giovedì 6 dicembre 2012

I prigionieri inglesi di Olmeneta

La piazza di Olmeneta

Un campo di concentramento per prigionieri inglesi alla cascina Longhirone. Ed una storia persa nel tempo riaffiorata grazie ad un libro dello storico bresciano Lodovico Galli, “Il Questore di Brescia della Repubblica sociale Italiana”, che raccoglie la documentazione inedita su Manlio Candrilli ed il suo ufficio negli anni compresi tra il 1943 ed il 1945.
Tra questa anche gli interrogatori relativi al legame intercorso tra Dina Aeri, giovane bresciana sfollata ad Olmeneta, ed il soldato inglese Michael, di cui non conosciamo altro se non il nome, storpiato in “Maico” nei verbali della Questura e, probabilmente, nelle dichiarazioni rese dalla donna accusata dunque di favoreggiamento. Proprio da lei veniamo a sapere, a quasi settant’anni di distanza dai fatti, che nel periodo compreso tra il maggio ed il settembre 1943 esisteva nella cascina un campo di prigionia di soldati inglesi che venivano impiegati come bergamini alle dipendenze di Pietro Ardigò. Fuggirono tutti dopo l’8 settembre e non se ne sarebbe saputo più nulla se uno di loro non fosse stato fermato alla stazione di porta Trento in dicembre con indosso la fotografia di una ragazza. Ne parla nel suo rapporto il sottufficiale dalla gendarmeria di campo Wenzler al Comando militare di Brescia.
“Il giorno 6.12.1943 fu fermato alla stazione di P. Trento dal Partito Fascista un prigioniero di guerra inglese. Gli fu trovata una fotografia di Aeri Dina, la quale si trovava nello stesso tempo alla stazione. La Aeri fu da me interrogata, essa disse che conosce quell’inglese del campo dei prigionieri che vi era ad Olmeneta dove abita la sua zia. Siccome i suoi genitori si trovavano presso quella zia, per pericolo aereo, essa si recava ivi ogni 14 giorni. In tale occasione essa vedeva l’inglese il quale la salutava. Dice però di non avere parlato con lui. Ancor meno essa può spiegarsi in quel modo lo stesso sia venuto in possesso della sua fotografia. Dice di non avergliela data lei. Essa suppone, siccome la sua zia regalava la biancheria al prigioniero ed essa aveva quella fotografia, che l’inglese se la sia presa presso la zia o che i bambini della zia l’abbiano data all’inglese. Dice di aver veduto l’ultima volta l’inglese prima dello sconvolgimento. Di non essere mai stata in relazione con lui”.
Nei documenti raccolti da Lodovico Galli c’è anche il verbale dell’interrogatorio di Dina, effettuato il 13 marzo 1944 nei locali della Questura. Dina era nata il 6 gennaio 1923, figlia di Guido e di Pasqua Sanvitti, dattilografa disoccupata, abitava in quel periodo in via S. Clemente 3.
“Nel maggio 1943 - racconta dunque Dina - mi sono portata ad Olmeneta (Cremona) e precisamente dallo zio Zacco Luigi, abitante nella cascina Longhirone per sfollamento. In detta località si trovava un campo di concentramento di circa una cinquantina di prigionieri di guerra, la maggior parte inglesi. Avevo occasione di vederli spessissimo in quanto detto campo si trovava vicino all’abitazione dei miei parenti e così ho fatto conoscenza con qualcuno di essi e tra questi un certo ‘Maico’, ma non saprei dare ulteriori e più precisi particolari sul loro vero nome. A molti di questi io accomodavo le calze mentre la zia Sanvitti Carolina in Zacco, pensava per la lavatura della biancheria. Sia il Maico che gli altri, pure accompagnati dalle guardie di scorta, venivano in casa nostra ora per una cosa o per l’altra e quindi era nata una certa confidenza, anche per il fatto che costoro si dimostravano con noi gentili, offrendoci quando arrivava