domenica 16 dicembre 2012

Il convento di fra Cristoforo


Tutti conosciamo il personaggio di Fra Cristoforo nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. L'esistenza di questo sacerdote cappuccino è documentata solo dai primi di giugno del 1630, cioè dal momento della sua ammissione, all'epoca della peste, nel lazzaretto di Milano, in cui i Cappuccini, sotto la guida del padre Felice Casati da Milano, svolsero, perdendovi spesso la vita, un importante servizio di assistenza materiale e spirituale degli appestati. Pochi giorni dopo, il 10 giugno, Cristoforo moriva, "di peste, stimata da lui catarro, ma dagli altri tutti giudicata vera peste, avendo servito con molto fervore di carità et essempi religiosi a' poveri apestati". Nella sua prima apparizione nel Fermo e Lucia il Manzoni accenna ai suoi natali cremonesi. Molti studiosi hanno proposto l'identificazione di Cristoforo con il nobile cremonese Lodovico Picenardi, figlio di Giuseppe e di Susanna Cellana, battezzato il 5 dicembre 1568, simile al Lodovico manzoniano per la giovinezza audace e scapestrata. Conosciamo la storia: dopo essersi scontrato con un nobile e averlo ucciso in un duello in cui perde la vita anche Cristoforo, servitore cinquantenne molto amato da Lodovico, deve rifugiarsi in un convento di Cappuccini Le due tragiche morti avviano alla fine un processo già iniziato di conversione e spingono il giovane al cambiamento di vita cui aveva già altre volte pensato. Chiede quindi di essere accolto come postulante al convento stesso dove si è rifugiato. La sua decisione permette ai Cappuccini di evitare il prevedibile imbarazzo di difendere il diritto di asilo di un nemico di una potente famiglia, e alla famiglia dell'ucciso l'imbarazzo di scontrarsi con la Chiesa per ottenere vendetta. Nella soddisfazione generale Ludovico viene quindi rivestito del saio. Memore del suo vecchio e amato servitore, come nome religioso Lodovico sceglierà il nome di Cristoforo. Il convento di Fra Cristoforo esiste ancora. E’ un vecchio stabile ormai in rovina posto all’angolo tra via Mantova e via, manco a dirlo, Dei Cappuccini. Il complesso, che dovrebbe essere in teoria ristrutturato, ma di cui è certa la demolizione, è costituito da una serie di basse abitazioni, con alcune arcate tamponate, risalenti con ogni probabilità all’ultima ricostruzione del convento nei primi anni del Settecento, in seguito trasformato in una fabbrica di birra al momento della soppressione.
Un angolo di storia, dunque, che però ha perso qualsiasi smalto, ed ora è ridotto ad una serie di abitazioni e muri degradati dal tempo. Poco lontano dalla porta bresciana, oggi porta Venezia, esisteva da secoli una piccola chiesa appartenente ai benedettini, che vi avevano istituito un priorato chiamato dei Santi Dodici Apostoli. Nel 1566, dopo aver ricevuto l’approvazione canonica della Santa Sede, vi si trasferì la nuova famiglia francescana dei Cappuccini. Dal momento che la chiesetta era quasi diroccata i nobili ed il popolo cremonese si diedero da fare con offerte per ricostruirla. Sorse così il convento e fu riedificato il piccolo edificio sacro che venne consacrato dal vescovo Sfondrati prima di salire al soglio pontificio. Nel 1611 aggregata al convento, per iniziativa di fra Fedele cappuccino, venne istituita anche una farmacia al servizio dei poveri, che fu chiamata col nome di “Santa Corona Serafica”, situata nei pressi della chiesa di San Vincenzo. L’istituzione era amministrata da tre nobili della città eletti nel gennaio di ogni anno. Il convento e la chiesa dei Dodici Apostoli fu anche al centro dell’assedio che per ben 83 giorni nel 1648 i francesi posero alla città. Più tardi, nel 1655, il convento rischiò di essere demolito una prima volta quando, decretata la fondazione di nuove fortificazioni che avrebbero dovuto aggiungersi alle mura della città già esistenti, furono abbattuti i borghi posti fuori dalla cinta muraria di porta Venezia. Ma dopo mezzo secolo,  nel 1705, durante la guerra di successione spagnola, ai cappuccini furono concessi solo tre giorni di tempo per sgombrare il convento, su ordine del governatore di Cremona, che a sua volta eseguiva una direttiva del governatore francese dello Stato di Milano. Con il pretesto che avrebbe potuto servire all’armata imperiale guidata da Eugenio di Savoia il convento venne abbattuto in tutta fretta. Alcuni dei religiosi trovarono rifugio in altri conventi della provincia, mentre sei di loro rimasero in città alloggiati per un anno in casa del conte di San Secondo, poi presso l’Arcidiacono De Cesaris. Passata l’ultima bufera i cappuccini iniziarono a ricostruire la loro sede e sotto la guida di padre Angelo Felice da Milano, aiutato da altri confratelli che avevano esercitato nel mondo civile il lavoro di muratore, il 18 ottobre del 1709 riuscirono a completare la nuova sede ed insediarvi una nuova Comunità. Per un secolo durò la pace e la tranquillità, fino a quando nel 1810 il convento venne definitivamente soppresso. Nel 1841 ai cappuccini venne offerto dal marchese Persichelli il soppresso convento di San Luca, che già aveva ospitato Amadeisti e Osservanti, che potè essere aperto nella primavera del 1843, dopo l’indispensabile riconoscimento da parte dell’Imperatore. Nel 1868, nonostante la ventilata soppressione, i cappuccini riuscirono a conservare il convento di San Luca che, però, nella sua grandiosità, poco si confaceva alla regola, per cui nel 1881 lo cedettero ai Barnabiti. Col compenso ricavato dall’alienazione l’ordine iniziò la costruzione dell’attuale convento e della chiesa di via Brescia, che fu dedicato a San Giuseppe. L’ingresso ufficiale avvenne nel 1883.
Dell’originaria sede nei pressi della Pippia è rimasto poco: un muro nei pressi del supermercato Lidl ed un pozzo, dove nel corso di scavi avvenuti negli anni scorsi venne rinvenuta una grande quantità di ceramica cinquecentesca.



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