lunedì 29 giugno 2015

Il nostro Eldorado


Nessuna “Isola del tesoro” alla Stevenson, per carità, ma qualche piccola spiaggia nascosta in riva al fiume, dove setacciare la sabbia alla ricerca del prezioso metallo, c'è pure qui da noi. Certo
non sarà mai il Klondike ed anche una speranzosa corsa all'oro finirebbe per risultare un grossa delusione, ma certo per passare qualche ora all'aperto in una giornata di sole estiva la scusa potrebbe anche risultar convincente. Anche perchè sulla presenza delle agognate pagliuzze nei corsi d'acqua padani esiste fior di letteratura fin dal Settecento. Il nostro piccolo Eldorado è ad Azzanello. A descrivere l'emozionante incontro con l'oro è Alberto, un cercatore dilettante che ha voluto condividere la propria felicità con gli altri cercatori che si ritrovano puntualmente sul sito www.minieredoro.it: «Armato di una piccola paletta, due setacci e la batea, questa prima uscita l'ho fatta con l'intenzione di verificare la quantità di ferrite in punti diversi del fiume. Ho presto incontrato due guardie regionali, ma dopo gli ho spiegato le mie intenzioni e mi hanno salutato senza crearmi alcun problema, per cui mi sono dato tranquillamente da fare. Non ti dico la gioia che ho avuto nel trovare quei minuscoli puntini incollati al piatto e che si nascondono sino all'ultimo sotto quel “concentrato nero”, veramente un'emozione unica! Li ho osservati ancor meglio a casa usando l'obiettivo di un vecchio fax: scagliette minuscole, una decina, da farsi ridere dietro da amici e parenti, ma non importa, per me è stato fantastico. Da qui a trovarne anche un solo grammo ce ne vorrà, ma la molla è scattata! Non lo faccio certo per arricchirmi o per mantenermi, per questo c'é il lavoro, comunque conoscendomi ci passerò parecchie ore a “spadellare”. Tra l'altro, ho visto in rete dei siti che propongono pompe e macchinari vari per dragare il fondo, ma sono contrario a questo tipo di ricerca che ha il solo scopo di velocizzare i tempi per aumentare il più possibile la resa, togliendo però, secondo me, proprio il bello della ricerca». Pagliuzze e piccole pepite non sono rare nei torrenti della Bessa, un fazzoletto di terra nel biellese, specialmente nel torrente Elvo, oppure sul letto del Cervo, torrente che scorre dal lago della Vecchia al confine con la Valle d'Aosta e si snoda su un percorso di circa 80 chilometri, prima di immettersi proprio nell'Evo o lungo la Dora Baltea. In Lombardia, proprio lungo l'Oglio nei pressi di Azzanello, qualche chilometro a valle di Soncino sono state trovate due pepite di circa 5 grammi l'una. Ora però le ricerche si concentrano più su, dove il fiume nasce, lungo le pendici del Corno dei tre Signori, tra la provincia di Sondrio e quella di Brescia. Nel cremonese piccole pagliuzze sarebbero state trovate nell'Adda a Rivolta. 
La ricerca dell'oro nel torrente Elvo
Sul sito internet dei cercatori d'oro dilettanti www.minieredoro.it è pubblicata anche una mappa che indica proprio una località in riva all'Adda dove sarebbe possibile trovare pagliuzze d'oro di tre e più millimetri. Queste le indicazioni: «Da Milano prendete la statale n. 11 (Padana superiore) fino a Cassano d'Adda. Superato il ponte sul fiume piegate subito a destra direzione Rivolta d'Adda. Dopo circa 2,5 km. Sarete entrati nella provincia di Cremona (cartello segnaletico nei pressi di un ponticello). Poche decine di metri oltre di questo prenderete una stradina sterrata che si diparte alla vostra destra superando un canale e dopo averla seguita percirca trecento metri sarete arrivati. In questo punto il fiume lambisce un piccolo parcheggio dove potrete posteggiare. Potete inziare le ricerche facendo degli assaggi nel mentre che risalite per un centinaio di metri la sponda dell'Adda per poi raggiungere in breve dei grossi ruderi (blocchi di conglomerato) dietro ai quali, se dotati di una giusta dose di fortuna, potreste anche trovare qualche piccola 'sorpresa'. La dimensione massima delle scagliette trovate in occasione della gita qui descritta è comunque di 3 millimetri». Insomma, una vera e propria mappa con tutte le coordinate per la ricerca del tesoro, come quella che avrebbe disegnato qualche vecchio pirata. Ma siamo sull'Adda e nei nostri tempi.