loro qualche pacco, cioccolata od latri generi alimentari. L’8 settembre, quando avvenne il fuggi fuggi generale, tutti i prigionieri del campo si allontanarono dicendo che si sarebbero recati in Svizzera. Qualcuno di questi restarono ancora per qualche giorno in paese, per ritirare la merce, mentre la sera con le coperte andavano a dormire nei campi, Indi nei giorni seguenti essi un po’ per volta si dileguarono completamente senza lasciar più traccia. Il dicembre u.s. e precisamente la mattina del 6 di detto mese ho avuto occasione di (vedere ndr.) a porta Trento in Brescia il predetto straniero col quale però non ho parlato. Poco tempo dopo egli veniva fermato da due persone in borghese. A.D.R. Sia io che la zia non abbiamo mai fornito ad essi mangiare ed altro. Il detto ‘Maico’ prima di allontanarsi ha preso dalla casa della zia una mia fotografia adducendo che l’avrebbe tenuta per ricordo. Non ho altro da aggiungere”.  Raccontò tutta la verità Dina? Forse no, come ognuno può immaginare. Quella bugia pietosa, però, contribuì probabilmente a scagionarla dall’accusa di favoreggiamento. Di certo in quella stazione ferroviaria  in quel freddo dicembre finì anche la sua breve storia d’amore con il giovane soldato inglese. Anche il questore non volle approfondire la questione, e l’8 aprile 1944, aggiungendo altri particolari, mostra di credere alle parole di Dina, lasciando però intuire di aver capito tutto.
“Facendo seguito al mio foglio di pari numero in data 18 marzo u.s. si comunica che Aeri Dina rimase per sfollamento, presso la Sanvitti Carolina fu Antonio e fu Fatini Maria, nata a Borgo S. Giacomo (Brescia) l’11 novembre 1906, coniugata con Zacco Luigi fu Vitale, residente in Olmeneta, cascina Longhirone, oltre che nel mese di maggio 1943, anche per tutto il mese di agosto e parte di settembre dello stesso anno. Durante la sua permanenza in detta cascina, e specialmente nei primi del mese di settembre, l’Aeri strinse relazione di amicizia con alcuni prigionieri di guerra di quel campo di concentramento ed in particolar modo con il prigioniero ‘Maico’ il quale frequentava più sovente, l’abitazione della zia, sita poco distante dal campo di concentramento. Tale relazione venne allacciata perchè 4 prigionieri, compreso il ‘Maico’, lavoravano quali bergamini, alle dipendenze del sig. Ardigò Pietro nella stessa cascina Longhirone, dove, la sera ultimato il lavoro, si riunivano per passare qualche ora. La Sanvitti accoglieva in casa i quattro prigionieri suddetti in quanto conosciuti dal marito per ragioni di lavoro e nell’occasione provvedeva alla lavatura e rammendatura della loro biancheria. Non risulta che la famiglia dello Zacco abbia fornito del vitto e ricovero ai prigionieri, soltanto prima che detti prigionieri lavorassero nella stessa cascina, dava loro qualche pezzo di pane e un po’ di polenta. Dopo l’8 settembre dello scorso anno quando tutti i prigionieri del campo di concentramento si sbandarono per le campagne, i quattro che frequentarono l’abitazione della Sanvitti, rimasero in quelle adiacenze per alcuni giorni ancora e poi si allontanarono per tema di essere sorpresi e ripresi. Fu in quell’ultimo periodo di tempo che la Aeri s’incontrava più sovente con il prigioniero ‘Maico’ e sempre nelle campagne dove egli si era rifugiato. Verso il 15 settembre i quattro prigionieri si allontanarono e l’Aeri partì senza fare più ritorno presso la zia. Non è stato possibile accertare la vera relazione che intercorse tra l’Aeri e il prigioniero ‘Maico’ particolarmente negli ultimi giorni”.

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