venerdì 16 agosto 2013

La guerra del dottor Sandro Rizzi

Il dottor Sandro Rizzi al lavoro

 Compie ottant’anni l’ex sanatorio di Croce di Salven a Borno, oggi in rovina in attesa di essere venduto dall’amministrazione provinciale, ma un tempo fiore all’occhiello della più grande campagna sanitaria mai realizzata nel Cremonese per debellare il territorio da una delle malattie considerate endemiche nella nostra popolazione, la tubercolosi, un flagello che colpiva prevalentemente contadini e operai. L’attività vi ebbe inizio nell’ottobre 1933, con l’inaugurazione dei sanatori il 22 ottobre 1934. Ma già dieci anni prima erano stati aperti i locali concessi alla Congregazione di Carità in via della Ruota a Crema, ed era già attivo dal 1921 il Dispensario antitubercolare di via Santa Maria in Betlem, chiuso solo nel 1978 in seguito alla scomparsa della malattia. Artefice di quella che sicuramente fu nelle nostre zone la più grande vittoria sanitaria del Novecento fu il tisiologo Sandro Rizzi, un medico di cui ingiustamente la nostra città si è dimenticata. Una persona d’altri tempi, Sandro Rizzi, nato a Cremona il 30 settembre 1877, con una autentica vocazione per lo studio e la cura delle malattie batteriche. L’aveva maturata alla scuola pavese del premio Nobel, Camillo Golgi, di cui era stato allievo interno in patologia e istologia, laureandosi nel 1903 con una tesi sperimentale sul vaiolo. Era stato lo stesso Golgi, intuendone le grandi capacità, ad insistere perchè il giovane medico cremonese si recasse in Francia, all’Istituto Pasteur di Lille, per apprendere come oltralpe si curasse la malaria. Dispensari antitubercolari, infatti, esistevano in Francia fin dal 1901, mentre in Italia si continuava a morire di tubercolosi, malaria e pellagra. Il dottor Rizzi questo lo sapeva bene. Lo aveva maturato in questo senso l’esperienza di medico condotto tra i contadini di Crotta d’Adda, raccontata anche in un libro, “Sei anni di lotta antimalarica”, al punto di costituire e dirigere nel 1912 la scuola per le infermiere volontarie della Croce Rossa con una promessa: quel primo gruppo di crocerossine sarebbero diventate sue assistenti quando avrebbe aperto il primo Dispensario antitubercolare a Cremona. In realtà, per coronare quel suo sogno, ci vollero ancora dieci anni e due guerre di mezzo.
Alla prima, dal luglio all’ottobre 1912, partecipò come tenente medico volontario all’ospedale di Campo Cremona in Tripolitania, dove vi erano altri due cremonesi, il medico Chiappari ed il farmacista Leggeri. Esiste anche una sua corrispondenza dal campo di Karakol sul fronte italo-turco nell’agosto, su alcuni fatti di sangue in cui perirono sedici soldati. Carriera militare e professionale si incrociano senza soluzione di continuità. Nel 1913 è in Francia dove frequenta i corsi di Colmette all’istituto Pasteur; nel 1915, prima dello scoppio della guerra è ancora a Pavia dove ottiene la libera docenza in igiene e pubblica un volume edito da Hoepli sulla epurazione biologica delle acque di rifiuto. Poi il nuovo impegno in guerra come capitano medico e direttore del gabinetto batteriologico a San Giorgio di Nogaro, in Friuli, dove era scoppiata nel frattempo un’epidemia di colera. E di nuovo all’Ospedale militare di Cremona come dirigente dei servizi igienici generali e direttore al laboratorio batteriologico dell’Ospedale maggiore, comprendente la batteriologia, l’istologia normale e patologica, e l’anatomia patologica. Sono quelli gli anni in cui si decide di realizzare il Dispensario centrale antitubercolare.
Nel 1921 si era costituito il Consorzio provinciale antitubercolare, che aveva come fine la prevenzione e la cura della tubercolosi in quei soggetti che non erano assistiti dall’Inps che, dal canto suo, gestiva il sanatorio Gaspare Aselli di via Milano. Erano anni difficili per la cura della malattia. Non esistevano antibiotici, che fecero la loro comparsa a Cremona solo grazie agli americani, ed i malati dovevano necessariamente essere confinati per anni in strutture apposite dove, semmai, potevano essere sottoposti solo a ripetuti interventi di pneumotorace per riassorbire le cavità che la malattia formava nei polmoni. Il Dispensario antitubercolare rappresentava quindi il primo segno tangibile di attuazione pratica della lotta antitubercolare in una forma diremmo “ufficiale” che vedeva l’intervento congiunto di Provincia e Comune. Istituito nel gennaio 1922 il Dispensario ebbe originariamente sede in alcuni locali del palazzo della Provincia in via Martiri Fascisti. Nel 1925 venne trasferito in quella che allora era la periferia della città, in una zona circondata da orti e giardini in un fabbricato di proprietà del Consorzio in cui si trovava anche il Laboratorio di igiene e profilassi. Direttore era il dottor Sandro Rizzi, grazie alla cui opera instancabile, si riuscì a vincere la diffidenza iniziale dei medici ad inviare i propri pazienti alla struttura.