Ogni anno i nipotini di Jack London si ritrovano ad agosto al Campionato del Mondo dei cercatori d'oro a Mongrando nel biellese, nella Riserva Naturale Speciale della Bessa, che custodisce un territorio di quasi dieci chilometri quadrati interamente modificato, nel suo aspetto, dal lavoro di migliaia di uomini (gli Ictimuli o Vittimuli) che oltre duemila anni fa abitavano buona parte del Biellese. Guidati e sfruttati dai Romani tra il II e il I secolo a.C. trasformarono la Bessa in una delle più grandi miniere d'oro a cielo aperto del mondo. Oggi il paesaggio si presenta come un alternarsi di vallette fitte di vegetazione e cumuli di ciottoli fluviali alti fino a 20 metri. La ricerca dell'oro sul greto del torrente Elvo è un'attività all'aria aperta che si può vivere tutto l'anno, perché nel Parco Naturale della Bessa opera un'associazione molto attiva, l'Associazione Biellese Cercatori d'Oro, che organizza escursioni lungo il fiume Elvo, ed insegna le antiche tecniche per la ricerca dell'oro dal greto del fiume. 
Tecniche che dovevano essere ben conosciute ancora nel Settecento agli abitanti di Acqualunga, ancora sull'Oglio a pochi chilometri da Azzanello, protagonisti di una piccola corsa al metallo giallo. A scriverne è il naturalista e geologo Giambattista Brocchi nel suo “Trattato mineralogico e chimico sulle miniere di ferro del Dipartimento del Mella” del 1808, che così descrive la circostanza: “Alcuni contadini di Acqualunga, villaggio posto sulle rive dell'Oglio, si erano avvisati ne' tempi trascorsi di mettere a profitto questa sorta di ricchezza. Il metodo di cui si valevano per separare dalle particelle pietrose i grani d'oro era semplicissimo, e simile a quello adottato dai paesani di Gez sul Rodano, e dagli abitanti della Contea di Schwartzburg sparsi nelle vicinanze del fiume Sala. Esso consisteva nel fare scorrere il materiale aurifero, stemperato nell'acqua, sopra una tavola inclinata, su cui erano praticati di spazio in ispazio alcuni tagli obbliqui nel senso della sua larghezza. Le pagliette fermavansi in queste scannellature, mentre l'acqua trasportava le parti meno pesanti. L'oro rimaneva ancora mescolato con molta sabbia, e si otteneva puro mediante l'amalgamazione col mercurio, che compiva l'operazione. Alcuni, invece di tavole, servivansi di velli di agnello, dirigendosi in tutto il resto col medesimo meccanismo. Questo ramo d'industria è presentemente affatto negletto”. La nostalgia di quell'età dell'oro fu però dura a morire se ancora nel 1864 sopravviveva la fama di quelle sabbie aurifere. In occasione dell'Esposizione Agraria Bresciana, infatti, uno degli organizzatori, il conte Alessandro Bettoni, oltre ad animali ed attrezzi rurali, chiedeva al conte Luigi Martinengo Villagana di presentare “un po' d'oro ricavato nel letto dell'Oglio, anche in tenuissima quantità, accompagnato da due o tre chilogrammi di quella sabbia”.
Cercatori d'oro sul Serio negli anni Venti
Sulle sponde del Serio, nei luoghi più frequentati, si trovano dei cippi di granito che recano incisa questa scritta: “Fiume Serio - Diritto esclusivo di pesca, pesci e oro del conte Giuseppe Bonzi di Crema - Dal ponte di Mozzanica allo sbocco dell'Adda”. È la famiglia Bonzi che ha fatto collocare
questi cippi lungo le rive del Serio a pubblica affermazione dei propri diritti in base ai privilegi anticamente derivati e che essendo anch'oggi in possesso di questa esclusività, di tratto in tratto fa ripristinare le parole incise nel granito. La nobile Famiglia Bonzi, trasse origine da una famiglia di barcaioli del Serio, probabilmente oriundi da Ripalta: nel 1452 certo Franchino Bonzi, barcaiolo, aveva una barca grande con la quale faceva il viaggio da Crema a Venezia, percorrendo il Serio, l'Adda ed il Po: nel 1509 Bernardino Bonzi, navarolo, sorpreso a trasportare armi con la sua barca a vantaggio di Venezia, venne preso e crudelmente squartato dai Francesi. Nel 1694 i Bonzi furono solennemente investiti della giurisdizione del Serio, con prerogativa feudale e con titolo di conti, con diritto esclusivo di pesca su tutta la parte del Serio che scorre nel territorio cremasco, nonché sull'oro che in tempi trascorsi si cavava dalle sabbie del fiume, ma in piccole quantità e con gran dispendio di tempo e di lavoro. I Bonzi tenevano la loro residenza in una villa con bel giardino a strapiombo sul Serio. Il Centro di ricerca Alfredo Galmozzi di Crema conserva in archivio una rara immagine che raffigura cercatori d'oro sulle sponde del Serio nei pressi di Bocca di Serio, risalente probabilmente agli anni Venti.
