posizione di contestazione nei confronti della maggioranza del partito, e ho dato molto. Mi sono commosso quando ho sentito dire che non c'è più il Pci. Ho avuto subito la sensazione che bisognava ricominciare tutto da capo; poi, durante la conferenza stampa che è seguita ho provato come una grande liberazione, una grande voglia di ricominciare, con la consapevolezza delle grandi difficoltà che ci attendono e la mancanza di certezze per riuscire a farcela. Nei compagni del Pci c'è una grande aspettativa: dopo il no, cercano adesso un punto di riferimento. Dobbiamo ritornare ad avere forza propositiva. Tanti compagni, per tanto tempo, non hanno visto una proposta obiettiva. Adesso c'è, e apre possibilità che non siamo nemmeno noi ancora in grado di valutare. La nostra proposta può costituire il punto di riferimento per i compagni che hanno lasciato il partito in questi ultimi anni. A Cremona siamo passati da circa diecimila a ottomila iscritti in pochi anni. Sono tante le persone perse per strada a cui dobbiamo dare una possibilità». Altri cremonesi, invece, solidarizzavano con Occhetto, esautorato momentaneamente dalla carica di segretario con un colpo di mano: “Condividiamo la sua amarezza- scrivevano – ma non si deve ritirare. Quale futuro potrà avere il Partito democratico della sinistra se a dirigerlo non ci sarà colui che con più determinazione si è battuto per la sua nascita? Noi vogliamo che il Consiglio nazionale elegga Achille Occhetto segretario del Pds. A tutti i consiglieri nazionali chiediamo senso di responsabilità, trasparenza, chiarezza nella linea e nelle scelte politiche“.
Non bastò l'elezione di Occhetto alla segreteria per lenire le ferite, e se da un lato Evelino Abeni, ex assessore provinciale all'ecologia, annunciava di non volere aderire alla nuova formazione, dall'altro pur critici nei confronti del Pds, altri diciotto firmatari dell'ex mozione 2 decidevano di condurre la loro battaglia dall'interno per preservare l'identità comunista. Erano Rosolino Amidani, Giovanni Carboni, Giorgio Castagnetti, Aurelio Cavalli, Mimmo Dolci, Sante Gerelli, Camillo Gizzi, Ely Lazzari, Attilio Marchini, Gianfranco Piseri, Gigi Rossetti, Guido Sanfilippo, Walter Tacchinardi, Claudio Turati, Giorgio Canesi, Valerio Lazzari, Santina de Micheli e Marco Turati. “Il nostro è un razionale progetto politico per costruire un processo di rifondazione comunista dentro il Partito democratico della sinistra – comunicavano - che è e resta la più grande forza della sinistra italiana. Lavoriamo dunque oggi per promuovere un'area politico-culturale di comunisti democratici dentro il Pds, capace di analisi, ricerca, iniziativa ed espressione ad un tempo unitaria ed autonoma, dentro e fuori il partito, nella società, che punta a spostare a sinistra l'identità futura del Pds per aprire nuovi orizzonti di liberazione. Dal Golfo ai contratti, dalla questione democratica alla questione sociale, vogliamo riempire di idee e di lotte, di cultura e di movimento, le grandi zone d'ombra, sia sul terreno della politica che su quello delle regole, aperte nel nuovo partito. Per questo non condividiamo la scelta di quella parte di compagni che sono usciti dal partito. Non ci pare che oggi di questo ci sia bisogno in Italia. Rispettiamo una scelta, che ci pare però improduttiva per il futuro e lontana dal progetto di rifondazione comunista, «tutto il contratio di una separazione», che abbiamo sostenuto nella mozione congressuale...Rivolgiamo dunque una proposta forte a tutti i compagni ed a tutte le compagne: costruire un'area di comunisti democratici mel Partito democratico della sinistra, perchè non venga disperso il patrimonio di cui i comunisti italiani sono portatori, perchè centrali siano le lotte in difesa della pace, dell'ambiente, dei bisogni dei lavoratori, dei diritti dei cittadini, per un'alternativa sociale e politica in Italia e nel mondo”.
Mentre veniva annunciato per domenica 24 febbraio il primo congresso della nuova formazione politica, che si sarebbe tenuto in realtà il 2 marzo, il Movimento per la rifondazione comunista, costituito il 10 febbraio, bruciava le tappe e si presentava ufficialmente la domenica precedente in sala Rodi col dirigente Lucio Libertini, rendendo per la prima pubblici i nomi degli aderenti: Giorgio Bergonzi, Stefano Bozzetti,Vanni Brignani, Angelo Bruschi, Gian Paolo Dusi, Giulio Filippazzi, Gianni Gaboardi, Bruno Gaburri, Leonardo Galli, Francesco Gerevini, Bruno Ginelli, Lorenzo Girelli, Franca Grisoli, Antonio Maestrelli, Mario Maffina, Gian Luca Magnani, Gian Carlo Manara, Antonio Miglio, Claudio Morini, Maria Oneda, Pier Carlo Ottoni, Enzo Poli, Ivana Piazza, Daniela Polenghi, Aldo Puerari, Giuseppe Rebessi, Felice Rosimi e Eros Siboni. Costante era nel manifesto il richiamo a Gramsci e quello alle contraddizioni che avevano caratterizzato il vecchio Pci negli anni '60 e '80. Bandiere rosse con falce e martello disposte lungo le pareti laterali di sala Rodi, all'ombra di un grande striscione bianco su cui campeggiava a sinistra un grande “no alla guerra” e a destra i ritratti simbolo di Marx in primo piano e dietro, in una continuità fisica ed ideale, quelli di Lenin, Gramsci e Togliatti. Poco più di trecento gli aderenti al nuovo movimento.