Il dottor Rizzi tra le prime crocerossine diplomate
Già durante i primi mesi di funzionamento nella vecchia sede il Dispensario era riuscito a raccogliere rapidamente la grande maggioranza dei tubercolosi di guerra. In breve tempo il numero giornaliero delle presenze andò da un minimo di 60 ad un massimo di 120. Nel 1932 l’amministrazione consortile decise di costruire un nuovo dispensario centrale, da sistemarsi nella stessa area ancora libera, affidandone il progetto all’ingegner Verdelli. La nuova sede fu inaugurata nel 1937 alla presenza della regina Elena.
Un programma vastissimo ed irto di difficoltà attendeva il dottor Sandro Rizzi ed il suoi collaboratori, l’aiuto Emilio Morandi, l’assistente Emilio Priori ed il radiologo Raimondo Vergani.
Ancora negli anni Trenta vi erano interi quartieri della città in cui i focolai di tubercolosi si moltiplicavano a causa del maggiore affollamento e della precarietà delle condizioni igieniche.
Erano i rioni popolari di porta Mosa, porta Romana, via Gonzaga e via Giordano, via Mantova, via Giuseppina e via Milano. Da queste zone veniva la maggior parte degli ammalati, presenti in forte concentrazione tra le casalinghe (169 casi su mille), i contadini (133), le sarte e le cucitrici (106), gli scolari e gli studenti (100) ed in percentuale inferiore nelle altre categorie.
Nel 1931, in occasione del decennale di attività, venne compiuta una prima indagine statistica, dalla quale risultò che si erano effettuati ben 9.786 accertamenti da cui era risultato che solo 1.622 casi non erano stati riconosciuti come Tbc. Per il resto 909 riguardavano tubercolosi polmonari aperte, 2.275 tbc polmonari chiuse, 434 pleuriti, 823 forme inattive polmonari e pleuriti, 361 tbc extrapolmonari, 1.620 adenopatie e ben 1.742 casi di linfatismo, anemia e gracilità.
Sommando i dati di città e campagna i più colpiti dal contagio risultavano gli operai e gli agricoltori, anche se la maggior incidenza della tubercolosi veniva fatta risalire soprattutto alla presenza di manodopera straniera.
Dal 1921 al 1930, d’altronde, si notava un calo della mortalità che dall’1.02 per mille era passata allo 0.83, sempre in ogni caso inferiore all’indice di mortalità registrato nel resto dell’Italia.
Fino agli anni Quaranta la tubercolosi poteva essere curata esclusivamente con pneumotorace. Fu proprio il figlio di Sandro, Alberto Rizzi, dirigente incaricato all’Ospedale Maggiore, a sperimentare per primo a Cremona la streptomicina, fornitagli dagli americani. Riuscì ad averne a disposizione 30 grammi per curare una ragazzo di dodici anni afflitto da tubercolosi faringea, inviatogli morente. Nel giro di due mesi, con il nuovo antibiotico, Imerio, così si chiamava il ragazzo, riprese a deglutire ed a nutrirsi e poco dopo guarì. In seguito gli alleati fecero nuove assegnazioni e si poté iniziare la cura degli adulti, aprendo una nuova fase nella lotta alla malattia.
I piccoli ospiti di Borno nel 1934
Verso la fine del 1921 il comitato fu sciolto e ne venne costituito un altro con lo scopo di intensificare il servizio della cura climatica. Dopo alcune ricerche il 13 maggio 1923 venne affittato per cinque anni un vasto fabbricato situato a circa 600 metri di altezza a Cislano, una frazione del Comune di Zone sul lago d’Iseo, che venne riconosciuto adatto ad ospitare almeno una quarantina di degenti. I primi ospiti, uno scaglione di 41 invalidi, vi giunsero una mattina di luglio e vi rimasero per 45 giorni. A questi ne seguirono altri e le richieste aumentarono nei due anni successivi fino a superare le 80 unità per turno. Fu così che il Comitato maturò l’idea di costruire un edificio ex novo in una località