C'era anche oro nel Po: nel 1423 il diritto di estrarlo dalla ghiaia era stato acquistato dal Capitano del Naviglio di Pavia Pasino degli Eustachi, che possedeva anche case a Cremona dove spesso si recava per affari. Con i suoi figli era uno dei mercanti più attivi di calcina, legna, panni e pesci freschi e salati provenienti da Venezia. Intorno al Mille Le “Honoratie Civitas Papie” cita i fiumi da cui si cava oro: Po, Ticino, Sesia, Agogna e Trebbia. Il Ticino era di proprietà regale ed a Pavia vi avevano diritto di ricerca gli Auri Lavatores, obbligati da giuramento a rivenderlo alla Camera Regia o ai Magistrati della Moneta. Successivamente il diritto, per alcuni tratti del fiume, fu ceduto in regalia ad ecclesiastici e a privati. Tra il XIV e il XV secolo, periodo di maggior sfruttamento del tratto pavese, il Paratico dei Mercati di Pavia ne deteneva il diritto, acquisito o avuto in regalia, dai precedenti proprietari. Quella degli Auri Lavatores era a suo tempo una delle professioni più ambite ma dopo il 1500, sia per l'impoverimento del fiume, che per la maggiore quantità di oro circolante proveniente dalle Americhe appena scoperte, il mestiere decadde e da allora il dirtto di cavare metalli dal fiume non si distinse più dal diritto di pesca o di cavare sassi. La ricerca dell'oro era praticata saltuariamente dagli uomini di fiume, che erano di volta in volta boscaioli, pescatori, raccoglitori di sassi, di legna e via dicendo. Anche a Lodi è documentata la presenza di cercatori d'oro in epoca antica. Tra i privilegi concessi dall'imperatore Federico Barbarossa al momento della fondazione della città nel 1158, vi è tra gli altri, anche quello di raccogliere l'oro nell'Adda riservato agli abitanti della città: come nel caso di Pavia i cercatori erano chiamati aurilevantes.
Cercatori d'oro sul Serio (anni Venti)
Sull'Adda e sul Serio, dove non ci sono rapide su greto ciottoloso e dove il sedimento e l'oro sono più fini, per trovare l'oro veniva utilizzato il banco. Era formato da due o tre ruvide tavole di legno, lunghe fino a due metri, tenute insieme in modo da formare un largo canale ed era lo strumento fondamentale da cui derivano gli strumenti moderni più aggiornati. Queste tavole accostate l'una all'altra, già ruvide per la loro stessa natura, venivano inoltre intagliate fittamente a colpi d'ascia per creare ostacoli allo scorrimento delle sabbie in modo da ottenere depositi d'oro. Lo strumento, posizionato sulla riva, era tenuto rialzato da terra tramite sostegni in legno flessibili che consentivano di farlo periodicamente dondolare agendo con una mano sulle sponde facendo scivolare in basso il materiale più grossolano e lasciando depositare l'oro negli intagli. Una persona vi caricava il materiale da lavare con la pala, un'altra vi versava sopra abbondante acqua con un secchio fissato a un lungo bastone trasversale chiamato “sucon”, necessario per raggiungere tutti i punti del banco senza ostacolare il caricamento del materiale. Periodicamente occorre eliminareil materiale che si era ammucchiato ai piedi del banco e spostare lo strumento in un'altra zona ancora da sondare. Quando si riteneva che il banco fosse saturo, lo si girava e lo si poneva verticalmente in un canaletto di legno lungo e stretto, chiamato“conchino” e, usando una spazzola e dell'acqua, vi si faceva cadere il concentrato, che veniva sottoposto ad un ulteriore lavaggio agitando il conchino a pelo d'acqua in modo da eliminare le parti più leggere e poi si faceva scivolare il residuo in un bacile, detto “trula”.
Cercatori d'oro sul Ticino
In Lombardia tutti i fiumi sono più o meno auriferi perché i sedimenti di questo metallo provenienti dall'arco alpino, sono stati trascinati a valle al termine delle glaciazioni. Anche Lambro e Olona, a detta degli esperti, porterebbero nel loro umilissimo grembo tracce del prezioso minerale. C'è oro anche nel Po, ma è il Ticino il sito aurifero lombardo per eccellenza: fino a una quarantina di anni fa i fidanzati del Vigevanese avevano l'abitudine di cercare proprio sui suoi argini il prezioso metallo per la vera nuziale. Abbastanza generosi anche alcuni torrenti del Varesotto e l'Agogna, che dalla provincia di Novara attraversa parte della Lomellina. L'Adda, infine, sarebbe molto ricco di luccicanti promesse, ma gli appassionati lo considerano un «paradiso perduto» a causa del divieto di ricerca posto nel territorio del Parco dalle autorità. Per trovare i punti giusti bisogna guardare bene la conformazione dell'argine: se la sponda è erosa da una piena recente e sono visibili tracce nere di ferro e tracce rosse di granato, vuol dire che in quel punto la corrente ha depositato materiale pesante e, probabilmente, anche dell'oro. Gli attrezzi del mestiere sono umili: una zappa per smuovere il terreno; un badile per riempire di terriccio un secchio da muratori dotato di setaccio e il piatto che gli esperti chiamano batea al centro del quale, alla fine di pazienti irrorazioni e filtraggi, rimangono imprigionate le scaglie d'oro.

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