I delegati al congresso al Cittanova
Qualche giorno dopo anche altri leader storici del Pci annunciavano la loro scelta: al termine di un percorso travagliato, decidevano di aderire al Pds anche Evelino Abeni, Camillo Fervari, Sante Gerelli della sezione di Gussola e Gianantonio Nardi, segretario della Camera del lavoro di Casalmaggiore. Le probabilità che Abeni, soprattutto, non entrasse nel Pds erano in realtà molto alte e d'altronde lo stesso aveva sottolineato nel corso di una conferenza stampa che si era trattato di una “scelta molto sofferta”. «Non abbiamo sottoscritto il documento presentato giorni fa da alcuni nostri compagni perchè questo atto non avrebbe tradotto i travagli personali di ciascuno di noi. Abbiamo sentito l'esigenza di riflettere un po' di più per comprendere quali spazi reali avremmo avuto all'interno del Pds. Una scelta scaturita dalla convinzione che nel Pds esistano comunque spazi perchè si possa connotare in maniera fattiva la presenza degli aderenti all'area dei comunisti democratici, tenendo conto delle possibilità offerte dallo statuto del partito. Rimane la simpatia per i compagni che non sono entrati nella nuova formazione, senza nessun attaccamento vetero-nostalgico ad una simbologia da salvare ma convinti che rimanga il problema dell'identità storica dei comunisti”. E parole di apprezzamento andavano anche per l'ultimo segretario Marco Pezzoni, che con la sua posizione al congresso di Rimini, astenendosi sulla mozione Ingrao per la guerra del Golfo, si sarebbe giocato l'ingresso nel consiglio nazionale del Pds.

Sabato 2 marzo l'ex Pci chiudeva definitivamente con il passato scegliendo a Cà de' Somenzi i 66 componenti del nuovo comitato federale del Pds, con l'ingresso, per la prima volta, degli esterni negli organi del partito. Nel documento politico conclusivo, approvato con venti astenuti, si sottolineava la validità dell'esperienza amministrativa in corso, aprendo al confronto con le opposizioni, rappresentate da repubblicani e socialisti: «Le alleanze politiche con DC e Verdi – sottolineava il documento – non sono nate solo da una situazione di necessità. Il Pds considera queste alleanze come passaggi importanti, pur senza attribuire loro alcun valore strategico, nati da processi politici autentici che hanno attraversato l'opinione pubblica, alla cui base vi è una condivisione di obiettivi programmatici, di risposte possibili alla crisi delle istituzioni localie alla loro scarsa incidenza sul governo dei processi reali. Questo è il patto che abbiamo assunto con gli elettori: rimpere un sistema di potere che aveva determinato un uso distorto delle istituzioni e riformare la politica». Ricordiamo gli organismi dirigenti di quella prima formazione del Pds. Il comitato federale era costituito da Evelino Abeni, Franco Albertoni, Giovanni Amidani, Renzo Antoniazzi, Paolo Arisi, Rosalba Azzali, Giuseppe Azzoni, Gianfranco Barbieri, Mario Bardelli, Ersilia Baruffini, Adriano Bellandi, Aldo Boccaccia, Ilde Bottoli, Rosa Botturi, Adriano Bruneri, Giorgio Canesi, Alida Canova, Alberto Cappellini, Bruno Casarini, Giorgio Castegnetti, Bruno Cavagnoli, Aurelio Cavalli, Cristina Cavalli, Adriana Cilento, Filippo Colace, Palmiro Donelli, Carlo Duca, Giorgio Ferrari, Deo Fogliazza, Adriano Galli, Lucia Genzini, Giorgio Gerelli, Sante Gerelli, Daniele Cigni, Camillo Gizzi, Fiorenzo Gorni, Eli Lazzari, Fiorella Lazzari, Rosanna Lugli, Ferruccio Maffezzoni, Cesare Mainardi, Cristina Manfredini, Stefana Mariotti, Silvia Mineri, Luigina Oppi, Margherita Pedraccini, Marco Pezzoni, Luciano Pizzetti, Antonella Poli, Elisa Refolli, Paolo Renzi, Anna Riccardi, Antonio Romani, Gigi Rossetti, Maura Ruggeri, Guido Sanfilippo, Pippo Superti, Giuseppe Tadioli, Enrico Tavoni, Giuseppe Tiranti, Silvia Toninelli, Claudio Turati, Marco Turati, Lucio Vangi ed Emilio Zelioli. La commissione federale di garanzia era formata da Oriana Barcellari, Angela Curtareli, Santina De Micheli, Stefano Dossena, Gianni Fervari, Mario Gennari, Giacomo Guindani, Atilio Marchini, Terez Marosi, Iva Moretti, Massimo Moroni, Alessio Picarelli, Gianfranco Piseri, Loredana Rancati, Giovanni Sguaita. I delegati al congresso provinciale erano Evelino Abeni, Giuseppe Azzoni, Oriana Barcellari, Basilio Boeghi, Liliana Cavalli, Camillo Fervari, Giovanni Gagliardi, Sante Gerelli, Camillo Gizzi, Giacomo Guindani, Attilio Marchini, Roberto Moroni, Stefana Mariotti, Siliva Mineri, Marco Pezzoni, Luciano Pizzetti, Pierluigi Rossetti, Fabrizio Ruggeri, Pier Sttilio Superti, Giorgio Toscani.

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