più idonea e di facile accesso. Il Comune di Borno in Valcamonica concesse gratuitamente un’area di circa 5 mila metri quadrati, situata in località Croce di Salven. Si iniziò subito lo studio del progetto tecnico che in un primo tempo doveva comprendere la costruzione di un semplice padiglione per il ricovero di circa 50 degenti. Ma la difficoltà di far fronte al finanziamento dei lavori costrinse il Comitato a richiedere l’intervento del Consorzio provinciale antitubercolare. I due enti decisero di dare avvio alla costruzione di un fabbricato più ampio, con tutti i requisiti di un istituto a carattere sanatoriale, in cui si sarebbero dovuti ricoverare gli ammalati appartenenti alla provincia di Cremona. Il Consorzio si incaricò della stesura del progetto, elaborato e più volte modificato dall’ingegner Achille Verdelli in collaborazione con l’architetto Vito Rastelli. Il nuovo sanatorio venne a sostituire integralmente la colonia di Zone per i tubercolotici di guerra, così che il Comitato provinciale, esaurito il suo compito, si sciolse il 2 giugno del 1930.
Sandro Rizzi morì a 67 anni di età l’8 gennaio 1945, vittima delle sue stesse creature. Nel 1944 l’aiuto dottor Vergani era stato richiamato alle armi e Rizzi dovette sobbarcarsi da solo l’onere delle visite nei dispensari periferici che per sua stessa iniziativa erano stati creati. La dosi di radiazioni accumulate in questi periodo gli furono fatali. Nessuno, infatti, in quei tempi ancora pionieristici per la lotta antitubercolare, faceva molto caso all’esposizione ai raggi che venivano usati a scopo diagnostico.
Dal 1923, d’altronde, dopo l’apertura della struttura centrale cremonese, dispensari erano sorti nelle principali località della provincia. Quell’anno furono aperti, a spese del Consorzio, i locali concessi dalla Congregazione di carità in via della Ruota a Crema. Dopo pochi anni erano già divenuti insufficienti alle esigenze della popolazione ed il dispensario fu trasferito provvisoriamente all’Ospedale civile dove rimase fino alla sua sistemazione definitiva nel luglio del 1931 presso il fabbricato del Monte di Pietà. Il 23 novembre 1924 iniziò a funzionare in alcuni modesti locali annessi all’Ospedale civile, il dispensario di Casalmaggiore, ma dopo pochi anni anche questo risultò insufficiente e fu trasferito in una nuova sede adattata nel 1931. Sempre nel maggio 1930 iniziò la sua attività il dispensario periferico di Rivolta d’Adda, infine il 3 marzo 1931 iniziò a funzionare in una prima sede provvisoria presso la casa di riposo Zucchi la struttura di Soresina, trasferita poi al piano terreno del padiglione Bertolotti, di nuova costruzione.
Nel giro di due anni, nel biennio 1930-31, in queste nuove strutture vennero complessivamente eseguite 5.916 ricerche. Nel 1927 il dispensario centrale di Cremona aveva nel frattempo iniziato il trattamento pneumotoracico. Nel primo quinquennio di attività vennero assistiti complessivamente 97 ammalati portatori di pneumotorace, sia presso gli Ospedali riuniti, che presso istituti sanatoriali o a domicilio o su ammalati che avevano rifiutato il ricovero in luogo di cura. Complessivamente vennero praticati 3.768 rifornimenti, senza che si verificasse mai alcun tipo di incidente. In verità, però, un terzo dei pazienti peggiorava o moriva durante la cura, ma il 18.60 per cento poteva dirsi guarito ed il 44.18 per cento in via di esserlo. Nella loro totalità, una volta entrati regolarmente in funzione, i dispensari provinciali alla fine del 1931 avevano praticato accertamenti sul 33.96 per cento degli abitanti dell’intera provincia ed il solo dispensario centrale di via Santa Maria in Betlem aveva raggiunto addirittura il 48.22 per cento degli abitanti che facevano capo alla sua circoscrizione. Si trattava nel 1922 di oltre 170 mila abitanti. Altri 78 mila facevano riferimento al dispensario periferico di Crema, 45 mila a quello di Casalmaggiore, 16 mila a Rivolta d’Adda e oltre 54 mila a quello di Soresina.  

1 commento:

  1. Buonasera, ho letto con particolare attenzione, mia zia fu assistente sanitaria al dispensario antitubercolare di Cremona a stretto contatto con il dottor Alberto Rizzi, grazie per le preziose informazioni e complimenti per il suo lavoro.

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